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03 giugno, 2021

laVerdi romantica

Oleg Caetani fa il suo ritorno alla guida de laVerdi per il terzo appuntamento dei sette che danno corpo a questa stagione di riapertura al pubblico.

Come si sa, le perduranti regole anti-Covid - e in particolare quelle che impongono il distanziamento -  condizionano la programmazione, che deve limitarsi ad opere che possano essere efficacemente presentate anche con una formazione orchestrale necessariamente ridotta a non più di 35-40 strumentisti, date le dimensioni del palcoscenico dell’Auditorium. (Per le recenti trasmissioni in streaming l’orchestra a ranghi completi occupava anche quasi metà della platea!)

Ecco quindi un programma - musiche caratterizzate da serenità e ottimismo, certificati dal RE maggiore che le accomuna - che fa di necessità virtù, comprendendo due brani adeguatamente gestibili da un complesso poco più che cameristico.

E tale possiamo immaginare fosse l’orchestra degli allievi del Vienna Stadtkonvikt, dove (si ipotizza) il sedicenne violinista/corista Franz Schubert vide eseguita, a fine ottobre 1813, la sua Prima Sinfonia, poi rimasta inascoltata per decenni.

Mozart, Beethoven ma soprattutto Haydn sono i chiari modelli ispiratori di questo lavoro, come testimonia subito l’Adagio iniziale, 20 battute che introducono, proprio à-la-Franz-Joseph, l’Allegro vivace in RE maggiore (4/4 alla breve) che dà corpo al primo movimento. Movimento in canonica forma-sonata, con esposizione di un primo tema spigliato e abbastanza conciso, seguito da un secondo sulla dominante LA, questo più cantabile e soprattutto assai più corposo, con motivi complementari in imitazione. É lo stesso secondo tema il protagonista dello sviluppo, chiuso sorprendentemente dal ritorno - ampliato - del tema dell’Introduzione, che prepara la ripresa: al primo tema segue il secondo, ora adeguatosi alla tonalità principale, che sfocia in una lunga e melodrammatica cadenza conclusiva a piena orchestra.

L’Andante che segue (scolasticamente in SOL maggiore, 6/8) è sostanzialmente bitematico, ma la struttura è più complessa della classica A-B-A: il tema A ha un sapore liederistico, cantabile, e viene subito ripetuto. Gli subentra, con un drammatico accordo di MI minore, il tema B, più cupo e introverso, a dispetto di qualche breve virata in maggiore. Torna il tema A, ma si direbbe inquinato dal MI (minore e maggiore) del B, fino ad una fermata in corona puntata sulla dominante RE. Poi ci sono altre 8 battute di transizione prima di tornare al tema A, che viene ripetuto e seguito dalla cadenza che porta sommessamente alla conclusione.

Come di prammatica, ecco poi il Menuetto (Allegro, 3/4) di struttura classica e semplice, ma significativamente energico, fin quasi ad anticipare certo Bruckner! Presenta una prima sezione di 18 battute (che chiude sulla dominante LA) e poi una seconda di 22 (con modulazione a SI minore) più la ripresa della prima sezione allungata (22 battute, chiusa sul RE) entrambe da ripetersi. Poi, più tranquillo e rilassato, il Trio, sempre in RE maggiore, pure in due sezioni, di 9 battute (chiusa sul LA) e 26 battute (incipit dalla dominante e chiusa sulla tonica) da ripetersi. Infine si torna al Menuetto, senza ripetizioni.

Chiude il Rondo (4/4 Allegro vivace, RE maggiore) di struttura assai articolata, che comporta l’impiego di quattro motivi fra loro mirabilmente intrecciati.

Viene esposto subito il primo gruppo tematico A, costituito da due frasi in RE maggiore, la prima (a1, 16 battute) piuttosto delicata, danzante; la seconda (a2, 19 battute) più marziale, che chiude con un un’impertinente cellula (a3, che occuperà poi un ruolo importante) ripetuta 4 volte ad altezze diverse, finendo sulla dominante. Il gruppo tematico viene subito riproposto, ma dopo la frase a1 identica, la seconda ora viene sviluppata assai (34 battute) insistendo sulla cellula a3, e porta verso LA maggiore, tonalità del tema B. Un tema di 8 battute, esposto da fagotto e violini, subito ripetuto dagli strumentini a canone, e poi seguito dalla cellula a3, che con una lunga transizione conduce inaspettatamente al ritorno della frase a2, sempre in LA maggiore.  

Qui Schubert ne inventa una davvero nuova: il tema B si smagrisce e si oscura, in flauto e fagotto, poi diventa balbettante nei violini e infine torna (fagotto e violini) incredibilmente in tonalità di FA maggiore! Dopo essere stato ripetuto dagli strumentini a canone, lascia spazio ancora alla cellula a3, sempre in FA maggiore ma abbrunata da lamenti (quinta - sesta abbassata - quinta) di oboi e clarinetti. Sempre a3 a tener banco in una lunga transizione che lentamente degrada nei legni verso l’accordo di settima di dominante di RE. E qui torna il gruppo A, riesposto come all’inizio, salvo una battuta extra (cellula a3) alla fine. 

Ora Schubert si diverte a portare a1 in minore, poi usa la cellula a3 per virare alla relativa FA maggiore e, da qui prende la rincorsa per riproporre a2 in SIb maggiore! É sempre a3 a riportarci a RE maggiore, tonalità di impianto cui ora si adegua canonicamente anche il tema B, esposto da clarinetto e violini e ripetuto da strumentini a canone. Immancabilmente torna a3 e si ripropone una transizione che porta alla lunga, pomposa coda, basata sulla frase a2, arricchita dalla presenza di una versione di a3 ancor più marcata ed enfatica.

Insomma, il ragazzino aveva proprio imparato bene le lezioni dei grandi della prima scuola!  

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E per un piccolo ensemble di 9 strumenti (quartetto d’archi più flauto, 2 clarinetti, fagotto e corno) era stata concepita nel 1857 (e per la prima volta eseguita due anni dopo) la Prima serenata del 24enne Johannes Brahms. Che successivamente ci fece un paio di upgrade per orchestra sinfonica quasi... (mancando tromboni, arpa e percussioni) romantica.

Insieme al concerto pianistico (Op.15) si ritiene che questa sia una delle due principali opere propedeutiche al tardivo ingresso di Brahms nell’arena sinfonica, che Beethoven aveva sostanzialmente prosciugato e che era stata poi rispettosamente frequentata solo dalla coppia Mendelssohn-Schumann.

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Caetani, che in Schubert non aveva fatto sconti ai da-capo presenti nella partitura, qui ne ha evitati un paio, ma direi senza far danni, anzi. Se nella Sinfonia aveva tenuto un approccio classico, con una gestione misurata di tempi e dinamiche, in Brahms (diretto a memoria) ha invece sciorinato qualche personale idea interpretativa, come la foga con cui ha attaccato l’iniziale Allegro molto, o l’aplombe (forse eccessivo, per me almeno) tenuto per il Menuetto

Ma il successo non è comunque mancato, per il Direttore e per l’Orchestra, specie per la sezione dei fiati che si è ben distinta (perdoneremo una svirgolata di corno) soprattutto in Brahms.

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