Cambio volante di direzione per il settimo concerto de laVerdi: assente-il-residente (!?) Bignamini,
lo sostituisce un giovane che con la Brexit ha trovato un impiego non lontano da qui, che
risponde al nome di Alpesh Chauhan,
29enne albionico ma con evidenti ascendenze afro-indiane.
Programma
piuttosto insolito, essendo costituito da quattro brani
dello stesso genere (poema sinfonico o giù di lì, tutti fra i 15 e i 20 minuti
di durata) che rischia quindi di apparire un filino monotono, un po’ come un
menu articolato su quattro portate di soli formaggi (!!) per di più di due soli
produttori. E quattro lavori che si chiudono in tragedia o comunque... al
cimitero! Alle estremità due vicende d’amore impossibile e quindi votato ad una
inevitabile brutta fine (come quella dell’Autore... Ciajkovski); all’interno due esempi di esistenze a loro modo
scapestrate e destinate a chiudersi anzitempo (qui l’Autore - Strauss - invece fa il becchino...)
A metà degli anni ’50
(dell’800) Franz Liszt aveva
inventato (insomma... perfezionato) il genere musicale del poema sinfonico, con la sua serie di 13 lavori: l’idea
programmatica era di evocare con la sola musica (Hanslick ne rimase orripilato) sensazioni, emozioni, pensieri,
indotti da soggetti di natura (prevalentemente) letteraria: storie d’amore,
avventure, e pure concetti filosofici. Berlioz
già ci aveva osato anni prima con la sua Fantastique,
e persino Beethoven (nella Pastorale) aveva minuziosamente dipinto
in note usignoli, quaglie e cuculi!
Liszt fece proseliti ovunque (la moda del poema sinfonico contagiò molti
altri compositori, da Dvorak a Franck, poi Sibelius e giù giù fino al ‘900 con
Schönberg e Respighi) ma prima di tutto in Russia dove Ciajkovski (titolandoli, per distinguersi, fantasie) ne sfornò una mezza dozzina, due dei quali (fine anni ’80)
vengono presentati in apertura e chiusura del concerto. Poi, a partire da una
decina d’anni dopo il russo, fu Richard
Strauss a prendere decisamente il testimone da Liszt con i suoi 7 Tondichtungen (poemi in suoni) cui si
possono aggiungere, per far numero, le due Sinfonie
a programma e la giovanile Aus
Italien.
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Si inizia con 35 minuti di
ritardo, causa... disastro ambientale. No, a Milano è piovuto, però non c’è (ancora)
acqua alta, ma - come ha spiegato il general manager Jais - il fumo uscito dal camino di uno stabile adiacente all’Auditorium
è stato risucchiato dal sistema di condizionamento ed ha invaso la sala. In
effetti entrando si avvertiva ancora un vago odor di carbonella...
Poco prima si era anche appreso che il Direttore chiamato al posto di Bignamini
(e chi, se non lui?) aveva letteralmente rovesciato l’ordine di esecuzione dei
quattro brani (come ancora presentato nella locandina online). Potrei sbagliare,
ma la nuova sequenza mette subito in tavola i vini più buoni (perlomeno i più
noti) e poi (quando gli invitati sono ormai un po' brilli) quelli... un po’ meno (vedi l’usanza
richiamata nella storia evangelica delle nozze di Cana, ma prima del miracolo!)
Quindi si parte con Romeo&Giulietta,
una Ouverture-Fantasia che Ciajkovski,
dedicandola a Balakiriev, produsse
dapprima nel 1869 per poi rivederla abbastanza radicalmente nel 1879 e darle un
definitivo ritocco nel 1880: e quest’ultima è la versione normalmente (anche qui)
eseguita. Tempo fa mi ero preso la briga di sintetizzare
le principali differenze fra le due versioni estreme, confrontandone le strutture
e facendo riferimenti pratici a due esecuzioni: quindi rimando i curiosi a quel
post.
___
Dopo una tragedia amorosa,
ecco una leggenda amorosa libidinosa, quella di Don Juan. C’è chi (per
bocca di Leporello) lo dipinge come
un RoccoSiffredi-ante-litteram (uno
che ne scopa 1003 solo in Spagna) ma allo stesso tempo avanza seri dubbi sulle
millanterie del burlador (in tutta
l’opera della premiata coppia DaPonte-Mozart
sfido chiunque a riscontrare una sola avventura andata-a-buon-fine!)
