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Dopo Parma e laVerdi, un terzo Requiem, alla Scala.
Un cast davvero di prim’ordine sotto la bacchetta di Barenboim&Casoni (che si ritroveranno col Kaufmann-Josè a dicembre per l’apertura della Stagione). Il programma di sala presenta sempre Youn e non Pape, almeno un fogliettino con errata corrige si poteva predisporre, credo…)
Sala non proprio esaurita: non vorrei sbagliare, me ho il sospetto che la pricing-policy del Teatro – forse dato il frangente di crisi generale e di tagli FUS – stia privilegiando la massimizzazione dell’incasso, e non quella delle presenze. Mi spiego: ad una media di 80€ a biglietto si attirano 1500 persone, per un incasso di 120.000€. Per attirare 2000 persone (cioè riempire il teatro) bisognerebbe abbassare la media a 50€, il che porterebbe un incasso di 100.000€. Quindi: meglio pochi, ma disposti a spendere, piuttosto che tanti con meno euri da cacciare. Forse bene per le casse scaligere; per la cultura, un disastro.
Note tecniche: orchestra con disposizione teutonica (anche questo è un segno…) ma con i corni a destra, sotto gli altri ottoni (con la tuba e non l’oficleide); trombette lontane disposte in due palchi del 3°ordine; solisti dislocati – scelta ragionevole - sul proscenio.
Mercoledì c’era stata l’altra rappresentazione, preceduta da quella di Parigi, in tournée, di cui erano giunte notizie ora esaltanti, ora preoccupanti. E anche il 18 qui a Milano le cose sembravano essere andate così-così, stando ai super-esperti di canto verdiano.
Che dire? Con una facile battuta si potrebbe sostenere che abbiamo ascoltato Ein italienisches Requiem… Brutto? Per me, direi proprio di no, forse perché vedo poca distanza fra l’ultimo Verdi e la tradizione teutonica. Mi ero portato la partitura, e così ho potuto controllare da vicino, almeno l’aspetto puramente tecnico. Barenboim è stato più svizzero che tedesco (come puntualità). A parte un paio di cambiamenti di tempo appena un pochino anticipati, ha spaccato il capello (la partitura di Verdi) in quattro. Pianissimi e fracassi sempre al posto giusto e della giusta intensità. Le uniche sue sbavature sono state le due discese dal podio: prima del Dies Irae, per sistemare il leggìo alla Ganassi e prima dell’Offertorium, per spostare, con l’aiuto di Kaufmann, la sua pedana di 30 cm. verso il proscenio (forse per meglio vedere o essere visto dai solisti). E sul Kapellmeister ho detto tutto, semplicemente strepitoso.
Come compito a casa, prima del concerto, ho riascoltato – riversata da un vecchio vinile – l’edizione di Serafin, Opera Roma 1939, con le sante Caniglia e Stignani, insieme ai beati Gigli e Pinza. Roba sopraffina, ed anche un po’ umoristica (a proposito di corretta pronuncia di cui facciamo menda a qualche straniero): la grande Stignani doveva farsi chiamare Aba e non Ebe, visto che per lei la e si pronunciava a (tipico side-effect, questo, del prezioso immascheramento della voce…) Come: Quidquid latat apparabit; o anche: Nil inultum ramanabit, e così via storpiando il povero latino. Certo, voci sontuose, da rimpiangere come …Coppi e Bartali o Meazza e Piola in altri campi delle umane arti.
I cantori moderni, invece, come se la sono cavata? A mio modestissimo avviso passabilmente bene, chi più, chi meno, come sempre accade. Ma sempre bene, intendiamoci. I due tedeschi, proprio perché tedeschi, erano i più sospettati di essere in combutta con il Maestro, oltretutto tedesco adottivo pure lui, per rovinare l’arte italica. Invece in quest’opera, che è italiana ma non è né Traviata, né Rigoletto (infatti piacque moltissimo a Brahms, che di Requiem se ne intendeva) un po’ di rigore teutonico non guasta. Kaufmann il meno appariscente direi, ma si merita ampiamente la sufficienza, di fronte ad una parte espressivamente assai difficile. Quanto alla sensibilità, se uno come Pape riesce a fare, come fa, il Wotan del terzo atto di Walküre, certo sarà difficile imputargli di non sapere cogliere le sottigliezze verdiane nascoste nel Confutatis. E infatti la sua prestazione è stata per me più che degna, se non proprio eccellente. Le due signore non saranno come la premiata coppia Caniglia-Stignani, ma ieri sera se la sono cavata dignitosamente. Frittoli bravissima in alto, anche se poco udibile in basso; la Ganassi ha forse poca voce, ma quella poca la sa valorizzare al meglio.
Quindi autentico e meritato trionfo per tutti alla fine, con ripetute chiamate per Barenboim, Casoni (ça-va-sans-dire, ormai il coro è una sicurezza matematica) e i solisti. Una gran serata di musica!
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PS: curiosità (mia) parlando di aspetti tecnico-filologici del Requiem.
