Programma
di musiche dall’est-europeo per questa puntata della stagione de laVERDI: ed in particolare dalla Boemia - il Centro
ceco di Milano ha patrocinato la serata - con un terzetto di compositori
formato da un sandwich in cui due
(tardo) romantici imprigionano un (relativamente) moderno.
L’impaginazione
del concerto, di taglio assolutamente tradizionale (brillante brano di apertura
+ concerto solistico + sinfonia) ci fa viaggiare da Smetana (anni ’70 dell’800) a Martinů (metà
del ‘900) per poi retrocedere alla fine dell’800 con Dvořák.
E la circolarità del percorso non fa che sottolineare la continuità di una
tradizione musicale che – invece di farsi corrompere dalle più drastiche
innovazioni del ‘900 – ha saputo mantenere la propria identità, pur non
chiudendosi in se stessa: se Smetana fu il pioniere della scuola nazionale boema, Dvořák e
Martinů vi si mantennero fedeli pur non
rinunciando – Martinů in particolar modo - a confrontarsi con tutto ciò che si
muoveva nell’occidente europeo e americano.
Sul podio
torna dopo anni un nipotino di
Salonen, il 35enne Pietari Inkinen
che in questi ultimi anni ha cercato (e trovato) fortuna assai lontano da casa
(Nuova Zelanda, Australia, Giappone) e che tornerà prossimamente in Europa:
guarda caso, proprio a Praga! Così
deve aver cominciato l’ambientazione ceca studiando per bene i tre autori in
programma qui in Auditorium. La sua impronta già si è sentita nella Moldava,
affrontata con verve pari all’attenzione ai dettagli e ai mille colori della
partitura più famosa del ciclo Má Vlast, aperta dai mirabili rigagnoli delle due sorgenti del
fiume evocati dal duo di flauto Crepaldi-Petrella.
Un pianista
boemo, Pavel Kaspar (tastiera 1) ha
fatto poi coppia con il nostro Roberto
Prosseda (tastiera 2) nel Concerto per due pianoforti di Martinů, del 1943: opera
raramente eseguita, a dispetto della sua obiettiva bellezza, proprio perché
richiede due pianisti di grande livello tecnico, date le difficoltà che
presenta. E non a caso entrambi i solisti hanno suonato con lo spartito sul
leggio dello strumento. Merito de laVERDI avere in repertorio questo pezzo, già
eseguito nel 2011 con Wayne Marshall e la coppia Micallef-Inanga.
Kaspar e Prosseda hanno risposto alle ripetute
chiamate con un bis alquanto particolare:
la trascrizione per due pianoforti, opera di Debussy, del quinto dei sei Studi
in forma di canone per il pedal-piano (pianoforte con pedaliera) di Robert Schumann (qui da 2’57” a 5’12”): evidente, nella scelta, lo zampino di Prosseda, che ultimamente si sta
proprio interessando a quello strano tipo di pianoforte, in particolare incidendone
le opere di Gounod.
Ha chiuso la serata l’Ottava di Dvořák, una sinfonia magari un po’ pretenziosa,
con momenti di eccessiva prosopopea nei due tempi esterni ma con grandi slanci lirici
nei due tempi interni, dove più emerge l’autentico spirito boemo dell’opera. Inkinen
anche qui ha sfoggiato sensibilità e misura, guidando un’orchestra in grande forma
in tutte le sezioni, ma con gli splendidi violoncelli capeggiati da Scarpolini che si meritano una menzione particolare.
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