Ieri sera Gianandrea Noseda ha diretto un concerto per una raccolta di fondi a supporto di iniziative socio-culturali del Comune di Sesto San Giovanni, sua città natale.
La sede era l'enorme Arcimboldi, che si trova formalmente sul territorio di Milano, ma è in realtà ad un tiro di schioppo da Sesto, e sul cui sagrato spiccano i cinque blocchi di ferro delle Scogliere (scultura di Giuseppe Spagnulo) che magari non saranno stati sfornati da qualche pressa della vecchia Falck, ma ricordano assai efficacemente l'ormai tramontata vocazione siderurgica della vicina ex-Stalingrado d'Italia.
Che da anni è alle prese con un lento ma inesorabile processo di riconversione al terziario, e dove sterminate aree, un tempo occupate da altoforni e laminatoi – Noseda dice di ricordare ancora la sirena che da ragazzino lo svegliava ogni mattina - sono divenute terreno di conquista (e campo di battaglia) per i soliti noti palazzinari, piombati qui da ogni dove, che le amministrazioni comunali (quasi ininterrottamente di sinistra, o di centro-sinistra) cercano in qualche modo di tenere a bada, per limitarne quanto meno i danni.
Il concerto è stato una specie di prova generale di quello che – proprio questa sera, 21 ottobre – inaugura la stagione del Regio. Dopo il Boris, con cui ha aperto quella operistica, Noseda si ferma quindi in Russia – paese che lui conosce bene per essere stato a lungo Direttore ospite al Mariinskij – per proporci due opere fra loro assai distanti come struttura e concezione, oltre che come data di composizione. Una curiosità nella disposizione degli ottoni dell'orchestra: corni a destra, trombe a sinistra e tromboni-tuba al centro.
Nella prima parte viene eseguita la cantata Alexandr Nevskij di Prokofiev, tratta dalle musiche che l'autore compose nel 1938 per l'omonimo film di Eisenstein, il regista della C(or)azzata (smile!) Potemkin. Film patriottico (chiaramente apologetico del simpatico Baffone) e che mette alla berlina i tedeschi dell'odiato nazista-anti-bolscevico Hitler. E quindi ritirato precipitosamente dalle sale cinematografiche sovietiche all'indomani della firma del trattato Molotov-Ribbentrop (23 agosto 1939) per esservi riammesso puntualmente il 22 giugno 1941, il giorno stesso dell'invasione tedesca (ah, la Realpolitik!)
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Dalle 21 sezioni della colonna sonora del film, Prokofiev estrasse la cantata, che è costituita da sette brani, per orchestra, voce e coro:
1. La Russia sotto il giogo mongolo: cupa introduzione in DO minore, eseguita dalla sola orchestra, a presentarci la triste condizione della Russia (attorno al 1200) percorsa dalle orde degli sbifidi invasori Mongoli. In realtà proprio Nevskij sarà piuttosto arrendevole e diplomatico con figli e nipotini di Gengis Khan (del resto assai poco interessati ad imporre religioni, molto a riscuotere le decime) arrivando ad accettare per la sua Novgorod un ruolo di vassallaggio (tributi inclusi, che lui stesso riscuoterà!) nei loro confronti, per potersi interamente dedicare con ostinazione (e ferocia, diciamolo pure) a fronteggiare le minacce cattoliche provenienti dall'occidente.
2. La vittoria di Nevskij nel 1240 sugli svedesi presso la Neva (tonalità di SIb). Le cronache - piuttosto romanzate - dell'epoca narrano di un'armata nordica (svedesi, norvegesi e finnici, guidati da tale Spiridon) arrivata dal Baltico sulla Neva - con tanto di benedizione papale e con arcivescovi al seguito - e intenzionata a conquistare Novgorod e tutta la regione del lago Ladoga, per imporvi il cattolicesimo. Nevskij, aiutato da sei valorosi eroi (e da miracoli di santi e sante in paradiso…) la domenica del 15 luglio guida il suo popolo alla vittoria sugli invasori, ai cui superstiti non resta che ammucchiare i cadaveri dei loro capi e vescovi su alcune navi e affondarle nella Neva! E proprio dal nome del fiume deriva l'appellativo Nevskij affibbiato dopo la vittoria al ventenne (!) principe Alexander Yaroslavich, di cui il coro canta il ricordo, su una nobile melodia, che è diventata un po' la sigla dell'opera:
Sì, una battaglia abbiamo sostenuto sulle rive della Neva, presso la profonda Neva, presso l'ampia Neva.