Resta sempre un rebus, per me, l’Offertorium, in quanto alla dinamica. Io non possiedo tutte le edizioni di questo mondo, menchemeno il manoscritto verdiano. Guardo la tascabile Eulenburg-975, e anche un’edizione della Biblioteca Classica russa, oltre che una riduzione inglese per piano (accessibili in rete). Sempre compare il metronomo di 66 semiminime puntate. Nelle edizioni curate da Saladino, riduzioni per pianoforte, pure accessibili in rete, invece il metronomo è indicato a 66 semiminime e basta. Una differenza di un terzo! E pare che la prassi esecutiva si sia orientata – magari a ragione – su questa versione più lenta. Secondo la quale, in un minuto si devono percorrere 22 misure (6/8, quindi 3 semiminime a misura) e arrivare quindi alla fine della linea discendente del violoncello dopo il primo Christe di mezzosoprano e tenore. Ed è ciò che fanno – in tempi di 55-58 secondi - Serafin, nell’edizione citata, come anche Abbado, Karajan, Bernstein e Giulini. Viceversa Toscanini sembra avvicinarsi al metronomo più veloce (che in un minuto comporterebbe di raggiungere la fine del Libera animas del basso, 11 misure più avanti) e più veloce ancora va il compianto Jansug Kakhidze, che si avvicina moltissimo al metronomo più rapido. Barenboim? Ad orecchio, anche lui si è allineato alla prassi dei più (a Parma in ottobre Maazel mi era parso più veloce, diciamo almeno come Toscanini, mentre la Zhang con laVerdi a fine ottobre aveva tenuto l’approccio moderato).
È questa una questione filologica, che qualcuno avrà evidentemente affrontato, anche se non ho trovato in giro riferimenti puntuali. Poi ognuno può avere i propri gusti (io sono per la velocità…)
Un cast davvero di prim’ordine sotto la bacchetta di Barenboim&Casoni (che si ritroveranno col Kaufmann-Josè a dicembre per l’apertura della Stagione). Il programma di sala presenta sempre Youn e non Pape, almeno un fogliettino con errata corrige si poteva predisporre, credo…)
Sala non proprio esaurita: non vorrei sbagliare, me ho il sospetto che la pricing-policy del Teatro – forse dato il frangente di crisi generale e di tagli FUS – stia privilegiando la massimizzazione dell’incasso, e non quella delle presenze. Mi spiego: ad una media di 80€ a biglietto si attirano 1500 persone, per un incasso di 120.000€. Per attirare 2000 persone (cioè riempire il teatro) bisognerebbe abbassare la media a 50€, il che porterebbe un incasso di 100.000€. Quindi: meglio pochi, ma disposti a spendere, piuttosto che tanti con meno euri da cacciare. Forse bene per le casse scaligere; per la cultura, un disastro.
Note tecniche: orchestra con disposizione teutonica (anche questo è un segno…) ma con i corni a destra, sotto gli altri ottoni (con la tuba e non l’oficleide); trombette lontane disposte in due palchi del 3°ordine; solisti dislocati – scelta ragionevole - sul proscenio.
Mercoledì c’era stata l’altra rappresentazione, preceduta da quella di Parigi, in tournée, di cui erano giunte notizie ora esaltanti, ora preoccupanti. E anche il 18 qui a Milano le cose sembravano essere andate così-così, stando ai super-esperti di canto verdiano.
Che dire? Con una facile battuta si potrebbe sostenere che abbiamo ascoltato Ein italienisches Requiem… Brutto? Per me, direi proprio di no, forse perché vedo poca distanza fra l’ultimo Verdi e la tradizione teutonica. Mi ero portato la partitura, e così ho potuto controllare da vicino, almeno l’aspetto puramente tecnico. Barenboim è stato più svizzero che tedesco (come puntualità). A parte un paio di cambiamenti di tempo appena un pochino anticipati, ha spaccato il capello (la partitura di Verdi) in quattro. Pianissimi e fracassi sempre al posto giusto e della giusta intensità. Le uniche sue sbavature sono state le due discese dal podio: prima del Dies Irae, per sistemare il leggìo alla Ganassi e prima dell’Offertorium, per spostare, con l’aiuto di Kaufmann, la sua pedana di 30 cm. verso il proscenio (forse per meglio vedere o essere visto dai solisti). E sul Kapellmeister ho detto tutto, semplicemente strepitoso.
Come compito a casa, prima del concerto, ho riascoltato – riversata da un vecchio vinile – l’edizione di Serafin, Opera Roma 1939, con le sante Caniglia e Stignani, insieme ai beati Gigli e Pinza. Roba sopraffina, ed anche un po’ umoristica (a proposito di corretta pronuncia di cui facciamo menda a qualche straniero): la grande Stignani doveva farsi chiamare Aba e non Ebe, visto che per lei la e si pronunciava a (tipico side-effect, questo, del prezioso immascheramento della voce…) Come: Quidquid latat apparabit; o anche: Nil inultum ramanabit, e così via storpiando il povero latino. Certo, voci sontuose, da rimpiangere come …Coppi e Bartali o Meazza e Piola in altri campi delle umane arti.
