Jader
Bignamini torna sul podio a guidare laVerdi in un nuovo appuntamento con la
Russia (al di qua della cortina...) più
qualcosa di italiano moderno.
Una nota di carattere logistico: quando un programma prevede due pezzi per pianoforte e
due per sola orchestra, anche un fanciullo arriverebbe a capire che convenga
accorpare i due brani col solista. Se invece, come puntualmente accade qui, si
pongono i due brani col pianoforte in posizione 2 e 3 (prima e dopo
l’intervallo) si ottiene il mirabile risultato di costringere il pubblico a due
intervalli supplementari, da trascorrere obbligatoriamente ancorati alla
propria poltrona, contemplando i (per carità, efficientissimi) addetti che spostano
e poi riallontanano l’ingombrante strumento a tastiera. Si poteva almeno risparmiare
il primo trambusto preparando il pianoforte già in posizione, coperchio chiuso,
per il breve brano d’apertura.
Si apre
quindi con Alexander Borodin e le
tanto famose, quanto ignota è l’opera, danze dal Principe Igor. Che tutti però
ricordiamo come Straniero
fra gli angeli.
Il brano
(che nell’opera chiude il secondo atto) consiste, dopo una brevissima
introduzione, nel succedersi di quattro danze, seguito dalla ripresentazione
della 1, poi della 4, poi della 2 e infine da una Coda:
Nell’opera agli strumenti si aggiunge
anche il coro, con un grandissimo effetto (qui un Gergiev letteralmente
forsennato!): peccato che laVerdi
(che dispone di un coro con i fiocchi) non abbia pensato di impiegarlo,
proponendoci invece la versione puramente strumentale del brano (orchestrata da
Rimski). Un po’ un’occasione perduta, anche se l’esecuzione dell’orchestra è
stata davvero trascinante.
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Segue la
primizia contemporanea: una specie di Concerto per piano e orchestra di Nicola Campogrande, la voce (maschile) più…
sexy di Radio3-Suite. Musica a
programma, precisamente il ritratto di una donna (R è l’iniziale del nome) commissionato
dal compagno (di nome A). Insomma, una specie di Sinfonia domestica in casa d’altri (smile!)
Sono 5 movimenti,
i tre dispari assai mossi (personalmente ci ho visto Respighi, Stravinski e Varèse)
a incastonarne due più lenti e quasi delle cadenze del solo pianoforte. Musica gradevole
che non si direbbe composta oggi, il che tutto sommato torna a suo merito!
La
protagonista di questa primizia è Lilya
Zilberstein, una russa trapiantata in Germania che ha frequentazioni assidue
con il nostro Paese. A giudicare dai complimenti che le ha rivolto alla fine l’Autore,
salito sul palco a prendersi i dovuti applausi, dobbiamo pensare che l’esecuzione
sia stata precisamente come Campogrande (e la famiglia committente…) se l’aspettava.
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Dopo
l’intervallo torna la bravissima Lilya
per proporci le 24 variazioni (oh,
pardon! la rapsodia) di Rachmaninov sull’ultimo capriccio di Paganini. Qui una sua esecuzione a Torino con la RAI, ma già circa
14 anni fa la russa aveva eseguito il pezzo con laVerdi!
Domanda: in
un pezzo di Rachmaninov potrebbe mai mancare una qualche citazione del Dies Irae? Ma certo che no, e infatti
basta pazientare poco (fino alla variazione VII) per trovare il chiodo fisso
del russo:
E non sarà
di certo questa l’unica apparizione del famoso tema medievale, che torna nella
variazione X, poi, camuffato, nella XIV, poi ancora nella XXII e finalmente nella
XXIV.
Alla variazione
XVIII arriva anche la parte languida e zuccherosa (è pur sempre… Rachmaninov!) ottenuta
con l’espediente di invertire il tema
principale, trasportandolo poi in REb maggiore:
Si apre qui
l’ultima parte della Rapsodia, che poi chiude con una specie di sberleffo, come
di uno spiritello che sparisce nel nulla con un paf! Ecco: una croma di LA appena sussurrato dal pianoforte, dal
pizzicato degli archi, da timpano e campanelli e da tuba, corni e fagotti.
Trascinante l’esecuzione della Zilberstein, che ci mette tutta la dovuta diabolicità, ben sorretta da Bignamini, il che le merita un autentico trionfo, non ricambiato (ma bisogna pure capirla!) da un bis.
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Trascinante l’esecuzione della Zilberstein, che ci mette tutta la dovuta diabolicità, ben sorretta da Bignamini, il che le merita un autentico trionfo, non ricambiato (ma bisogna pure capirla!) da un bis.
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Chiude la
serata Stravinski, con il suo… poker col
morto (smile!)
il compositore russo trapiantato in occidente era diventato un accanito
giocatore di poker, e così gli venne
in mente il soggetto per un balletto dove a danzare sono… le carte. Si tratta
di tre mani sempre aperte dallo
stesso motivo, che rappresenta l’atto della distribuzione delle carte:
Le note di
regìa del balletto sono assai dettagliate, con i danzatori che rappresentano le
carte di cui via via scoprono il contenuto, togliendosi maschere e mantelli e
dando luogo quindi alle diverse fasi della partita, con vincitori e vinti.
C’è anche un
risvolto quasi sociologico nella trama
del balletto, laddove il Joker, che
si comporta praticamente da tiranno e fa vincere alla sua squadra le prime due
mani alla grande, viene alla fine smerluzzato dal… popolo delle carte normali
(una sontuosa scala reale di cuori!)
Certo, con l’esecuzione puramente strumentale si fatica a percepire il contenuto letterario del brano (come si fa, in musica, a rappresentare le picche e i quadri?) e non resta che gustarlo come musica pura, costellata da impertinenti citazioni di Rossini, Ciajkovski e Beethoven…
Bignamini, che dirige tutto (Campogrande escluso…) a memoria, trascina i ragazzi in un’esecuzione spiritosa e vibrante, meritandosi grandi ovazioni da un pubblico abbastanza folto.
Certo, con l’esecuzione puramente strumentale si fatica a percepire il contenuto letterario del brano (come si fa, in musica, a rappresentare le picche e i quadri?) e non resta che gustarlo come musica pura, costellata da impertinenti citazioni di Rossini, Ciajkovski e Beethoven…
Bignamini, che dirige tutto (Campogrande escluso…) a memoria, trascina i ragazzi in un’esecuzione spiritosa e vibrante, meritandosi grandi ovazioni da un pubblico abbastanza folto.
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