Dopo aver
diretto la Nona a Capodanno, Oleg Caetani torna – con il braccio
sinistro al collo! - sul podio dell’Auditorium per un concerto che accosta due brani quasi sconosciuti ad un
ormai inflazionato Ciajkovski: i primi due sono contemporanei come epoca ma non
potrebbero essere più lontani come impostazione, il terzo è la pretenziosamente
tragica Quarta del russo.
Si apre con
uno dei tanti autori tardo romantici, Max
Bruch, di cui si esegue però un brano assai poco presente nei cartelloni
sinfonici: il Concerto per clarinetto, viola e orchestra. Occasione per
laVERDI per mettere in mostra le qualità di due prime parti – ed entrambe
femminili! - dei rispettivi ruoli: Raffaella
Ciapponi e Miho Yamagishi.
Il concerto
(la parte di clarinetto, scritta da Bruch per il figlio, è sostituibile da una
per violino) è dell’anno di grazia 1911. In quell’epoca il Mahler morente aveva
già completato la Nona e il Lied e Strauss aveva già alle spalle cosucce
quali Elektra e Salome; Schönberg si era da
tempo incamminato sulla strada atonale e Stravinski da parte sua era ormai
arrivato alla ribalta; non parliamo poi di Debussy. Non meraviglia quindi che
almeno una buona parte del pubblico di allora abbia strabuzzato gli occhi
le orecchie di fronte ad un pezzo che in quel momento sapeva di minestra
riscaldata o di carne ammuffita; o anche di ciofeca invece che di profumato
caffè.
In realtà
il problema sta nel… manico, come dimostra l’immortalità della musica antidiluviana (nel 1948!) uscita dalla
penna di Strauss: e di manico, purtroppo per lui, Bruch ne aveva evidentemente
pochino. Però, se in assoluto non ci sarebbe molto da salvare di questo brano,
deboluccio nella forma e miserello nei contenuti melodici, va riconosciuto che non
è poi peggiore di tanta altra musica di quel genere, che solo per avere 30-40
anni di più veniva 100 anni orsono e viene ancor oggi considerata con maggiore
indulgenza.
Prendiamola
quindi con… relativistica filosofia e intanto approfittiamone per fare i
complimenti alle due simpatiche interpreti, che vi hanno profuso tutto il loro
virtuosismo e la loro sensibilità.
Sicuramente
allineato con le tendenze del suo tempo fu invece Rudi Stephan, compositore tedesco coetaneo di… mia nonna (smile!) e purtroppo morto a soli 28 anni
(come mio nonno, ahilui) nella Grande Guerra, sul fronte orientale, a Tarnopol.
Di lui ascoltiamo Musik für Orchester, un brano che – tutto al contrario di
quello di Bruch – si cala perfettamente in quel periodo storico (1912) in cui da
un lato vennero a maturazione i germi dell’atonalità (che avrebbero poi portato
alla dodecafonia) e dall’altro (ad ovest del Reno) imperava l’impressionismo di
Debussy ed avanzavano prepotentemente le nuove tendenze della musica tonale, di
cui si faceva interprete Stravinski.
La serietà
programmatica dell’opera è testimoniata dall’approccio squisitamente sinfonico
di Stephan. Che scolpisce subito un tema (a) dal sapore tristaniano; poi un altro
(b) e quindi un terzo (c) impiegato in una fuga:
Questi tre temi
principali vengono ripresi e sviluppati con grande maestrìa e con intelligenti
variazioni di strumentazione e sonorità. Nella sezione fugata emerge anche una
robusta preparazione di Stephan nel trattamento contrappuntistico (ad esempio il
tema c elaborato per inversione). Il
brano chiude in un vibrante DO maggiore con due sferzate orchestrali costruite sul
tema a.
Insomma, un
lavoro interessante e intelligente che Caetani, che ha l’indubbio merito di
aver tolto dalla polvere la figura e l’opera di Stephan, ha diretto con estrema
cura del dettaglio, guadagnandosi quindi un meritato successo personale.
Ha chiuso
il concerto la Quarta di Ciajkovski,
uno dei pezzi ormai entrati nel sangue dell’orchestra. Che Caetani, a dispetto della
menomazione che gli ha (si spera momentaneamente) impedito l’uso del braccio sinistro,
ha guidato con grande autorevolezza, trascinando i ragazzi ad una prestazione maiuscola.
Unico neo della
serata… il pubblico, composto dai soli (anche se tanti) aficionados.
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