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10 giugno, 2021

Ancora nuova musica da laVerdi

Alpesh Chauhan sta ormai diventando ospite abituale dell’Auditorium: è infatti al suo terzo appuntamento in tre anni con laVerdi. Per l’occasione dirige un concerto ben assortito, con musica che va dall’oggi a ieri all’altroieri!    

Dopo quella recente di Colasanti, ecco una nuova primizia a testimonianza della vitalità dei nostri compositori: Hello, World, uscito dalla penna di quella vecchia voce di Radio3 che risponde al nome di Nicola Campogrande.  

L’aquilana Vittoriana De Amicis ha prestato la sua bella voce sopranile a questo ciclo di 4 Lieder che ci racconta qualche arcano dell’informatica: come far dire (o comparire sullo schermo) al computer il messaggio Hello, World impiegando quattro diversi linguaggi di programmazione!

1. Linguaggio B

main( ) {

extrn a, b, c;

putchar(a); putchar(b); putchar(c); putchar(’!*n’);

}

a ’hell’;

b ’o, w’;

c ’orld’;

2. Linguaggio Unix Shell

#!/bin/sh

echo “Hello world”

3. Linguaggio Delphi

program Project1;

uses

qdialogs;

const

s = ‘Hello World’;

begin

showmessage(s);

end

4. Linguaggio Malbolge

(=<`#9]~6ZY32Vx/4Rs+0No-&Jk)”Fh}|Bcy?`=*z]Kw%oG4UUS0/@-ejc(:’8dc

Va da sè che i simboli - che nei linguaggi di programmazione abbondano, rispetto alla normale lingua scritta - non siano musicabili, quindi (in italiano, visto che l’Autore è italiano) ne viene musicata la pronuncia, tipo chiuse le virgolette o anche chiocciola o parentesi aperta, cancelletto, e così via. Insomma, un moderno... divertimento. Tutto sommato gradevole, poichè Campogrande è un esponente di quella che chiamerei corrente nostalgica (in senso assolutamente buono!) della musica contemporanea. Tanto per dire, il primo brano attacca in RE maggiore à-la-Korngold e poi presenta un cantabile in LA (!) Proprio sull’ultima nota la De Amicis sfoggia un MIb sovracuto degno di...Violetta!

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Due fratelli tulipani, rispondenti ai nomi di Lucas e Arthur Jussen (di 28 e 25 anni rispettivamente) si cimentano poi con il Concerto per due pianoforti di Poulenc. Eccoli qui in una prestazione di pochi anni fa. Invece qui qualche mia nota in proposito, scritta più di 8 anni orsono in occasione di un’esecuzione in Auditorium di Lupo & Pedroni.

Brano di tutta gradevolezza, che i due giovani interpretano quasi (o senza quasi) divertendosi, e così raccolgono un meritato trionfo, che ci ripagano con un Mozart in salsa italo-svizzera... e poi con il sommo Bach.  

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Infine si retrocede in pieno ottocento con il 15enne Mendelssohn e la sua Prima Sinfonia in DO minore per orchestra a ranghi completi, sfornata precisamente fra il 3 e il 31 marzo del 1824 (prima ne aveva composte, in soli due anni e tanto per farsi le ossa... ben 12 per orchestra d’archi!)  

È un frutto ancora piuttosto acerbo e velleitario, se lo si confronta con capolavori quali l’Ottetto e l’Ouverture del Sogno che arriveranno nel giro di nemmeno 3 anni. Qui il ragazzo sembra ancora affetto da eccessiva carica Sturm-und-Drang, per dire: se si esclude l’Andante, un’oasi di pace e tranquillità, ricca di spunti degni di nota, la Sinfonia è tutto un succedersi di motivi dal piglio asfissiante e da dinamiche che raramente scendono sotto il forte, con rari momenti meditativi; insomma, una narrativa piuttosto... aggressiva, ecco. E non è escluso che l’Autore stesso fosse cosciente di ciò, se per le esecuzioni londinesi del 1829 rimpiazzò il concitato Menuetto con l’etereo Scherzo del suo recentissimo Ottetto! 

L’Allegro molto di apertura (4/4) presenta subito il primo tema nervoso in DO minore, che sfocia poi verso la relativa MIb maggiore, dove ospita dapprima un inciso di sapore beethoveniano (Imperatore) e un motivo di transizione verso il secondo tema. Che a prima vista sembrerebbe più cantabile, quindi efficacemente contrastante con il primo. Ma (purtroppo?) solo per poco, poichè anch’esso si fa ben presto contagiare dalla veemenza dell’altro. Dopo la canonica ri-esposizione, ecco lo sviluppo, dove Mendelssohn mostra una certa fantasia nell’intrecciare i motivi e nel divagare su tonalità, come il SIb maggiore e il RE, poi il FA minore. La ricapitolazione vede il secondo tema portato a LAb maggiore. Segue una lunga coda basata sul primo tema che transita temporaneamente a DO maggiore. Nella concitazione permanente viene inserita una breve oasi di calma, 8 battute dove due corni suonano un SIb in ottava, seguite da lamenti di legni e archi. Pian piano riprende il primo tema che va a chiudere pesantemente - ricordando il Mozart della K550 -  sul DO minore di impianto.

