Il Maggio fiorentino ripropone la Salome nell'allestimento di Robert Carsen (già ospitato un paio di stagioni or sono dal Regio di Torino). Ieri teatro quasi al completo. Sul podio non c'è Mehta, contrariamente a quanto risultava dal primissimo annuncio della stagione autunnale, e nemmeno il sostituto Carignani. Ma il veterano mestierante Ralf Weikert.
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Quanto alla messinscena, Carsen è uno di quei registi perennemente in cerca di novità interpretative e con la testa che è un vulcano di idee, quasi sempre geniali, ma di un genio cui spesso si accompagna la sregolatezza. E questa sua Salome è proprio un classico esempio di uso solerte e perverso al tempo stesso della materia grigia: insomma, un Carsen in versione dr. Jekyll e mr. Hyde.
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Cominciamo con l'ambientazione: alla trita cartapesta del palazzo di Palestina, Carsen preferisce enormi pareti di latta di un caveau di LasVegas (forse siamo al CaesarPalace, a giudicare dai costumi di alcune comparse, a metà fra l'egizio, l'assiro-babilonese e il carnevalesco). La cosa non deve scandalizzare, caso mai ci si può chiedere perché proprio LasVegas e un caveau. Chissà, dato che il regista è uso fare scavi sociologici e psicologici, può darsi che il suo subconscio abbia fatto emergere l'avversione di un canadese per la (in)civiltà dei merdosi cugini yankee, di livello assai prossimo a quella di Erode&C. Quanto all'oro che scorre a fiumi nel caveau, bisognerà tener conto che Salome comporta la presenza di ebrei, notoriamente stereotipo di padroni della finanza globale.
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E a proposito di ebrei, oltre al dileggio – ma sopraffino, proprio à la Wagner – che Strauss gli riserva con la sua musica che imita la cantilena yiddish, Carsen rincara la dose, presentandoci due dei cinque giudei nelle vesti di trans. Per la verità, ne ha anche per i cristiani (i due Nazarener) che appaiono vestiti da becchini, forse ministri di qualche più o meno nota setta nordamericana.
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Per restare alle piccolezze, ai dettagli, Carsen infila qua e là qualcosa a metà fra il becero e il goliardico, come Herodes che si strofina sul …ehm (cavallo dei pantaloni) la mela che offrirà a Salome. O Herodias che copula con un paggio durante la bevuta del marito con i compari, oppure uno dei trans giudei che si butta a pesce sullo smeraldo invano offerto dal tetrarca alla figliastra in cambio della testa di Jochanaan. Ma Carsen mostra anche di saper essere – quando vuole – fedelissimo al testo: il povero Narraboth, al momento di suicidarsi, invece di spararsi un colpo in bocca con la 45magnum di ordinanza che porta alla cintura, estrae un pugnale e se lo conficca nel ventre!
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Bella e nobile, invece, la scena dell'incontro di Salome con il profeta: sparisce la latta di LasVegas e Jochanaan appare su un appropriato sfondo desertico (che sia il Nevada o il Negev ci importerà poco). Lui e la ragazza restano soli, sulla scena assolutamente vuota, in modo da lasciare tutto lo spazio disponibile per… la musica del mago Strauss!
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Bando all'esteriorità, veniamo ai personaggi. Devo dire che qui Carsen è maestro, seriamente: tutti assolutamente centrati, a cominciare proprio da Salome, una ragazza che ne ha addosso di tutte: vizi, perversioni, turbe sessuali, ingenuità incredibili, paure, superbia, instabilità psichica; insomma, tutto quello che da millenni ormai l'immaginario collettivo associa a questa Lolita ante-litteram. Che è però, in fondo, ancora una ragazzina, se è vero che entra in scena emozionata, confessando di non capire perché Herodes la guardi così! E il Carsen – quello in versione dr. Jekyll - ce ne dà un'immagine oserei dire perfetta.
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Peccato che poi il nostro si trasformi, per circa un quarto d'ora, in mr. Hyde. E trasformi con sé, temporaneamente, anche la ragazza, affibbiandole i tratti – materiali e comportamentali – della madre. Facendone cioè – per la scena-madre dell'opera - una laida puttanona. Abbigliata ed acconciata (colore dei capelli incluso) come quella baldracca di sua madre. Che lei sia, come dirà, dopo la danza, Herodes: in Wahrheit ihrer Mutter Kind! (tutta sua madre) è vero, ma ciò riguarda esclusivamente la cocciutaggine e l'ostinazione del suo carattere. Invece è del tutto falso se si confrontano le personalità di madre e figlia, descritte – in primis – dalla musica di Strauss. Ed è persino inverosimile anche dal punto di vista dei desideri sessuali di Herodes, che di certo non saprebbe che farsene di una Herodias-due-la-vendetta!
