Il Regio torinese ha deciso di spacchettare il trittico pucciniano e di
proporlo in tre rate e in stagioni successive (ed anche a ritroso, rispetto
alla sequenza originale) abbinandone di volta in volta un’opera ad altra
composizione breve. Così, dopo quello della scorsa stagione - costituito da Schicchi e Tragedia fiorentina – ecco quest’anno un altro strano quanto inedito
dittico: Puccini abbinato stavolta a Granados.
Ieri sera è andata in onda la prima,
trasmessa da Radio3.
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Goyescas ebbe in realtà una genesi assai complessa: nacque nel
1910-1911 come una suite di 6 pezzi
per pianoforte, ispirati più o meno direttamente a dipinti di Goya. Ad essi si aggiunse poi, nel 1914,
un settimo brano (El Pelele): qui si
possono ascoltare nell’interpretazione di Alicia
DeLarrocha.
1. Los requiebros (apprezzamenti
galanti) si ispira alla 5a delle 80 acqueforti della collana Los Caprichos del pittore aragonese,
intitolata Tal para qual:
2. Coloquio en la reja (Conversazione
attraverso la grata);
3. El fandango de candil
(Fandango della lucerna);
4. Quejas, o La Maja y el Ruiseñor
(Lamento, o La fanciulla e l’usignolo);
5. El Amor y la muerte (Balada)
(Ballata di amore e morte) ispirato alla 10a acquaforte dei Caprichos, di pari
titolo:
6. Epilogo: Serenata del espectro
(Epilogo: Serenata dello spettro);
7. El Pelele: Escena Goyesca (Il
fantoccio) ispirato al dipinto su cartone (m. 2,67x1,60) di pari titolo,
modello per un arazzo per Carlo IV all’Escorial (1792):
La suite pianistica non ha propriamente una trama, tuttavia i sei brani originali – dai loro titoli - evocano
scene e situazioni di vita: si va dal corteggiamento al colloquio, al ballo,
alle pene di una ragazza, alla fine tragica di un amore e al ritorno dello
spettro del morto. Ecco, con un poco di ulteriore immaginazione e di riordino
della sequenza, e impiegando anche il settimo brano (El Pelele) oltre a spezzoni
di un paio di sue Tonadillas, Granados impaginò nel 1914 la sua opera breve,
che fu poi testualizzata (con un
processo inverso a quello solito dove è un testo ad essere musicato) da Fernando
Periquet che ne perfezionò il soggetto popolar-verista (una specie di
Cavalleria, o di Pagliacci in sedicesimo). La cui struttura prevede tre quadri per un totale di dieci scene ed ha un finale di tipo trasfigurazione, che rese inservibile,
perché con esso incompatibile, il sesto brano della suite (lo spettro).
Sommariamente abbiamo quindi la seguente corrispondenza fra l’Opera e la
Suite (in realtà i motivi si intersecano maggiormente):
opera
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suite & al
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quadro 1
scena 1
scena 2
scena 3
scena 4
|
brano 7
brano 1
brano 7
|
quadro 2
scena 5
scena 6
scena 7
|
brano 3
tonadillas
|
quadro 3
scena 8
scena 9
scena 10
|
brano 4
brano 2
brano 5
|
Dopo una breve introduzione strumentale, eccoci al Quadro primo, ambientato
in una spianata alberata di Madrid, dove nella scena iniziale (1’48”) ragazzi e ragazze (majas e majos) se la spassano
allegramente. In particolare le femmine si divertono facendo volteggiare in
aria un pupazzo (El Pelele) e non per
nulla la musica che udiamo in sottofondo richiama precisamente il N°7 della
suite pianistica:
A 4’24” fa il suo ingresso uno dei protagonisti, Paquiro, che ha fama di sciupafemmine (manco
a dirlo è… un torero) e subito si dà a dispensare galanti apprezzamenti alle
ragazze, guardato invece con una certa diffidenza dai maschi. Si odono ora i
campanelli di un calesse che si avvicina: è la donna di Paquiro, Pepa.
