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15 ottobre, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 6



Nuovo appuntamento mahleriano all'Auditorium (con parecchie poltrone vuote, ahinoi). Sul podio il 52enne albionico Paul Daniel.

Che dirige in apertura il Concerto per violoncello di Schumann (compositore austriaco, secondo qualcuno, smile!) interpretato allo strumento solista da Daniel Müller-Schott. Orchestra assolutamente classica, con tutti i fiati a coppie (naturalmente banditi tromboni e tube) timpani e archi.
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Dopo le quattro battute iniziali, con gli accordi dei legni, il violoncello canta la nobile melodia del tema principale:



Da essa si sviluppa, in pratica, tutto il concerto, che in realtà Schumann aveva inizialmente battezzato come Konzertstück, termine effettivamente più appropriato a definire una composizione che si allontana parecchio dalla forma classica e tradizionale.

Già le indicazioni dinamiche sono in lingua tedesca (ma qui siamo proprio all'etichetta) ma poi, nel movimento iniziale, manca la struttura di forma-sonata, sostituita da una serie di riproposizioni del tema in diverse tonalità, inframmezzata da motivi affidati all'orchestra. Seguono l'intermezzo lento e il finale molto vivace, verso il termine del quale Schumann scrive una cadenza accompagnata (qui a 6:27 eseguita da Rostropovich con un barbuto Bernstein nel lontano 1976) cui si attiene anche il giovane violoncellista tedesco, al contrario di quanto fanno altri interpreti, come il sommo Pablo Casals, che esegue (qui a 4:37) con Ormandy nel 1953 una sua cadenza solistica basata sul tema principale.

Müller-Schott sciorina una buona prestazione, anche se forse bada più, come dire, al virtuosismo e alla precisione, che alla poesia. Ma si merita un caldo applauso e concede un bis britteniano.

Ecco poi il piatto forte della serata, la Sesta mahleriana. La consueta conferenza di presentazione della sinfonia è stata tenuta ieri sera da un giovane ma valentissimo musicista e musicologo: Davide Verga. Che ha incentrato tutta l'attenzione sugli aspetti per così dire filosofici della tragicità che pervade questa sinfonia. Sulla Sesta e i suoi enigmi ho scritto alcune considerazioni circa un anno fa, in occasione del concerto della London Symphony alla Scala, che si possono leggere qui.

Paul Daniel non passa, per la verità, per grande interprete mahleriano, per di più paroneggiare questo mostro che è la sesta non dev'essere per nulla facile. Intanto però, che scelta ha compiuto riguardo la sequenza dei movimenti (scherzo-andante o andante-scherzo?) su cui Mahler per primo ebbe infiniti tentennamenti? Prima di dare la risposta, mi permetterei di indicare alcune diverse prospettive interpretative che possono condizionare la scelta (ciascuna ha i suoi pro e contro, come lo stesso Mahler ebbe occasione di sperimentare):

1. Se si guarda all'equilibrio dell'opera in termini di durate temporali, sembrerebbe pacifico mettere lo scherzo in seconda posizione: abbiamo in questo caso i movimenti 1+2 che occupano 35 minuti e poi l'andante di 15 minuti che serve a prender fiato prima dell'altra mezz'ora del finale burrascoso. In questa soluzione la Sesta si avvicina quasi alla Quinta (che ha tre movimenti mossi, poi il calmo adagietto prima del finale allegro).

2. Se si guarda alla forma classica - che secondo taluni, Adorno in testa - sarebbe alla base della concezione artistica della Sesta, allora l'andante dovrebbe venire prima dello scherzo (in fondo anche Beethoven fece uno strappo alla regola soltanto con la sua Nona, per il resto collocò sempre il movimento più lento in seconda posizione).

3. Poi c'è la vista da poema sinfonico, autorizzata sia dai riferimenti extramusicali e autobiografici, che dalle arditezze di certe indicazioni dinamiche e dall'uso di strumenti che nulla hanno a che fare con la sinfonia classica (celesta, campanacci da mucca, martello e altre percussioni). Secondo tale approccio verrebbe ancora da preferire lo scherzo in posizione avanzata, in quanto avremmo: il ritratto di Alma, poi le piccole Putzi e Gucki che giocano in riva al lago, quindi un accorato sguardo all'indietro verso i bei giorni passati, e infine le tre mazzate del destino che abbattono definitivamente l'artista e l'uomo.

Daniel – come ci sia arrivato lo saprà lui – ha deciso per la soluzione Andante-Scherzo, quella che per la verità sta tornando di moda, dopo che per lunghissimo tempo i direttori hanno privilegiato l'altra (ma in attesa che il ritrovamento di qualche appunto, diario, lettera, faccia ri-pendere la bilancia dalla parte opposta). E quindi anche i colpi di martello ligneo del finale sono ridotti a due. Abbastanza inconsueta anche la disposizione degli archi, un misto fra quella alto-tedesca e quella moderna: i violini secondi vengono in prima fila, a destra del direttore, ma a sinistra – dietro i violini primi – traslocano le viole, mentre violoncelli e bassi restano sulla destra.

Che dire dell'esecuzione? Attestata e riconosciuta l'abnegazione di tutti, non si può certo parlare di un modello. Daniel ha parecchio gigioneggiato (segno per me di insicurezza su come domare il mostro) già dal tema di Alma e poi nello scherzo. Il finale ha purtroppo sofferto anche di alcune evidenti stecche di corni e trombette. Insomma, c'è qualcosa da migliorare, magari per le due prossime repliche.

E la prossima settimana arriva un altro toro mahleriano da prender per le corna, sperabilmente (ma l'orchestra ci è già riuscita in passato): la Resurrezione, preceduta da un beneaugurante Mozart al pianoforte.

Però laVerdi è infaticabile, e domenica 17, dopo la replica pomeridiana di questo concerto correrà alla Scala per fare un'opera di bene.
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