I cantori moderni, invece, come se la sono cavata? A mio modestissimo avviso passabilmente bene, chi più, chi meno, come sempre accade. Ma sempre bene, intendiamoci. I due tedeschi, proprio perché tedeschi, erano i più sospettati di essere in combutta con il Maestro, oltretutto tedesco adottivo pure lui, per rovinare l’arte italica. Invece in quest’opera, che è italiana ma non è né Traviata, né Rigoletto (infatti piacque moltissimo a Brahms, che di Requiem se ne intendeva) un po’ di rigore teutonico non guasta. Kaufmann il meno appariscente direi, ma si merita ampiamente la sufficienza, di fronte ad una parte espressivamente assai difficile. Quanto alla sensibilità, se uno come Pape riesce a fare, come fa, il Wotan del terzo atto di Walküre, certo sarà difficile imputargli di non sapere cogliere le sottigliezze verdiane nascoste nel Confutatis. E infatti la sua prestazione è stata per me più che degna, se non proprio eccellente. Le due signore non saranno come la premiata coppia Caniglia-Stignani, ma ieri sera se la sono cavata dignitosamente. Frittoli bravissima in alto, anche se poco udibile in basso; la Ganassi ha forse poca voce, ma quella poca la sa valorizzare al meglio.
Quindi autentico e meritato trionfo per tutti alla fine, con ripetute chiamate per Barenboim, Casoni (ça-va-sans-dire, ormai il coro è una sicurezza matematica) e i solisti. Una gran serata di musica!
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PS: curiosità (mia) parlando di aspetti tecnico-filologici del Requiem.
Resta sempre un rebus, per me, l’Offertorium, in quanto alla dinamica. Io non possiedo tutte le edizioni di questo mondo, menchemeno il manoscritto verdiano. Guardo la tascabile Eulenburg-975, e anche un’edizione della Biblioteca Classica russa, oltre che una riduzione inglese per piano (accessibili in rete). Sempre compare il metronomo di 66 semiminime puntate. Nelle edizioni curate da Saladino, riduzioni per pianoforte, pure accessibili in rete, invece il metronomo è indicato a 66 semiminime e basta. Una differenza di un terzo! E pare che la prassi esecutiva si sia orientata – magari a ragione – su questa versione più lenta. Secondo la quale, in un minuto si devono percorrere 22 misure (6/8, quindi 3 semiminime a misura) e arrivare quindi alla fine della linea discendente del violoncello dopo il primo Christe di mezzosoprano e tenore. Ed è ciò che fanno – in tempi di 55-58 secondi - Serafin, nell’edizione citata, come anche Abbado, Karajan, Bernstein e Giulini. Viceversa Toscanini sembra avvicinarsi al metronomo più veloce (che in un minuto comporterebbe di raggiungere la fine del Libera animas del basso, 11 misure più avanti) e più veloce ancora va il compianto Jansug Kakhidze, che si avvicina moltissimo al metronomo più rapido. Barenboim? Ad orecchio, anche lui si è allineato alla prassi dei più (a Parma in ottobre Maazel mi era parso più veloce, diciamo almeno come Toscanini, mentre la Zhang con laVerdi a fine ottobre aveva tenuto l’approccio moderato).
È questa una questione filologica, che qualcuno avrà evidentemente affrontato, anche se non ho trovato in giro riferimenti puntuali. Poi ognuno può avere i propri gusti (io sono per la velocità…)
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3 commenti:
Daland, ti posso chiedere un confronto, sintetico evidentemente, col Requiem nel duomo di Parma?
So che è difficile, viste le diverse location...
Aggiungo di mio che Pape è fuoriclasse vero, anche se sulla sua prestazione ho letto pareri contrastanti.
Ciao!
@amfortas
A Parma, essendo in Duomo, c'era un'atmosfera mistica impagabile, a fronte di un'acustica precaria. Dal punto di vista emotivo, io il Requiem - tutti i Requiem - li farei sempre in Chiesa!
Come solisti, a Parma la Barcellona mi aveva davvero impressionato, cosìcosì Meli e sotto media gli altri due.
Ieri nessuno è spiccato particolarmente, come ho scritto definendo "passabilmente bene" il comportamento dei quattro! Fra i quali fatico a far classifiche, salvo che mettere in fondo Kaufmann, che sono proprio curioso di sentire in Carmen.
I cori sono eccellenti entrambi, anche qui l'acustica del Piermarini (con il fondo riflettente) ha di certo favorito Casoni&C nella resa del suono.
Fra Maazel e Barenboim darei la preferenza al secondo, ma io sono un patito per la fedeltà alla lettera, prima che allo spirito (perchè il secondo si materializza attraverso la prima) e Daniel mi ha davvero impressionato per precisione. Ricordo però che Maazel a era arrivato a Parma il giorno della generale (a Busseto) e quindi aveva tutte le attenuanti.
In conclusione, due splendide prestazioni (come anche quella di Zhang con laVerdi, del resto); io normalmente non faccio classifiche, mi limito a godere l'esecuzione, casomai critico qualche palese défaillance, nulla più.
Grazie, a presto.
Grazie a te delle puntuali precisazioni, alla prossima e buona domenica!
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