La seconda scena si apre appunto con
la Pepa che scende dal suo carretto (trainato da cani, precisa la didascalia in
versione inglese sullo spartito!) A 6’30” si gode il trionfo tributatole
da tutti, e il coro misto (7’14”) ne intona le lodi sul secondo
motivo variato del N°1 della suite. A 7’25” Paquiro si accoda alquanto svogliatamente
alle lodi generali per la sua donna, che da parte sua gli conferma pieno amore,
mentre tutti riprendono le loro acclamazioni per la coppia più bella del mondo. Ma adesso (9’02”) si avvicina
un’altra protagonista della nostra storia, che Paquiro riconosce, rivolgendole
apprezzamenti sospetti, sul tema principale del N°1:
È Rosario, una nobildonna che
arriva in portantina (9’26”) ad aprire la terza scena: pare cerchi qualcuno cui ha
dato appuntamento, e non si vede. Anche Paquiro (9’35”) si chiede chi
Rosario stia cercando e poi, vedendola circospetta, (9’44”) avanza la sua
sfacciata proposta: ti ricordi di quel ballo della lucerna? Perché non ci torni
anche oggi? Quasi tutta la scena è supportata in sottofondo dai due motivi del
N°1 della suite pianistica.
Adesso facciamo conoscenza del quarto ed ultimo protagonista: il capitano
Fernando, che si aggirava lì di nascosto (forse proprio per sorprendere la sua
amata Rosario in flagrante?) ed ha ascoltato le parole di invito di Paquiro alla
sua donna. A 9’53” si mostra e comincia ad esternare i suoi dubbi e così
Paquiro ha capito chi era la persona che Rosario aspettava. Fernando (10’05”)
riprende il secondo motivo del N°1 confessando i suoi sospetti sul fascino che
il torero deve avere sulla sua donna:
Adesso le voci dei quattro protagonisti, con un paio di interventi del
coro, si sovrappongono esternando i rispettivi stati d’animo: i sospetti di Fernando,
la costernazione di Rosario, il desiderio avvampante di Paquiro per la
nobildonna e l’intenzione di Pepa di impedire a Rosario di portarle via il suo
uomo. Ma è proprio Pepa che sfida il destino, avvertendo Fernando dell’ora in
cui si terrà il ballo, al quale il capitano ora impone a Rosario di
partecipare, come gesto di sfida verso lei e Paquiro.
14’25” Sul tema del N°7 ritorna El Pelele, contrappuntato
dal N°1, a costituire la breve quarta scena
che chiude il quadro.
Prima del quadro successivo, ecco (16’04”) il famosissimo Intermezzo, che spesso e volentieri
viene eseguito separatamente nei concerti. Composto in vista della prima al MET (in sostituzione di un
altro presente nell’edizione originale del 1914) è in tempo 3/4 e inizia con
una melodia che richiama vagamente l’attacco della Valse triste di Sibelius. A 18’09”, su un poderoso tremolo di
MIb maggiore dei violoncelli, ecco i due corni esplodere l’enfatica frase
musicale che è diventata il simbolo dell’opera, subito spalleggiati dalla
tromba che ne completa l’arco melodico:
Poi un’impennata dei violini dà inizio ad una lenta ed inesorabile discesa
verso la conclusione, sul secondo motivo del N°1.
Il Quadro secondo è ambientato al ballo della lucerna e la quinta
scena si apre (21’21”) per l’appunto con il caratteristico ritmo di fandango
del N°3 della suite pianistica:
Ragazzi e ragazze ballano incessantemente, intonando (22’08”) il tema del N°3:
Ma sono anche in attesa di ospiti di riguardo, che infatti arrivano (23’02”)
con Rosario che muore di paura (però, magari in incognito, la nobildonna in
quel postaccio aveva già messo piede, vero?) A 23’10” è la sbifida Pepa
ad accoglierla con sarcasmo (ah, ecco qui una gran dama che vuol fare
esperienze forti…)
Ora assistiamo a schermaglie verbali fra i convenuti e Fernando, che
Paquiro (24’21”) tronca invitando il capitano a verificare se la sua
donna desideri ballare; subito incalzato da Pepa, che ancora chiede
sarcasticamente cosa ci è venuta a fare lì quella gran dama. La scena si chiude
con un ultimo sberleffo di Pepa e degli astanti nei confronti della malcapitata
Rosario.
A 25’37” ha inizio la sesta
scena, con una citazione letterale della Tonadilla Amor Y odio, sulla quale Paquiro diffida Fernando dall’esser venuto
lì con intenzioni diverse dal ballo:
Paquiro e Fernando (27’55”) approfittano del parapiglia
per… accordarsi su ora e luogo del duello che dovrà risolvere il loro
contenzioso. Finalmente Fernando e Rosario se ne vanno, mentre Paquiro (28’15”)
ordina perentoriamente la ripresa del ballo, per quanto sia deluso per
l’allontanamento di Rosario.
Ballo (fandango) che occupa (29’04”) la parte finale della scena settima, dopo che Pepa e i ragazzi
hanno inneggiato alla bella vita. Sopra le voci del coro spicca quella di un
soprano solista, che magnifica le doti della vera maja.
