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24 giugno, 2021

laVerdi tutta in minore

Dopo quasi tre anni Kolja Blacher torna in Auditorium in entrambe le sue vesti: di solista al violino e di direttore. In programma - come da tradizione - un pezzo breve introduttivo, un concerto solistico e una sinfonia. Tre brani qui accomunati dal tono minore.

Si inizia con Valse triste di Jan Sibelius, componente delle musiche di scena (6 brani, pochi minuti) per un dramma di Arvid Järnefelt (cognato di Sibelius) intitolato ottimisticamente (Kuolema) alla morte! Lo spettro del marito deceduto si affaccia sulla camera da letto della moglie malata per portarsela via. É annunciato da una musica arcana che sveglia la donna, che si mette a danzare, insieme ad apparizioni che si manifestano via via per ballare con lei questo improbabile walzer a metà fra sogno e incubo. Dopo una pausa di... riposo, attacca una danza sfrenata che culmina nell’apparizione della Morte, che reclama il suo pegno.

Seguiamo l’esecuzione di Eduard vanBeinum al Concertgebouw: per me la più rispettosa dell’agogica prescritta. Si attacca in Lento con i soli archi e con i contrabbassi in pizzicato (suoneranno sempre così delle minime puntate e solo verso la fine prenderanno l’arco, per poche battute); la tonalità del motivo iniziale è cangiante da FA# minore (16”) attraverso il RE (29”) a SOL maggiore (40”); quindi ancora lo stesso motivo è presentato in SOL minore (44”) poi, via MIb, sfocia in LAb maggiore (1’09”). All’indicazione deciso (1’15”) ma senza che il tempo cambi, ecco farsi largo, in staccato negli archi, la tonalità di SOL maggiore, con violini e celli che insistono sulla dominante RE, e si muovono fra questa e la tonica superiore, chiudendo su essa dopo una languida digressione sulla scala minore.

Qui (2’04”) flauto (poi contrappuntato dal clarinetto) e violini primi espongono il delicato tema principale, subito ripetendosi:

Poi (2’26”) segue una salita sulla relativa MI minore, che dal SOL scende al FA (2’44”) per una pausa in corona puntata; da qui (2’52”) si va sul FA#, dove ritroviamo (2’58”) il passaggio udito all’inizio. Ma la frase è bruscamente interrotta (3’13”) dalla ripresa del tema principale nel flauto, cui ancora risponde il clarinetto (senza ripetizione) seguito dalla salita in MI minore.

Questa però adesso sfocia, sul primo vero cambio di tempo (Poco risoluto, 3’34”, contrabbassi finalmente con arco!) in un perentorio nuovo tema in SOL maggiore (salita da dominante a sopratonica e appoggio sulla tonica) sfociante in Mi minore:

Subito riproposto ma con successiva scalata (3’45”) per toni interi fino al MI e successiva discesa cromatica sulla mediante SI. Cui segue una nuova impennata sul SOL acuto (3’55”) e discesa cromatica sulla dominante RE.

Il tempo accelera ancora (4’02”, Più risoluto e mosso) e gli archi si esibiscono in accordi ribattuti di SOL minore; poi sempre più veloce (4’07”, Stretto) sugli arpeggi (sempre di SOL minore) degli archi bassi riascoltiamo, in note aumentate, il motivo iniziale, stavolta sul RE minore.

Si torna a Lento assai (4’23”) dove abbiamo ancora 4 battute di RE minore prima che 4 violini soli esalino, prendendo il testimone dal RE dei corni, un ultimo respiro (4’33”): SOL-FA#-SOL, minore.

In sostanza il brano ha un’agogica piuttosto semplice: apre in Lento e poi, a partire dal Poco risoluto, accelera continuamente fino a morire sul ritorno finale del Lento. Per il resto, solo variazioni minuscole e assai brevi.  

Chi comincia a derogare dalla lettera di Sibelius è Vladimir Ashkenazy con la Chamber Orchestra of Europe. Che comincia ad abbandonare il Lento già sulla scansione dei RE (1’28”) e poi decisamente accelera sul tema principale (2’17”). Parrebbe quasi che il russo abbia seguito le orme di Sergiu Celibidache, qui con la RAI Milano.

