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01 ottobre, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 4


Ancora Mahler, stavolta con l'amato (fin troppo?) Schumann, per il quarto concerto de laVerdi, sempre con Xian Zhang sul podio.

Mahler è stato per Schumann ciò che Rimsky-Korsakov fu per Musorgski: il riorchestratore delle sue opere. L'intento – in entrambi – è nobile: come scrisse il boemo far emergere tutto ciò che si trova in germe dentro l'opera e ciò che ha intravisto l'immaginazione del compositore…

Naturalmente c'è sempre chi si pone alcune più che legittime domande: ma non aveva diritto Schumann (come Musorgski più avanti) di scrivere musica come la sentiva e come gli pareva? E non sono quindi gli interventi dei Mahler e dei Rimsky da considerarsi arbitrari e - in definitiva – censurabili? E ciò che si fa passare per orchestrazione carente, non è per caso un punto di forza dell'opera originale? E operazioni fatte (in perfetta buona fede?) da un Mahler o da un Rimsky, non rischiano di creare fastidiosi precedenti, aprendo le porte ad ogni tipo di cervellotico intervento in campo altrui?

In effetti, se si accettano in linea di principio ritocchi à la Mahler o à la Rimsky, allora persino un tale Beethoven potrebbe definirsi perfezionabile, e un tale Wagner potrebbe essere doverosamente sottoposto a qualche sverniciatura e maquillage! Ma soprattutto il flagello dei rimaneggiamenti potrebbe abbattersi proprio su Mahler, che quasi mai lasciò in pace una sua sinfonia, dopo averla licenziata.

Questione di principio? Di lana caprina? O più semplicemente di abitudini e/o di mode? Forse – come sempre del resto – dipende. Intanto: dalla quantità, qualità e profondità degli interventi. Quelli di Rimsky su Musorgski furono tanti e profondi, al punto da (quasi) stravolgere gli originali: anche l'orecchio più disattento si accorge della differenza fra il Boris, la Kovancina e il Monte Calvo originali e le rispettive versioni di Rimsky. Quelli di Mahler su Schumann furono assai meno drastici, più che altro indirizzati a ritoccare l'agogica o a far risaltare le linee principali della melodia: e l'orecchio dell'ascoltatore medio e non-addetto-ai-lavori può facilmente scambiarli per scelte interpretative del Direttore di turno. In ogni caso, sta sempre a noi giudicare il risultato estetico dell'operazione.

Ecco quindi la Quarta del grande Robert come ritoccata dal grande Gustav. Come nella sua prima, scritta quasi contemporaneamente (la quarta diventerà tale 10 anni dopo, e dopo… revisione!) Schumann finge di attenersi alle sacre regole dei padri fondatori della sinfonia (introduzione lenta al Vivace del primo movimento) ma poi si sbizzarrisce in innumerevoli innovazioni (non per nulla Mahler ne avrà grande considerazione): temi che ritornano ciclicamente – quello dell'introduzione riappare nella successiva Romanza e l'assolo del primo violino in questa torna nello Scherzo; l'ultimo movimento riprende il tema principale del primo, etc. – e frequenti colpi di teatro, a interrompere il regolare flusso dei temi, oltre a libertà ardite, come la conclusione imprevedibilmente zoppa dello Scherzo.
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Xian Zhang la esegue con piglio quasi espressionista, proprio mahleriano si direbbe: niente ritornelli e tempi piuttosto rapidi e nervosi. Bravi gli ottoni, impegnati alla grande, così come il Konzertmeister Luca Santaniello, negli assoli della Romanza, accanto ai quali compare un motivo che Mahler ricorderà al momento di chiudere l'ultimo dei Kindertotenlieder:

E in fatto di richiami, se non proprio di citazioni, nell'ultimo movimento troviamo il secondo tema, inizialmente esposto in LA maggiore (dominante del RE di impianto) del cui caratteristico procedere si ricorderà Bruckner nel finale della sua sesta, anch'essa in LA:
Come si vede, i rimandi e i legami – più o meno forti o labili – fra Schumann e i sinfonisti tardo-romantici sono sparsi un po' ovunque.

In complesso un'esecuzione assai pregevole ed apprezzata, quella dei verdiani, gratificata da consistenti applausi, di un pubblico (peccato) non proprio da tutto-esaurito.

Ecco poi la Quarta di Mahler, che era stata introdotta, prima del concerto, nel super-affollato foyer sotterraneo dell'Auditorium, da una fulminante ed acclamata presentazione del prof. Federico Lazzaro. Opera solo apparentemente leggera e innocente, ma in realtà zeppa di segnali e riferimenti lugubri, macabri e irriverenti. A cominciare dai sonagli dell'inizio e dalla trombetta che anticipa la marcia funebre della quinta, per continuare con il violino dis-accordato dello Scherzo (che Santaniello si tiene a portata di mano sul seggiolone del pianoforte) che è – secondo le credenze antiche –suonato nientemeno che dalla morte!
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E poi, a proposito di scenari da tocchiamoci le p…, nel terzo movimento (Ruhevoll) compare una citazione, che è allo stesso tempo un'anticipazione: un inciso dall'Aida, ultima scena (tombale, vero?) che diventerà poi il tema del secondo dei necrofili Kindertotenlieder (nb: Xian Zhang qui è stata stre-pi-to-sa!):
Da cui si conferma l'attitudine di Herr Kapellmeister Mahler (sarcasticamente biasimata dai suoi detrattori) a ricordare nelle sue opere molto di ciò che dirigeva di opere altrui; ma da cui allo stesso tempo si desume l'intima coerenza di tutta la musica del boemo, la cui intera produzione si potrebbe – in senso lato – considerare come un'unica, ininterrotta, grande opera.
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E a proposito di innovazioni, la sinfonia si chiude con un Lied, per interpretare il quale è arrivata sul palco (fra secondo e terzo movimento) la brava Inger Dam-Jensen. Una cosa da tarallucci e vino …in paradiso. Con Erode e sanLuca in veste di macellai, e non meno di undicimila vergini che si mettono a danzare con l'orchestrina della santaCecilia!

Finisce però nel più celestiale dei MI maggiore, con la Dam-Jensen (peraltro di vocina assai piccola) a spiegarci che le voci angeliche ridestano i sentimenti:

Poi tutto sfuma, in ppp, sul MI gravissimo dell'arpa, non a caso dislocata subito dietro i contrabbassi, che la rilevano per chiudere sul MI grave, morendo, su una corona puntata che Zhang prolunga religiosamente per parecchi secondi. Ma, in fondo, a noi resta sempre il dubbio (giusto, cari Arnim&Brentano?): era, o no, solo un paradiso di cartapesta?

In ogni modo, a questo paradiso il pubblico dell'Auditorium riserva un'accoglienza più da stadio che da chiesa!
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La prossima settimana un gradevole intermezzo mozartiano, ospite il venerabile Salvatore Accardo.
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