ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

12 novembre, 2009

Antonio Pappano alla Scala

.
Tutto russo il programma con cui Antonio Pappano è stato ospite – 8, 10 e 11 novembre - della Stagione concertistica del Teatro alla Scala. Per quel complicato e un po’ levantino rapporto che intercorre fra Filarmonica e Teatro (dove si alternano e si mescolano i ruoli di cliente e fornitore) Pappano ha anche inaugurato sabato 7 – con diretta su Radio3 - la Stagione concertistica della Filarmonica, con un programma di poco diverso (Prokofiev invece di Shostakovich nel concerto solistico).

Ieri sera l’affluenza è stata buona, anche se non c’era proprio il tutto esaurito (molti vuoti nei palchi, e in effetti parecchi posti di palco erano offerti in internet ancora a due ore dal concerto). Magari quel Rachmaninov sinfonico può aver lasciato un tantino perplessi…

Un’occhiata all’Orchestra, che Pappano dispone secondo layout moderno, ma scambia seggiole e leggìi di violoncelli e viole, mettendo queste ultime in primo piano (forse per “rischiarare” il suono).

Si apre, come nelle migliori tradizioni concertistiche, con una pagina di grande effetto: l’Ouverture di Ruslan & Ljudmila di Glinka. I cronisti di Radio3 sabato anticipavano che Pappano la esegue con grandissima velocità. La partitura indica un metronomo di 140 minime al minuto (anzi in una copia 135) e farla a gran velocità significherebbe imitare questo Mravinsky, che la attacca addirittura a 180! Diciamo che Pappano, ad orecchio e croce, ha rispettato (sia sabato che ieri) i dettami di Glinka. Nonostante ciò, qualcuno degli ottoni fa subito una spernacchiata. Pazienza, ad ogni buon conto il risultato di riscaldare il pubblico (e anche di consentire a qualche ritardatario di prendere posto in palco senza essere troppo di disturbo) è conseguito alla grande.

Poi abbiamo un’opera assai difficile, oltre che interessante: il primo concerto per violoncello di Shostakovich (composto esattamente 50 anni fa, come omaggio al grande Mstislav) suonato da Han-Na Chang, 27enne coreana già di casa in Italia prima di esplodere come grande star, a nemmeno 12 anni, nel 1994 (un refuso sul programma di sala recita 1944!) Per lei l’Op.107 del russo è un cavallo di battaglia, una passione certo trasmessale dai suoi maestri: il destinatario dell’opera, Rostropovich, e il “senese” Mischa Maisky, a sua volta grande interprete del concerto. Su youtube si può trovare una sua esecuzione ai Proms-2006, con la BBC National Orchestra of Wales, diretta da Tadaaki Otaka (Allegretto, Moderato-a, Moderato-b, Cadenza, Allegro con moto) proprio nel periodo in cui la coreana registrò il concerto con Pappano. C’è anche la prima incisione di Rostropovich e Ormandy con la Philadelphia (Allegretto, Moderato, Cadenza, Allegro con moto). E altre ancora.
.
La ragazza – in un lungo e scollato verde smeraldo - dà veramente spettacolo, ben supportata da un Pappano che da tempo ha con lei un grande affiatamento. E che in questo concerto – tutto sbilanciato sulla solista, dove l’orchestra nel suo insieme quasi non esiste, salvo che fugacemente nel Moderato e nel finale, sostituita da interventi a loro volta solistici di pochi strumenti (corno, strumentini, timpano, celesta) – si assume il compito di garantirle il massimo rilievo. Durante i 5 minuti della Cadenza non si sente volare una mosca (l’influenza A, tossi, raffreddori e bronchiti non hanno ancora evidentemente contagiato alcuno dei musicofili scaligeri… e nessun telefonino viene raggiunto da polifoniche chiamate): un orchestrale alza e abbassa l’archetto, un altro si passa la mano sotto il naso, un altro ancora si accarezza un sopracciglio, tutto qua. Pappano resta – capo chino – immobile con la mano sinistra appoggiata al leggìo. Solo quando la Chang arriva al conclusivo molto mosso, Pappano si muove anche lui, ma solo per girare la pagina della partitura, in vista del finale. Per dire, quanta religiosità si avvertiva nell’aria! Alla fine, dopo lo strappo forse fin troppo rumoroso del timpano, grandi applausi e nessun bis, ma obiettivamente il concerto è talmente ricco e impegnativo per la solista, che il pubblico deve più che mai accontentarsi. E poi la musica di Shostakovich qui è talmente percussiva che alla povera Chang erano ormai rimasti solo due o tre fili di crine sull’archetto, per cui rischiava di dover suonare il bis col legno.