A 32’06” abbiamo un nuovo Interludio,
che introduce adeguatamente l’atmosfera cupa del quadro conclusivo.
Significativamente, è il corno inglese ad esporre una mesta melodia, seguito
poi da clarinetto ed oboe. Ora un flauto (35’08”) emette i caratteristici
gorgheggi di un usignolo.
Si apre (35’22”) il Quadro terzo nella zona antistante
il palazzo di Rosario. L’ottava scena
ci mostra la donna che contempla la notte di luna piena ed ascolta il canto
dell’usignolo. E il suo canto si snoda sulla stupenda melodia del N°4 della
suite pianistica (quella il cui incipit verrà ripreso nel 1940 da Consuelo Velázquez nella famosa canzone Besame mucho):
I fiati soprattutto accompagnano il suo canto e i flauti (37’45”)
ricordano nientemeno che il risveglio di… Brünnhilde!
A 41’01” ha inizio la nona
scena, con Fernando che si avvicina a Rosario, che si appresta a rientrare
in casa: i due sono protagonisti di un duetto d’amore per il quale Granados
impiega le note del N°2 della suite pianistica:
Fernando indaga i sentimenti della donna, che giura di essergli sempre
rimasta fedele. Il capitano insiste con i suoi dubbi e i suoi sospetti, ma
Rosario sembra riuscire a convincerlo. A 44’55” Fernando si abbandona ai
sentimenti e fra i due pare proprio tornare la serenità, con il loro canto (47’20”)
che ha un’estatica progressione quasi tristaniana!
Ma il destino incombe: a 47’53” si odono, nel pizzicato degli archi, i passi di Paquiro,
arrivato all’appuntamento per il duello. Fernando se ne avvede e
improvvisamente cerca una scusa per lasciare Rosario (48’56”) che presto
comprende la ragione dello strano atteggiamento dell’amato. A nulla valgono i
suoi tentativi di trattenerlo, e Fernando l’abbandona per raggiungere il rivale.
A 49’12” un drammatico sfogo orchestrale accompagna voci e rumori
che provengono da dietro la scena: due urli, di Fernando ferito a morte e di
Paquiro, disperato per l’atto appena compiuto.
A 49’45” sono le note del N°5 della suite pianistica ad
introdurre la decima scena, che
chiude l’opera:
Rosario soccorre l’amante moribondo (50’45”) le sembra tutto un brutto
sogno, chiede a Fernando di guardarla ancora, ma (52’12”) lui sente la
morte avvicinarsi: le note meste nel violino (che nel N°5 richiamano un
frammento del N°4) accompagnano il suo spirare fra le braccia di Rosario. La
quale (52’53”) sembra non accorgersi di nulla, e domanda all’amato
perché se ne vuole andare via da lei. Poi (54’22”) realizza con disperazione
che tutto è ormai perduto, e non le resta (55’21”) che invocare per due volte Amor! e poi meditare sull’eterno mistero
di vita e morte, mentre l’orchestra chiude (a differenza del N°5, che finiva in
minore) su un celestiale SOL maggiore.
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Beh, non si può certo parlare qui di capolavoro, al di là della bella
musica di Granados: dal punto di vista drammaturgico la sostanza è davvero
scarsa, e quasi assente è la scolpitura musicale delle personalità dei
protagonisti; il tutto si riduce a quadretti di vita popolare (come in fondo
sono i pezzi pianistici da cui l’opera fu derivata). Non è quindi un caso se le
(comunque scarse) esecuzioni siano quelle in forma di concerto.
Dall’ascolto radio, mi sentirei di lodare il coro e l’orchestra, mentre non mi
sono parsi impeccabili i cantanti. Quanto a Renzetti, ho percepito tempi eccessivamente
sostenuti ed enfatici, ma qui è questione di… gusti.
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Altra… musica con SuorAngelica, sotto ogni punto di vista:
soggetto, teatro, suoni. Ed anche esperienza degli interpreti, a cominciare da Renzetti,
parso a me assai più a suo agio che non con Granados: equilibrio nei tempi e attenzione
alle infinite sfumature di cui questa partitura, solo apparentemente facile, è ricchissima.
Voci che, salvo prossima verifica dal vivo, mi son parse sufficientemente all’altezza.
Quanto agli allestimenti, le poche battute percepite dalla Susanna e dalla sua
chiacchierata con De Rosa non fanno presagire cose mirabolanti, ma anche qui aspettiamo
di toccare con… occhio.
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