L’Andante (3/4, MIb maggiore) è come detto il movimento più ispirato dei quattro. È sostanzialmente bitematico, ma con i due temi che hanno grande affinità. Dopo che il primo ha aperto, scendendo nei violini dalla dominante SIb sulla tonica, il secondo subentra imprevedibilmente, nel flauto, in DOb maggiore, salendo dalla dominante SOLb alla mediante MIb per poi degradare lentamente verso SIb. Dopo breve transizione è su questa tonalità che l’oboe ripropone il primo tema, che viene ripetuto dai legni. Violini contrappuntati dall’oboe, poi raggiunto dal flauto, espongono per due volte un motivo che sale di una settima, da dominante a sottodominante, per poi ripiombare velocemente sulla mediante (RE).

Un ostinato sforzato degli archi modula provvisoriamente a FA# maggiore dove i violoncelli ripropongono il secondo tema, poi ripreso dai violini e dai flauti in SI maggiore. Una transizione ci riporta al Sib e da qui al MIb dove torna il primo tema nei violini, poi nell’oboe, con il flauto ad accompagnare con veloci volate in semicroma. Ancora nei violini contrappuntati da flauto e oboe riappare per due volte il motivo che scala una settima per calare sulla mediante. Una coda di 12 battute chiude mirabilmente questo piccolo gioiello.

Ecco ora il Menuetto, Allegro molto, 6/4, DO minore. Ha una struttura e il piglio di uno Scherzo indiavolato. Come di prammatica presenta due sezioni (da ripetersi) di cui la seconda è un’estensione della prima. Quest’ultima inizia con il tema energico esposto dai violini, tema che ben presto sfocia sulla relativa MIb maggiore. La seconda sezione, più vasta, ripresenta il trema con diverse modulazioni: dapprima a REb e poi a DO maggiore. Il ritorno a DO minore sopraggiunge per chiudere questo pseudo-minuetto.

Il Trio - due sezioni da ripetersi più una terza - scende plagalmente alla sottodominante LAb maggiore, con un specie di corale di clarinetti e fagotti, che i flauti chiudono tornando a MIb. La seconda sezione riprende il motivo in REb per poi chiudere sul LAb. La terza sezione inizia (fagotti e flauti) degradando dalla settima abbassata (SOLb) alla dominante MIb. Qui arriva una sommessa transizione, protagonisti archi e... timpani (secondo molti osservatori: Beethoven Quinta) che ci riporta a DO minore: sono gli archi ad introdurre - a mo’ di rincorsa - il ritmo che prepara il ritorno al Menuetto (senza ripetizioni).

Il conclusivo Allegro con fuoco (4/4, DO minore) prosegue e conclude quest’opera in modo davvero ossessionante, esasperando se possibile l’atmosfera mozartiana del finale della K550. È in forma-sonata, quindi l’esposizione presenta due temi contrapposti: il primo è composto da due frasi, una concisa, da ripetersi, che riprende veloci discese degli archi già comparse nell’Allegro iniziale (e richiamate anche nel Menuetto) e chiude sul SOL; l’altra caratterizzata da tre lamenti dei clarinetti e chiusa dagli archi sul DO. Dopo la reiterazione, questa seconda frase viene sviluppata assai, riproponendo le discese negli archi e virando appropriatamente verso la tonalità di MIb minore. Chiude una melodrammatica discesa di clarinetto e fagotto verso il MIb maggiore, dove si presenta il secondo tema.

Tema curiosamente abbordato dai soli archi con un lungo pizzicato di 28 battute, dalla 13ma delle quali si modula a SIb maggiore, dove il clarinetto espone il suo tema; che poi, sul terminare del pizzicato degli archi, modula al MIb maggiore. E qui abbiamo - in luogo di un canonico sviluppo - un lungo passaggio dal cipiglio marziale, pare una pesante cadenza di fine opera, preannuncia il finale del futuro celebre concerto per violino, chiude su 5 trilli del flauto ma... vira repentinamente e sommessamente a DO minore, dove gli subentra sorprendentemente una fuga in piena regola! Evidentemente Bach era già ben presente nel mondo estetico del ragazzo, che 5 anni più tardi a Berlino riesumerà in modo spettacolare la Matthäus-Passion.

La fuga (in due sezioni) esplora principalmente le tonalità di SOL minore e poi MIb maggiore, chiudendo sul DO minore e sulla seconda parte della prima frase del primo tema, per preparare la ricapitolazione. Il primo tema viene ripresentato senza le due ripetizioni (11 battute in meno) e con un piccolo ulteriore taglio di 6 battute. Questa volta non modula a MIb, ma chiude sulla settima di dominante di DO minore dove riudiamo in clarinetto e fagotto, più il flauto, la caduta dalla sottodominante FA alla tonica DO. Riudiamo le battute in pizzicato degli archi che introducono il secondo tema, esposto ora in DO minore dal flauto, partendo dalla dominante SOL. Dopo una rapida escursione a LAb maggiore si torna a DO minore, con il passaggio marziale che porta alla ricomparsa della fuga, sempre nella tonalità di impianto, ma qui accorciata alla sola prima sezione.

Subitaneamente si passa da DO minore a DO maggiore (Più stretto) per la perorazione finale, 30 battute assai retoriche, tutte in ff (ma solo perchè ancora fff e ffff non erano stati inventati...)  

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Maiuscola la prova dell’Orchestra, che Chauhan ha impegnato allo spasimo, tenendo tempi serratissimi, come da copione. In compenso, dall’Andante ha saputo cavar fuori tutto il lirismo e la poesia che lo caratterizzano.

Anche lui ormai è un beniamino del pubblico e dell’Orchestra, che gli ha riservato un applauso ritmato, cui il giovane maestro ha risposto con parole di ammirazione e ringraziamento.

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