3. I crociati a Pskov, in DO# minore, dove il coro evoca i Cavalieri Teutonici e le loro visite (non propriamente di cortesia) sul suolo russo. Gli odiati Nemtsy (termine dispregiativo, tipo testa-di-rapa) che dopo Pskov si apprestano ormai a conquistare Novgorod, sono descritti da Prokofiev con parole e musica che – cripticamente o scopertamente – sono indirizzate a colpire un paio di rappresentanti, o simpatizzanti, della cultura musicale tedesca. Tanto per cominciare, i cavalieri cantano versi in latino, e già questo la dice lunga: il latino era – per i russi - la lingua del Papa di Roma e di tutti coloro che al Papa erano in qualche modo asserviti. Si ricorderà che Musorgski, nella seconda versione del Boris, fa comparire a Kromy due gesuiti polacchi, cui mette in bocca delle giaculatorie in latino, musicate in modo da rendere i due immediatamente riconoscibili, e quindi disprezzabili come vermi dal popolo russo. Qui i teutonici cantano: Peregrinus expectavi pedes meos in cymbalis, che di per sè non significa proprio un bel nulla, meno di qualunque filastrocca strampalata. Ma significa molto quando si scopre – come ha fatto un solerte soprano del BBC Symphony Chorus - che si tratta della giustapposizione di parole estratte da diversi testi della Symphony of Psalms di Igor Stravinski! Cioè di quel traditore della patria, del quale notoriamente Prokofiev aveva una considerazione (perfettamente ricambiata peraltro) che non arrivava ai talloni. Quanto alla musica, non ci vorrà molto a riconoscervi più di una somiglianza con O Fortuna, dagli ancora freschi di stampa Carmina Burana, ultimo prodotto di colui che una propaganda appena un pochino faziosa poteva far passare benissimo come cavaliere-teutonico-filo-nazista: Carl Orff. Come si vede, anche la musica può diventare, all'occorrenza, un'arma da impiegarsi sul campo di battaglia…
4. Sollevati, o popolo russo! Nevskij, che si era nel frattempo ritirato a vita privata, tornando a fare il pescatore nella sua natìa Pereslavl, sul lago Pleshcheyevo, a nord di Mosca (quasi 500Km a sud-est di Novgorod!) viene supplicato, dagli abitanti della città minacciata, di tornare a guidare la lotta del popolo russo contro gli invasori teutonici. La musica (prevalentemente in MIb, poi in RE) descrive - con campane a festa e strombazzamenti che supportano il coro, con fiero cipiglio, ma anche con calme melodie tipicamente russe - la chiamata alle armi del popolo contro gli invasori:
Sollevati, o popolo russo a gloriosa, a mortale battaglia! Sollevati, popolo libero e difendi la nostra amata patria!
5. La battaglia sul ghiaccio del lago Chudskoye (al confine fra Russia ed Estonia) combattuta il 5 aprile del 1242, un sabato (dopo la domenica sulla Neva: evidentemente i week-end a quei tempi - in mancanza del campionato - erano dedicati allo sport della guerra). Lì, sullo stretto che collega la parte settentrionale del lago (Peipus) con quella meridionale (Pskov) presso una località chiamata roccia del corvo Nevskij sconfigge i Cavalieri Teutonici (e i loro alleati estoni Chud) guidati dal principe-vescovo Hermann di Buxhöveden. La cronaca romanzata, e mostrata nel film, ci informa che Nevskij, dopo un'intera giornata di battaglia corpo-a-corpo (incluso un suo vittorioso duello equestre con lo stesso Hermann) respinge i crociati sul ghiaccio del lago, che crolla sotto il peso delle loro metalliche armature e li inghiotte, ibernandoli direttamente! In realtà, magari, la vittoria dei russi fu specialmente dovuta al loro numero enormemente preponderante (ma ciò dichiarano gli sconfitti, toh!) Nella musica che accompagna la battaglia si trova anche un poco di Bruckner (introduzione della terza sinfonia) e ancora i Carmina dei Teutonici, che hanno la lezione che si meritano.
6. Il campo della morte, in DO minore. Una fanciulla, Olga, cerca il suo amato fra feriti e deceduti nella feroce battaglia. Il suo mesto e ansioso peregrinare è sottolineato dalla voce del mezzosoprano, presente soltanto in questo numero, che canta una straordinaria melodia:
A colui che cadde per la Russia in morte nobile, io bacerò i morti occhi, accarezzerò la sua fredda fronte.
7. Nevskij entra trionfalmente in Pskov riconquistata (in SIb maggiore). L'accordo che introduce il brano sembra portarci – non a caso – davanti La Grande Porta di Kiev di Musorgski. Ma subito il coro intona nuovamente – qui con grande enfasi - il nobile canto del secondo brano, e poi quello del quarto, per sottolineare l'apoteosi del popolo intero:
Nessun nemico calpesterà la nostra grande Russia! Sollevati in armi, nativa madre russa!
Si chiude con la gloria al Principe, che verrà addirittura canonizzato dalla Chiesa ortodossa, che gli ha dedicato più di una cattedrale (come quella di Parigi, costruita a metà dell'800).
Noseda ne dà un'interpretazione asciutta e stringata, senza lasciarsi andare a facili enfasi e a tempi retoricamente dilatati. Impressionante il volume di fuoco (smile!) sfoderato nel numero della battaglia. Come sempre perfetto il coro di Gabbiani, nelle melodie sussurrate, come nei poderosi e solenni proclami; brava la Nadežda Serdjuk, applaudita dopo il suo numero (al solito non si sa se per deliberato omaggio alla sua prestazione, o per… ignoranza dei contenuti della cantata) ma tutti – maestri, solista e professori – sono stati veramente all'altezza del compito e lungamente acclamati.
Seconda parte con la Seconda di Rachmaninov, composta 30 anni prima del Nevskij. Un'opera – come quasi tutta la produzione del nostro – che guarda all'indietro, proprio negli stessi giorni in cui un tale Mahler faceva da battistrada a Schönberg&C, verso nuovi orizzonti. Sinfonia che sta comunque riconquistando terreno, se è vero che solo a Milano la si è sentita per altre due volte in meno di un anno: con Pappano e i Filarmonici della Scala a novembre 2009 e poi con Zhang all'Auditorium lo scorso maggio.
Noseda ci mette tutta la passione del suo cuore, che ancora batte in russo, evidentemente: serve quanto meno a farci meglio digerire la mappazza. L'unico problema che ha, poveretto, è la partitura formato-tascabile che si ritrova sul leggìo, con le pagine che si rigirano da sole. Il pubblico, folto ma largamente insufficiente a riempire l'enorme anfiteatro, apprezza assai e applaude lungamente il suo beniamino e l'orchestra del Regio, davvero superba in tutte le sezioni.
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