Strauss crede più alla
leggenda (meglio: a Nikolaus Lenau...)
che a Mozart, così il suo Don Juan sprizza
esuberanza, vitalità, perenne ricerca dell'ideale femminino spinta
– oltre l'erotismo - fino all'eroismo.
Mirabili sono i due intermezzi amorosi (il primo in SI, l’altro in SOL maggiore)
i corteggiamenti e gli abbandoni che vi sono disseminati, fino all’esplosione nei
corni del tema eroico del Don.
Romantica
fino all'estremo la conclusione dell'esistenza dell'eroe: quasi un
tristaniano suicidio, sottolineato dal dissonante FA naturale delle
trombe, poi dei corni, che cade sul MI, la tonalità del Don, che a sua volta va
scemando, prima da maggiore a minore, per trovare pace sul MI all'unisono
(archi in pizzicato, controfagotto, tromboni, tuba e timpano) delle due
conclusive semiminime.
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Dopo l’intervallo arriva lo scapestrato Till Eulenspiegel (lo specchio del gufo?!) del 1895, dove Strauss fa un regalino al padre (famoso cornista) scrivendo quel tremendo passaggio che l’interprete deve suonare a freddo (battuta 6) e che prevede, dopo tre scalate apparentemente facili, un precipitare sulla triade di FA di quasi tre ottave, dal RE acuto al FA grave, oltretutto da suonarsi piano, il che non aiuta di certo...
Come
in tutta la musica a programma, la pertinenza dei suoni con
il programma è lasciata alla nostra capacità di giudizio, o
alle nostre reazioni di fronte ai suoni medesimi, una volta che ci sia stato
chiaramente spiegato da chi, cosa o quant’altro siano stati, quei suoni,
ispirati al musicista.
Che
l’assolo del corno, come quello più avanti del clarinetto in RE, ci sbozzino la
personalità del burlone Till è concetto che arriviamo a condividere soltanto
dopo che siamo stati informati della figura che sta dietro quelle note. Mai e
poi mai – ignorando tale informazione – avremmo potuto sbottare, ascoltando di
primo acchito quei temi: ma certo, come no! è quel mattoide di Till, lo si
riconosce da lontano!
Insomma,
sulla natura della musica aveva mille ragioni il tanto vituperato Eduard
Hanslick, e se la musica a programma ci può piacere è solo - ed esclusivamente –
quando è grande musica di per se stessa, alla faccia del programma!
Seguiamo le avventure del
nostro burlone (sulla base dei commenti lasciati da Strauss) insieme al tardo Furtwängler con
i Berliner.
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Anche questa, come
tutte le storie e leggende, comincia con il famoso c’era una volta... Sono le prime 5 battute suonate dai violini,
accompagnati da clarinetti e fagotti. E torneremo appropriatamente a sentirlo
proprio alla fine della storia!
Ecco quindi (16”)
il primo corno presentare il famoso tema in FA maggiore che dipinge la bizzarra
e scanzonata personalità di Till. Tema subito ripetuto, poi variato nella
chiusa dall’oboe, quindi dal clarinetto, ancora da fagotti, viole e celli, e
infine portato al parossismo da tutta l’orchestra, che lo sigilla con tre
schianti sulla sottodominante SIb e sulla dominante DO.
A 1’01”
lo sberleffo del clarinetto ci dice che Till
era un gran briccone! E subito (1’11”) ci vengono esposti altri
motivi che lo caratterizzano. Un passaggio apparentemente innocente (2’28”)
introduce la prima avventura del nostro, che attraversa di gran carriera a
cavallo un mercato (3’02”) creando pandemonio fra le donne colà presenti, fuggendo
quindi con gli stivali delle sette leghe.
Poi (3’25”)
il nostro sembra rintanarsi in un nascondiglio, dal quale lentamente emerge per
prepararsi ad una nuova bravata: travestito da prete (3’58”) proclama grazia e
moralità. Ma la sua vera natura non tarda a rifarsi viva (4’31”) e subito dopo ecco
un sinistro presentimento (4’47”, la premonizione) di ciò che gli verrà a costare questo dileggio della
religione.
