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20 novembre, 2009

Stagione dell’OrchestraVerdi - 7

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Concerto con impaginazione assai variegata, quello ascoltato ieri sera all’Auditorium di Largo Mahler, dove laVerdi tornava dopo tre settimane di peripatetico vagare attraverso la penisola (Palermo, con due concerti in un sol giorno, Messina, Palmi, Lamezia, Taranto, Bari, Teramo, Pescara, Campobasso e Sulmona).

È doveroso far notare questa caratteristica – quasi unica nel panorama italiano – di un’orchestra che si impegna, e non a livello episodico, ma in modo serio e strutturato, a portare il messaggio musicale in giro per l’Italia. In città dove non c’è un’Orchestra Sinfonica stabile e magari neanche un Auditorium, dove non ci sono stagioni sinfoniche e la gente è costretta a viaggiare, se vuole ascoltare buona musica. Una ragione di più perché le pubbliche Istituzioni non facciano mancare il loro sostegno alla Fondazione.

Chiudo il carosello pubblicitario segnalando un’altra lodevole iniziativa, fra le tante, rivolta agli studenti: Concerto a porte aperte all'Auditorium. Proprio questa sera, al Turno B, essi potranno gratuitamente accedere alla sala: è anche questo un segnale di attenzione e di sensibilità di cui dare atto alla Fondazione.

Ora, la musica. Come è costume per concerti multiformi, si parte con una coinvolgente Ouverture: nella fattispecie i Vespri verdiani. Un vero gioiello, cui il termine sinfonia si attaglia perfettamente (ne avesse avuto il tempo e la voglia, Verdi avrebbe tranquillamente potuto rivaleggiare con i contemporanei Dvorak e Ciajkovski nell’agone sinfonico).

Intanto: la disposizione dell’Orchestra è in stile tedesco (tutti i violini davanti, bassi a sinistra) e poi, in evidente omaggio a Verdi, c’è un bel cimbasso (al posto della moderna tuba). Visto che non c’è molto da inventare su questo pezzo, qualche curiosità sui tempi. A parte il prestissimo finale (introdotto dalla fanfara degli ottoni) Verdi indica minuziosamente il metronomo: 52 semiminime per il Largo introduttivo - 33 misure 4/4 - e poi 88 minime per il resto, in Allegro agitato – 185 misure, 4/4 alla breve. Essendoci un solo, brevissimo cambio di dinamica, su una sola battuta (più un paio di corone puntate) che può pesare al massimo 2” sul tempo totale, si può precisamente calcolare la durata teorica dell’ouverture, escluso il prestissimo: 2’32” + 4’12” = 6’44”. Tanto per fare due esempi, qui Abbado con i Berliner (Palermo, 2002) tiene 3’06” + 4’52” = 7’58”, quindi è molto, molto lento rispetto alla prescrizione verdiana. Tradotto in metronomo: 43 semiminime + 76 minime. Anche Mehta (Roma,1990) è più lento del Verdi teorico, ma solo nell’allegro, chè nel largo è più rapido: 2’20” + 5’03” = 7’23”, corrispondenti a metronomo 57 semiminime + 73 minime. Qui invece un riferimento fra il comico e il deprimente (è evidente che in Guatemala non hanno El Sistema…)

Damian Iorio come l’ha fatta? Beh, io non giro col cronometro, né tanto meno col metronomo in tasca, quindi devo fidarmi dell’impressione del momento. Direi complessivamente sopra i tempi verdiani, ma non di molto. Sul piano del suono, mi è parsa un’esecuzione ben curata, senza eccessi retorici nei momenti di maggior impeto. Certo, anche il fracasso è inevitabile, ma è di quelli d.o.c. e l’Orchestra lo ha reso al meglio. In particolare bravi i violoncellisti, nelle esposizioni del tema di Henry&Monfort.

Poi è di scena Massimo Quarta, violinista che sale a volte anche sul podio di direttore, per interpretare una composizione in prima assoluta, commissionata dall’Orchestra Verdi e scritta per lui da Silvia Colasanti, Il canto di Atropo. Qui una presentazione di Massimo Colombo. Un brano assai profondo e coinvolgente, anche se nella sezione centrale il solista si distingue poco dagli altri archi dell’orchestra. Successo di stima, ovviamente, per l’autrice, presente in sala e salita sul palco a raccogliere meritati applausi.

