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23 gennaio, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 18


Dopo aver diretto la Nona a Capodanno, Oleg Caetani torna – con il braccio sinistro al collo! - sul podio dell’Auditorium per un concerto che accosta due brani quasi sconosciuti ad un ormai inflazionato Ciajkovski: i primi due sono contemporanei come epoca ma non potrebbero essere più lontani come impostazione, il terzo è la pretenziosamente tragica Quarta del russo.

Si apre con uno dei tanti autori tardo romantici, Max Bruch, di cui si esegue però un brano assai poco presente nei cartelloni sinfonici: il Concerto per clarinetto, viola e orchestra. Occasione per laVERDI per mettere in mostra le qualità di due prime parti – ed entrambe femminili! - dei rispettivi ruoli: Raffaella Ciapponi e Miho Yamagishi.

Il concerto (la parte di clarinetto, scritta da Bruch per il figlio, è sostituibile da una per violino) è dell’anno di grazia 1911. In quell’epoca il Mahler morente aveva già completato la Nona e il Lied e Strauss aveva già alle spalle cosucce quali Elektra e Salome; Schönberg si era da tempo incamminato sulla strada atonale e Stravinski da parte sua era ormai arrivato alla ribalta; non parliamo poi di Debussy. Non meraviglia quindi che almeno una buona parte del pubblico di allora abbia strabuzzato gli occhi le orecchie di fronte ad un pezzo che in quel momento sapeva di minestra riscaldata o di carne ammuffita; o anche di ciofeca invece che di profumato caffè.  

In realtà il problema sta nel… manico, come dimostra l’immortalità della musica antidiluviana (nel 1948!) uscita dalla penna di Strauss: e di manico, purtroppo per lui, Bruch ne aveva evidentemente pochino. Però, se in assoluto non ci sarebbe molto da salvare di questo brano, deboluccio nella forma e miserello nei contenuti melodici, va riconosciuto che non è poi peggiore di tanta altra musica di quel genere, che solo per avere 30-40 anni di più veniva 100 anni orsono e viene ancor oggi considerata con maggiore indulgenza.

Prendiamola quindi con… relativistica filosofia e intanto approfittiamone per fare i complimenti alle due simpatiche interpreti, che vi hanno profuso tutto il loro virtuosismo e la loro sensibilità.        

Sicuramente allineato con le tendenze del suo tempo fu invece Rudi Stephan, compositore tedesco coetaneo di… mia nonna (smile!) e purtroppo morto a soli 28 anni (come mio nonno, ahilui) nella Grande Guerra, sul fronte orientale, a Tarnopol. Di lui ascoltiamo Musik für Orchester, un brano che – tutto al contrario di quello di Bruch – si cala perfettamente in quel periodo storico (1912) in cui da un lato vennero a maturazione i germi dell’atonalità (che avrebbero poi portato alla dodecafonia) e dall’altro (ad ovest del Reno) imperava l’impressionismo di Debussy ed avanzavano prepotentemente le nuove tendenze della musica tonale, di cui si faceva interprete Stravinski.

La serietà programmatica dell’opera è testimoniata dall’approccio squisitamente sinfonico di Stephan. Che scolpisce subito un tema (a) dal sapore tristaniano; poi un altro (b) e quindi un terzo (c) impiegato in una fuga:

Questi tre temi principali vengono ripresi e sviluppati con grande maestrìa e con intelligenti variazioni di strumentazione e sonorità. Nella sezione fugata emerge anche una robusta preparazione di Stephan nel trattamento contrappuntistico (ad esempio il tema c elaborato per inversione). Il brano chiude in un vibrante DO maggiore con due sferzate orchestrali costruite sul tema a.

Insomma, un lavoro interessante e intelligente che Caetani, che ha l’indubbio merito di aver tolto dalla polvere la figura e l’opera di Stephan, ha diretto con estrema cura del dettaglio, guadagnandosi quindi un meritato successo personale.

Ha chiuso il concerto la Quarta di Ciajkovski, uno dei pezzi ormai entrati nel sangue dell’orchestra. Che Caetani, a dispetto della menomazione che gli ha (si spera momentaneamente) impedito l’uso del braccio sinistro, ha guidato con grande autorevolezza, trascinando i ragazzi ad una prestazione maiuscola.

Unico neo della serata… il pubblico, composto dai soli (anche se tanti) aficionados.

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