Per curiosità ascoltiamo invece cosa combina Ole Schmidt con la Royal Philharmonic: interpreta l’indicazione deciso (a 1’43”) come un Allegro subito, raddoppiando la velocità fin dalla scansione dei RE che precede l’entrata del tema principale. Torna poi bruscamente a Lento (2’38”) per la riproposta della frase iniziale, quindi altro colpo di reni (3’23”) sulla ripresa del tema principale; e da qui a rotta di collo fino al Lento dell’epilogo (4’25”).  

Alfred Scholz con la London Festival fa la media fra il Lento e il Poco risoluto e poi la applica da inizio a fine, in un improbabile e continuo Allegretto!

Infine ecco Herbie con i Berliner: addirittura Lentissimo! Poi però - e al momento opportuno! (4’38”) - si scatena in un’orgia parossistica...
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Blacher? Intanto va detta la cosa più importante: come ha già fatto in passato, qui lui presenta una versione del brano per soli archi. Ma non quella della primissima esecuzione, cui Sibelius aggiunse successivamente i tre fiati e i timpani... bensì una moderna, orchestrata dal violoncellista Georg Oyen. Che lascia un retrogusto un po’ amarognolo, poichè privarlo dei pur sporadici interventi dei fiati (flauto e clarinetto soprattutto) toglie al brano quel tocco decadente che è la sua principale caratteristica: e qui due campioni come Manachino e Ghiazza avrebbero davvero fatto la differenza!

Quanto ai tempi, Blacher - che ha suonato sulla sedia della spalla, facendo traslocare Santaniello su quella del concertino - ha sostanzialmente rispettato la lettera di Sibelius, solo anticipando di poco l’accelerazione al Poco risoluto.
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Mendelssohn è l’autore del Concerto per violino in cui si cimenta direttamente Blacher. Ma non è quello celeberrimo in MI minore (che ascoltammo proprio da lui nel marzo del 2018) ma il meno famoso (ed eseguito) in RE minore. Lo avevamo ascoltato qui nel lontanissimo dicembre del 2012 interpretato da Vadim Repim con l’Orchestre de la Suisse Romande.

Composto all’età di 12 anni, fa parte di quella produzione mendelssohn-iana orientata prevalentemente agli archi (vedi le 12 sinfonie): erano questi, oltre al pianoforte, gli strumenti che davano vita ai concerti in casa Mendelssohn. Così anche quest’opera vede il solista accompagnato esclusivamente da questa sezione dell’orchestra.

Anche qui, come Prima Sinfonia udita poco tempo fa, troviamo un Mendelssohn tutto pieno di furore adolescenziale, che si manifesta nei due Allegro esterni, mitigato dal languido Andante centrale. La struttura è simile a quella del futuro fratello (composto 22 anni più trdi) anche in dettagli come l’attacca che collega il secondo e il terzo tempo.

Blacher si fa sistemare due leggii: uno per sè come solista (e anche questo è un segno della scarsa dimestichezza con quest’opera) e uno, opposto al primo, per sè come direttore. Girandosi ora verso il pubblico (solista) ora verso l’orchestra (direttore). 

Apprezzabile la sua interpretazione (la tecnica certo non si discute) che però non rimuove da questo brano (se si esclude qualche squarcio nell’Andante) l’impressione di una certa freddezza, o di accademismo che guarda più al passato che al futuro.
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É Mozart a chiudere la serata con la stra-celebre K550. Il che consente anche alla sezione fiati dell’Orchestra di avere doverosamente la sua parte. Blacher dirige senza bacchetta e affronta questo capolavoro con gran cipiglio e tempi sempre ben serrati. E poi non ci fa mancare uno solo dei da-capo, inclusi quelli del movimento finale.

Per lui e i ragazzi un gran trionfo con gli ormai consueti applausi ritmati. Replica questa sera.

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