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19 gennaio, 2015

L’inconsueto dittico torinese

 

Ieri pomeriggio il Regio torinese ha ospitato la seconda dello strano dittico Granados-Puccini. Teatro con vasti spazi vuoti, segno che questa proposta non deve aver convinto del tutto. E devo dire che all’atto pratico ha convinto poco anche il pubblico presente, che alla fine ha applaudito calorosamente, ma per non più di 5 minuti e di 3 chiamate del cast al proscenio, per poi incappottarsi e uscire al freddo.

Goyescas. Comincio dalla regìa: De Rosa non ha fatto il  miracolo (obiettivamente solo un miracolo potrebbe rendere teatralmente accattivante un simile soggetto). Così il regista ha trasformato i primi due quadri in un ininterrotto balletto moderno – avvalendosi della pregevole prestazione dei ragazzi del Balletto Civile – e poi all’inizio del terzo ci ha fornito una mirabile sintesi dei due quadri più famosi di Goya: la Maja vestida che, tramite disinvolto spogliarello, si trasforma sul posto in Maja desnuda!

Infine, tanto per far qualcosa di originale, fa combattere Fernando con un’arma impropria costituita da un paio di lunghe corna posticce di becco (evidente allusione allo status del capitano!) con le quali corna peraltro l’infilzato ammazza l’infilzante: e così anche lo sbifido torero si ha il fatto suo, e la smetterà per sempre di insidiare le Carmen Rosario di passaggio.

Quanto alle voci, di Giuseppina Piunti si può affermare senza tema di smentita che sia l’interprete ideale della… maja desnuda (è anche meglio del dipinto, non so se mi spiego!) Ecco, se le doti canore fossero pari a quelle del suo sontuoso fisico, lei sarebbe meglio della Callas (smile!) Ma a parte le battute di bassa lega, lei non è la Callas però non è nemmeno l’ultima arrivata, e mi è parsa la più efficace del quartetto di interpreti. Discreto il tenore Andeka Gorrotxategui (Fernando) e oneste le prestazioni di Anna Maria Chiuri (Pepa) e Fabián Veloz (Paquiro). Alejandro Escobar, tenore che nel secondo quadro canta al posto del prescritto soprano, ha pure fatto il suo dovere.

Bene il coro di Fenoglio, mentre Renzetti non mi era piaciuto molto giovedi in radio e ancor meno mi è piaciuto ieri dal vivo: nei primi due quadri ha presentato un ammasso informe di suoni, privo dei tipici chiaroscuri di Granados. Il famoso Intermezzo poi è stato affrontato a passo di lumaca stanca, oltre ad essere privato del suo Höhepunkt, con corni e tromba annegati in un marasma indefinito. Evidentemente fra il Maestro e Granados non ci sono affinità elettive (oppure è mancata un’accurata preparazione).
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SuorAngelicaQui De Rosa cerca di dire qualcosa di suo, e quindi inventa l’ambientazione in un ospedale psichiatrico (femminile, in omaggio al sesso unico dell’opera) gestito da religiose, che per la verità sembrano assai poco caritatevoli nei confronti delle povere ricoverate, trattate proprio come nei più famigerati istituti fatti chiudere a suo tempo da Basaglia.

Ora, che la religiosità di Puccini fosse tutta particolare, è ampiamente acclarato, però l’opera è tutto tranne che una parodia o una denuncia della religiosità: persino le suore del convento di sua sorella apprezzarono il soggetto e la musica del Maestro. Non credo apprezzerebbero oggi questa messinscena.

La cui conclusione poi mi pare proprio tradire lo spirito dell’opera, dove la protagonista rimane sola con la sua tragedia, dalla quale tenta di uscire con l’aiuto della natura, rappresentata da fiori ed erbe tanto amorevolmente coltivati. Invece De Rosa fa ammattire pure Angelica, che in preda ad un raptus mette violentemente a soqquadro l’armadietto dei medicinali in cerca del veleno con cui suicidarsi. Poi, invece di essere consolata dal finale miracolo con l’apparizione del figlio, ecco che riceve da una matta il suo bambolotto, mentre un’altra la scuote ripetutamente per accertarsi che sia proprio morta. Mah… qui l’unico consenso lo darei alle ragazze del Balletto Civile, che impersonano le dementi.

Sul piano musicale le cose sono andate decisamente meglio (tutto è relativo…) La protagonista principale, Amarilli Nizza, ha mostrato di sapersi calare assai bene in questa parte che alterna toni dimessi e riflessivi a scatti di passione, amor materno che arriva al sacrificio, ma anche ribellione contro i pregiudizi della società. A lei è andato il maggior consenso del pubblico.

Anna Maria Chiuri è stata una Principessa un po’ più efficace della Pepa spagnola. Personalmente ho però apprezzato di più la sua prestazione attoriale che non quella vocale. Anche con lei peraltro il pubblico è stato assai generoso, così come con la Badessa Maria Di Mauro.  

Tutte le altre protagoniste hanno parti di portata quantitativamente limitata: accumunerei tutte in un giudizio discreto, con una particolare citazione per la Genovieffa di Damiana Mizzi.

Anche qui bene il coro di Fenoglio e quello dei piccoli del Conservatorio; bene anche Renzetti, che con Puccini evidentemente ha una consuetudine antica e quindi una conoscenza approfondita delle sue partiture.
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Come detto, una proposta non del tutto convincente nel suo insieme (meglio, se ben ricordo, era andata la coppia Puccini-Zemlinsky della scorsa stagione): aspettiamo in futuro il Tabarro accoppiato a… ?   

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