Della seconda sinfonia di Rachmaninov ricorreva lo scorso anno il centenario dalla prima esecuzione. Sinfonia quindi coeva di quelle dell’ultimo Mahler, tanto per orizzontarsi un po’. Ma davvero lontana – diciamo pure… verso il basso – anni luce dai capolavori del boemo. Se quest’ultimo faceva tesoro delle innovazioni wagneriane, innestandole sul corpo della sinfonia fino a stravolgerla, per metterci dentro tutto il suo programma filosofico ed esistenziale – esplicito o criptico che fosse - il russo sembra, nella seconda, avere semplicemente cercato un’omologazione formalistica – magari in omaggio a Dresda, che lo ospitava al tempo e dove poteva sentire tanta grande musica - ad alcune sue idee-fisse e al suo modo di esprimersi in musica. Incidentalmente, fra Rachmaninov e Mahler ci furono, nel 1910 a New York, rapporti assai calorosi e proficui: fu grazie alla direzione di Mahler se il fresco terzo concerto per pianoforte del russo raggiunse l’apice della popolarità. Tornando alla sinfonia, che Pappano – nell’intervista rilasciata alla radio – abbia speso per questa espressioni iperboliche… beh, diciamo che fa parte del comprensibile marketing per un programma da presentare in un teatro importante, oltre che delle legittime simpatie che un Direttore ha il diritto di nutrire per una certa opera. Va comunque detto – a tutto merito del compositore – che alcune sue idee sono divenute più tardi degli interessanti spunti per altri musicisti russi, segnatamente Prokofiev e soprattutto Shostakovich (certo non a caso affiancati da Pappano a Rachmaninov nei 4 concerti degli scorsi giorni).

L’introduzione Largo del primo tempo ricorda vagamente l’atmosfera del famosissimo secondo concerto per pianoforte, scritto qualche anno prima. Ma si intravedono anche delle reminiscenze tristaniane. Il tutto in una scolastica applicazione della forma sonata di buona memoria haydniana. Peccato che i contenuti estetici – o se si preferisce, la narrativa dei temi – siano di una mediocrità desolante. Nell’esposizione, al primo tema, che con scarsa fantasia riprende in Allegro moderato quello in MI minore dell’introduzione, segue il secondo tema nella relativa SOL maggiore, una melodia orecchiabile (un frammento della quale si può rintracciare nel Largo della quinta sinfonia di Shostakovich) che si impaluda però senza ulteriore costrutto. Meno male che Pappano non si è sognato di fare il da-capo, chè anche riascoltando cento volte l’esposizione si faticherebbe ad esserne particolarmente stimolati. Lo sviluppo, che è insieme anche ricapitolazione, aperto magistralmente dal violino solo, arricchisce il primo tema con cupe divagazioni e folate che richiamano la scozzese di Mendelssohn; poi la sezione centrale contiene pesanti interventi degli ottoni – quasi perfetti, qui, i filarmonici - con ripetute e drammatizzanti quinte e poi ottave discendenti che portano il climax all’incandescenza, prima che un diminuendo conduca al secondo tema, esposto nel canonico MI maggiore preparato dagli accordi degli strumentini, che viene arricchito – si fa per dire – da qualche slancio ciajkovskiano. Il MI minore riprende quindi bruscamente il sopravvento, chiudendo il movimento con gran fracasso e – gratuita civetteria del velleitario Sergei – facendo seguire all’ultimo accordo dell’orchestra al gran completo un MI sforzato dei soli violoncelli e contrabbassi, che a chi non ha dato un’occhiata alla partitura appare normalmente come un clamoroso fuori tempo di quegli strumentisti. E proprio ad evitare fraintendimenti, Pappano quasi raddoppia la lunghezza della semiminima conclusiva e di quella vuota che la precede.

Va però dato atto a Rachmaninov di sciorinare una discreta inventiva nell’Allegro molto in LA minore, con quel vigoroso segnale dei corni a cui gli archi rispondono con uno stilema che diventerà caratteristico di tanti passaggi di Shostakovich. Il secondo tema, nella relativa DO maggiore, richiama – dilatato - il primo tema del movimento iniziale. Il movimento ha una struttura simmetrica: esposizione dei temi A-B-A; sezione centrale di vaste proporzioni, dove archi e strumentini, spesso in staccato, e con pesanti interventi degli ottoni, disegnano arabeschi spettrali, che Pappano fa eseguire con grande maestrìa; poi riesposizione variata dei temi A-B-A e successivo corale degli ottoni – un ritorno del Dies Irae, davvero un’idea-fissa del nostro, chissà se mutuata da Berlioz - per introdurre la lugubre chiusa in ppp, lasciata a pochi strumenti (archi, clarinetto e timpano). Bravi davvero anche qui tutti gli ottoni scaligeri nel rendere al meglio l’ambientazione del brano. Così come l’addetto al glockenspiel, che ha una parte di tutto rilievo.