Ma è sommamente disdicevole sul piano estetico, chè questa (provvisoria, onirica) identificazione trasforma la più straordinaria Tanz mai musicata in uno spogliarello di quart'ordine, di quelli che si vedevano anche a fine '800 in qualche scantinato di New York, con tanto di divaricazione di gambe, arieggiamento di passera a mezzo veletta, e strusciamenti vari addosso ad una coorte di altrettanto bavosi maschiacci, che non trovano di meglio che denudarsi e masturbarsi davanti a lei, e di fronte al pubblico in sala. Il tutto mentre alle orecchie di detto pubblico giungono suoni come questi:
Insomma, invece di un'enorme carica erotica, ciò che questa scena sprigiona è puro e semplice, e schifoso sesso venduto un-tanto-al-kilo. E davvero, poche volte una così forte divaricazione tra ciò che la musica esprime e ciò che il regista ci mostra è stata realizzata in un teatro. Proviamo a farci una semplice e banalissima domanda: se a Richard Strauss fosse stata presentata questa scena e gli fosse stato chiesto di musicarla, ci avrebbe scritto quella musica della sua Salome? Non sarà superfluo ricordare ciò che lo stesso Strauss – non so se mi spiego – scrisse testualmente, a proposito della sua creatura: …Salome (…) deve essere rappresentata con la massima semplicità e nobiltà di gesti; altrimenti (…) invece di pietà susciterà solo raccapriccio e orrore. Ecco, questo è ciò che suscita appunto la scena-madre dell'opera, selon Carsen.
Conclusa la quale scena, il nostro rientra nei panni del dr. Jekyll e Salome in quelli di… Salome. Prima della fine c'è però ancora tempo per una goliardata: una partita di palla-prigioniera in cui i compari e le comari del tetrarca si lanciano la testa mozzata di Jochanaan.
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Poi Salome chiude davvero in modo straordinario ed emozionante - pienamente in linea con il suo carattere e con i risvolti necrofili della sua personalità - con il voluttuoso, liberatorio bacio sulla bocca del profeta, finalmente tutto suo, come aveva testardamente desiderato. Dopodichè esce di scena – e da quel mondo per lei invivibile - dal fondo, verso il deserto, prima ancora che Herodes ordini ai suoi scherani di sopprimerla.
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Musicalmente?
Una grande (grandissima?) Janice Baird, voce potente, calda, chiara, espressiva. Le perdoneremo un paio di piccoli cali, ma davvero è stata eccellente, fino all'ultimo LA# dell'ultimo geküsst. Per lei un trionfo in piena regola.
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Mark S.Doss è ormai un punto di riferimento per Jochanaan. Non avrà – causa eccessiva abbronzatura, direbbe il nostro simpatico P.M. – la pelle bianca come le nevi di Giudea, ma la voce c'è tutta, e anche più. Personalmente – ma non glie ne faccio certo una colpa! – trovo il timbro della sua voce un tantino cupo per rappresentare un profeta che – contrariamente all'immaginazione nostra, e all'idea iniziale della stessa Salome – non è affatto un vegliardo, ma è addirittura giovanissimo. Grandi applausi anche per lui.
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Herodes era l'albionico Kim Begley: più che discreto, mi sento di dire, sul lato vocale, e davvero eccellente su quello attoriale.
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Alla Herodias di Irina Mishura darei un'ampia sufficienza: la musica che Strauss le affibbia non è delle più comode, ma lei vi ha tenuto dignitosamente botta. Eccellente anche lei nella recitazione.
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Narraboth era Mark Milhofer, vocina piuttosto debole e spesso superata dall'orchestra (colpa di Weikert?) Anche Jennifer Holloway (paggio en-travesti della regina) ha faticato a farsi sentire già a metà platea. Tutti più che all'altezza dei rispettivi compiti gli altri del cast.
Il povero Ralf Weikert è stato l'unico a beccarsi due o tre buh all'uscita. Per me francamente ingenerosi e forse più motivati dal disappunto per le defezioni di Mehta prima e Carignani poi, che da effettivo demerito. Del resto, dovendo sostituire il Kapellmeister a pochi giorni dalla prima di una simile opera non si poteva – credo io – far di meglio che ricorrere ad uno che almeno la Salome l'ha già diretta più e più volte e – vista l'anagrafe – deve essere anche rotto a tutti gli imprevisti.
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In conclusione: grazie al Maggio per averci ancora regalato, Bondi funestante, uno spettacolo di alto livello e di averci permesso di provare emozioni che certa musica non cessa mai di suscitare.
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2 commenti:
Interessante Daland, la lettura ha rappresentato una buona preparazione all'ascolto in teatro, che per me è domani sera.
Solo una cosa mi sento di scrivere. Non so nello specifico, ma il Narraboth è proprio esile vocalmente, non credo sia colpa del direttore.
La Baird piace molto anche a me.
Ciao!
@Amfortas
Troppo buono, come sempre. Sono sicuro che ti piacerà.
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