Ieri
pomeriggio il Regio torinese ha ospitato
la seconda dello strano dittico Granados-Puccini. Teatro con vasti spazi vuoti, segno che questa proposta non deve
aver convinto del tutto. E devo dire che all’atto pratico ha convinto poco
anche il pubblico presente, che alla fine ha applaudito calorosamente, ma per
non più di 5 minuti e di 3 chiamate del cast al proscenio, per poi incappottarsi
e uscire al freddo.
Goyescas. Comincio dalla regìa: De Rosa
non ha fatto il miracolo (obiettivamente
solo un miracolo potrebbe rendere teatralmente accattivante un simile
soggetto). Così il regista ha trasformato i primi due quadri in un ininterrotto
balletto moderno – avvalendosi della pregevole prestazione dei ragazzi del Balletto Civile – e poi all’inizio del
terzo ci ha fornito una mirabile sintesi dei due quadri più famosi di Goya: la Maja vestida che, tramite disinvolto spogliarello, si trasforma sul
posto in Maja desnuda!
Infine, tanto
per far qualcosa di originale, fa combattere Fernando con un’arma impropria
costituita da un paio di lunghe corna posticce di becco (evidente allusione
allo status del capitano!) con le
quali corna peraltro l’infilzato ammazza l’infilzante: e così anche lo sbifido
torero si ha il fatto suo, e la smetterà per sempre di insidiare le Carmen
Rosario di passaggio.
Quanto alle
voci, di Giuseppina Piunti si può
affermare senza tema di smentita che sia l’interprete ideale della… maja desnuda (è anche meglio del
dipinto, non so se mi spiego!) Ecco, se le doti canore fossero pari a quelle
del suo sontuoso fisico, lei sarebbe meglio della Callas (smile!) Ma a parte le battute di bassa lega, lei non è la Callas
però non è nemmeno l’ultima arrivata, e mi è parsa la più efficace del
quartetto di interpreti. Discreto il tenore Andeka
Gorrotxategui (Fernando) e oneste le prestazioni di Anna Maria Chiuri (Pepa) e Fabián Veloz
(Paquiro). Alejandro Escobar, tenore
che nel secondo quadro canta al posto del prescritto soprano, ha pure fatto il
suo dovere.
Bene il coro
di Fenoglio, mentre Renzetti non mi era piaciuto molto
giovedi in radio e ancor meno mi è piaciuto ieri dal vivo: nei primi due quadri
ha presentato un ammasso informe di suoni, privo dei tipici chiaroscuri di Granados.
Il famoso Intermezzo poi è stato
affrontato a passo di lumaca stanca, oltre ad essere privato del suo Höhepunkt, con corni e tromba annegati
in un marasma indefinito. Evidentemente fra il Maestro e Granados non ci sono affinità elettive (oppure è mancata
un’accurata preparazione).
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SuorAngelica. Qui De Rosa
cerca di dire qualcosa di suo, e quindi inventa l’ambientazione in un ospedale
psichiatrico (femminile, in omaggio al sesso
unico dell’opera) gestito da religiose, che per la verità sembrano assai
poco caritatevoli nei confronti delle povere ricoverate, trattate proprio come
nei più famigerati istituti fatti chiudere a suo tempo da Basaglia.
Ora, che la
religiosità di Puccini fosse tutta particolare, è ampiamente acclarato, però
l’opera è tutto tranne che una parodia o una denuncia della religiosità:
persino le suore del convento di sua sorella apprezzarono il soggetto e la
musica del Maestro. Non credo apprezzerebbero oggi questa messinscena.
La cui
conclusione poi mi pare proprio tradire lo spirito dell’opera, dove la
protagonista rimane sola con la sua tragedia, dalla quale tenta di uscire con
l’aiuto della natura, rappresentata da fiori ed erbe tanto amorevolmente
coltivati. Invece De Rosa fa ammattire pure Angelica, che in preda ad un raptus
mette violentemente a soqquadro l’armadietto dei medicinali in cerca del veleno
con cui suicidarsi. Poi, invece di essere consolata dal finale miracolo con
l’apparizione del figlio, ecco che riceve da una matta il suo bambolotto,
mentre un’altra la scuote ripetutamente per accertarsi che sia proprio morta.
Mah… qui l’unico
consenso lo darei alle ragazze del Balletto
Civile, che impersonano le dementi.
Sul piano
musicale le cose sono andate decisamente meglio (tutto è relativo…) La protagonista
principale, Amarilli Nizza, ha
mostrato di sapersi calare assai bene in questa parte che alterna toni dimessi
e riflessivi a scatti di passione, amor materno che arriva al sacrificio, ma
anche ribellione contro i pregiudizi della società. A lei è andato il maggior
consenso del pubblico.
Anna Maria Chiuri è
stata una Principessa un po’ più efficace della Pepa spagnola. Personalmente ho
però apprezzato di più la sua prestazione attoriale che non quella vocale.
Anche con lei peraltro il pubblico è stato assai generoso, così come con la
Badessa Maria Di Mauro.
Tutte le altre
protagoniste hanno parti di portata quantitativamente limitata: accumunerei tutte
in un giudizio discreto, con una particolare citazione per la Genovieffa di Damiana Mizzi.
Anche qui bene
il coro di Fenoglio e quello dei piccoli del Conservatorio; bene anche Renzetti, che con Puccini evidentemente ha
una consuetudine antica e quindi una conoscenza approfondita delle sue partiture.
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Come detto, una
proposta non del tutto convincente nel suo insieme (meglio, se ben ricordo, era
andata la coppia Puccini-Zemlinsky della scorsa stagione): aspettiamo in futuro
il Tabarro accoppiato a… ?
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