Poi ancora Quarta in un’opera celebre, la Tzigane di Ravel, in cui mette in risalto tutte le sue qualità virtuosistiche (ma anche l’arpa ha la sua parte di gran rilievo!) Credo che il suo problema – per il futuro – sia la necessità di scegliere fra la specializzazione concertistica (ha già inciso quasi tutto Paganini, per dire) e quella di Direttore d’Orchestra: si sa che entrambe le cose sono assai difficili da conciliare a livello altissimo.

Il piatto forte del concerto è la Quinta di Prokofiev. Che prevede, come peculiarità rispetto all’orchestra classica, la presenza del pianoforte, ovviamente solo con compiti di riempitivo (spesso di rinforzo o complemento all’arpa, che pure ha qui un impiego assai corposo) e non certo solistici. Robuste anche le percussioni, rinforzate da tamburo, tamburino, tamburo di legno e tam-tam.

Nell’Andante introduttivo, Iorio fa emergere molto bene il contrasto fra i due temi (che pure hanno una qualche parentela melodica). In particolare eccellenti gli ottoni (trombe in testa) nel grandioso sviluppo, dove sono attesi da impervie difficoltà.

Lo Scherzo (Allegro marcato) ha un incipit di cui si dev’essere ricordato Nino Rota, al momento di comporre le musiche per il felliniano . Poi nella partitura c’è un dettaglio francamente curioso, quasi maniacale: le due misure prima del segno 29, otto coppie di crome suonate in staccato ff dagli archi, contrabbassi esclusi, sono prescritte al tallone (la base dell’archetto) unica indicazione di questo tipo nell’intera sinfonia. Bravissimi qui gli archi a mantenere quel ritmo che ricorda una sbuffante locomotiva lanciata a gran velocità, o anche un maglio meccanico che – siamo in piena guerra! - modella lingotti d’acciaio per costruirci carri armati. Eccellenti nel trio gli strumentini, come anche arpa e pianoforte, che vi hanno un ruolo importante. Perfetta l’accelerazione che riporta il tema principale ad Allegro, con la conclusiva volata, tutta in staccato negli archi bassi e nel pianoforte, verso il tonfo finale, sull’accordo di RE minore di tutta l’Orchestra.

Nell’Adagio il rischio che corre il Direttore è quello di non riuscire a catturare l’attenzione del pubblico su un brano che è effettivamente ostico, e può facilmente trasformarsi in letale morfina. Siamo in un mondo espressionista, che ricorda vagamente certi passaggi dell’Adagio della decima mahleriana, con gli archi a disegnare contrappunti quasi dissonanti e gli strumentini che sovrappongono la melodia principale. La parte centrale è più mossa, e poi Prokofiev vi inserisce poderosi colpi di tam-tam, evidentemente per risvegliare gli assopiti, prima della chiusa, che il clarinetto conduce in un’atmosfera sempre più rarefatta.

Infine l’Allegro giocoso: è un Rondò, introdotto da richiami del tema principale del primo movimento, poi subito inizia il ritmo da treno in corsa che sostiene sempre il tema principale, che ricorrerà più volte, esposto via via – e variato - da diversi strumenti. I temi secondari sono per lo più a carico degli strumentini, davvero tutti bravi. All’ultima ripresa del tema principale c’è per le trombette (con sordina) un tour-de-force particolare, con velocissime semicrome puntate a sottolineare il generale trambusto, che porta alla conclusione, dove le stesse trombe, ora a voce spiegata, sembrano quasi imprigionare gli archi che - con pianoforte, arpa e percussioni - vorrebbero perpetuare il loro isterico moto. Smagliante la chiusa, repentina, sul tempo debole.

Un’esecuzione rimarchevole, e una bella serata nel suo complesso. Iorio torna sullo stesso podio fra una settimana, con un’altra Quinta, se possibile ancor più impegnativa, per lui e per i professori: quella di Gustav Mahler.

Intanto stasera ci aspetta un altro Requiem.
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2 commenti:

mozart2006 ha detto...

Sempre molto apprezzabili ed argomentate le tue recensioni dei concerti delle Verdi.
Grazie, per noi che viviamo all´estero sono di grande interesse.

Unknown ha detto...

@mozart2006

Troppo buono... come sempre. Francamente l'orchestra mi sembra progredire assai, forse anche grazie alla raggiunta tranquillità dell'assetto della Fondazione. Sembrano tutti più sicuri di sè ed anche... allegri!
A prsto!