Adesso però (5’13”)
il nostro si prepara ad una nuova avventura, questa volta di carattere
sentimentale! Ecco quindi (5’19”) Till scambiare galanterie con
belle ragazze e addirittura cadere innamorato! Il suo tema (5’41”)
nel corno assume risvolti davvero romantici. Ma la ragazza del suo cuore non lo
degna di attenzioni e così lui se la prende a morte, come mostra il montare
protervo del suo tema, mentre lui giura (6’44”) di vendicarsi contro il mondo
intero.
E con chi se la
prende quindi? Con professori e pedagoghi (6’54”) rappresentati da un pedante
motivo di fagotti e clarinetto basso. Till comincia (7’02”) con spezzoni del
suo tema principale e poi del secondo a porre domande pretestuose per mettere
in difficoltà i cosiddetti saggi, che rispondono con pachidermica quanto vuota
prosopopea, finchè lui non li aggredisce (8’19”) con quattro abbaiate del suo
secondo impertinente tema, coprendoli quindi di ridicolo (8’23”) con un gigantesco
sberleffo!
Se ne va quindi (8’33”)
fischiettando lungo la strada, per poi (8’45”) quasi svanire
misteriosamente. Ora segue (9’16”) una pausa di tranquillità,
un’oasi di pace nell’esistenza movimentata del nostro, il cui tema principale
ritorna però (9’55”) stentoreo e quindi si riproduce continuamente,
contrappuntato qua e là dal secondo, fino a sfociare (10’52”) in una grandiosa
perorazione in corni e tromboni, con tempi assai dilatati. Successivamente (11’06”)
ecco il tema ripreso dapprima quasi saltellando ma poi con un successivo
crescendo di agitazione (e contrappunto del secondo tema) che porta ad
un‘autentica orgia sonora chiusa (12’07”) dal ritorno tracotante del
tema di Till-prete!
È la goccia che fa
traboccare il vaso: adesso (12’12”) sarà la giustizia a fare il
suo corso, e al povero Till poco serviranno (12’31”) piagnucolose
giustificazioni, vanamente opposte ai reiterati, tremendi accordi dell’intera
orchestra, trasformatasi in un’inesorabile e inflessibile corte. Torna a farsi
sentire (13’21”) anche il tema della premonizione,
che introduce le due battute dei fiati (13’40”) che annunciano, con una
impressionante caduta FA-SOLb, la sentenza capitale. L’anima di Till se ne va
con un ultimo svolazzo velleitario del clarinetto, cui segue la mesta cerimonia
della composizione della salma.
Ecco (14’24”):
c’era una volta... ripetono gli
archi, variando sottilmente ma stupendamente la chiusa del motivo: all’inizio
saliva da tonica a sopratonica e mediante (la storia sta per cominciare);
adesso scende da mediante a sopratonica a tonica (la storia è finita). Ancora
qualche battuta di commiato (14’37”) per ricordare sommessamente
il poveretto che ha pagato a caro prezzo la sua sfrontatezza: ma in fondo,
sembra dire (15’04”) il suo tema ormai reso innocuo, era soltanto un
ragazzo...
Poteva finire qui,
invece (15’23”) pare proprio che il bricconcello voglia ancora sbeffeggiare
tutti anche dall’aldilà!
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Esecuzione davvero degna di encomio, senza una sola sbavatura,
gratificata di unanimi consensi da parte del pubblico che non mostra segni di appagamento.
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Si chiude la serata con Francesca da Rimini del 1876 che parecchi anni dopo (1914) verrà ripresa in melodramma verista da Riccardo Zandonai. Ma mentre il compositore novecentesco si varrà di D’Annunzio e relegherà Dante sullo sfondo dell’ispirazione originale, ignorando bellamente gironi infernali e connesse trombe d’aria per concentrarsi sulla scabrosa e trasgressiva, modernissima quanto antichissima vicenda terrena, Ciajkovski si cala proprio nella Commedia, per evocarci in musica precisamente i gironi infernali e la punizione meteorologica che laggiù ne subiscono i fedifraghi umani che si macchiarono di colpe contro la più bigotta delle morali...
Per una casereccia analisi dei contenuti del brano (con annesso
esercizio di ascolto) rimando i curiosi a questo
vecchio post del 2014, mentre riguardo all’esecuzione di ieri dirò che - a dispetto
del carattere ostico della partitura - ne è uscita un’esecuzione
apprezzabilissima, accolta da lunghi applausi per l’Orchestra e (anche ritmati)
per il Direttore. Vuoi vedere che ha fatto anche lui il miracolo di Cana?!
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