Nel Largo in LA maggiore sentiamo il tema principale, che parte dalla tonica e sale all’ottava superiore passando attraverso mediante, dominante e settima, per poi appoggiarsi sulla sesta, e sembra una classica musica da film hollywoodiano (qualche anno fa ne fu ricavata anche una canzonetta). Il clarinetto presenta poi una lunga – e francamente stucchevole e poco incisiva – linea melodica, una scimmiottatura in peggio di quella del tempo centrale del secondo concerto per pianoforte, che sfocia nella riproposizione del tema principale negli archi. Pappano cerca di indorarci la pillola, ottenendo dai secondi violini un bel pianissimo per le loro ondeggianti terzine, ma è davvero difficile cavar sangue da questa rapa rachmaninoviana! Ricompare il primo tema del movimento iniziale, quasi un motto della sinfonia, sviluppato ampiamente, fino al ritorno del tema del Largo, che chiude in DO maggiore. Segue poi la seconda sezione, con i fiati in bella evidenza, che sviluppa i temi e conduce al ritorno a La maggiore, su cui abbiamo – altro squarcio per la verità interessante - la conclusione intimistica, una cadenza che sta a metà fra la reminiscenza di quella dell’Adagietto della quinta e l’anticipazione di quella conclusiva della nona mahleriana, in cui Pappano guida le viole proprio prendendole per mano, sul pizzicato degli archi bassi.

Il finale Allegro vivace, forma sonata, si apre con una sorta di saltarello in MI maggiore: ci si scorge financo funiculì-funiculà, che già Richard Strauss aveva infilato nel suo Aus Italien. Dopo una breve divagazione marziale di strumentini e corni, le trombe vi inseriscono un richiamo del segnale dei corni del secondo movimento. Il tema si chiude con arpeggi di terzine che riecheggiano Scriabin, che quasi contemporaneamente componeva il suo Poema dell’estasi. Poi abbiamo un tema in RE maggiore - che richiama quello in SOL del primo movimento (qualcuno ci potrà scorgere anche lo Schubert dell’Andante con moto dell’Incompiuta) – che si sviluppa assai ampiamente, per far posto a quello del Largo, che ritorna nella breve sezione in Adagio, sempre in RE, contrappuntato col motto dagli strumentini. Poi la ripresa del tema iniziale, variato à la Mendelssohn (scherzo del Sogno) e quindi, dopo il passo marziale, il secondo tema viene canonicamente riproposto nella tonalità principale di MI maggiore e conduce sempre più enfaticamente verso la conclusione, con piatti e gran cassa elargiti a piene mani.

Ecco, va dato atto al Maestro Pappano e ai Professori di averci messo tutto il miglior impegno: Rachmaninov ha proprio di che ringraziarli dalla tomba, se applausi ed ovazioni sono andati un pochino anche a lui!

(Domenica sera la Scala ospiterà gli albionici della London Symphony con Harding, per un concertone di quelli davvero tosti).
.

2 commenti:

Giuliano ha detto...

Herr Daland, vengo dal sito di Amfortas e porgo un saluto. Mi sono finalmente deciso a curiosare fra i tuoi blog, e ho trovato parecchie cose interessanti.
E infine mi sono detto: stai a vedere che è uno che conosco? Ho visto tutte le stagioni della Scala dal 1979/80. però manco dal Loggione da tempo immemorabile, 1996 o 1997. E non so se tornerò, quantomeno vorrei rivedere la facciata di un colore verdiano, non come adesso che sembra di essere al Monumentale...

Unknown ha detto...

Giuliano,
grazie della visita e delle gentili espressioni!
Non credo che ci possiamo conoscere per le frequentazioni scaligere. Io dal 1980 circa ho smesso di frequentare - stabilmente - il Teatro, per svariati motivi. Ho ricominciato relativamente di recente, avendo molto più tempo libero.
Sì, la Scala è diventata un misto tra cimitero monumentale e centro direzionale. Dentro, però e cambiata poco (salvo il palcoscenico e ciò che ci sta dietro-sopra).