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15 aprile, 2013

DonCarlo festeggia i 40 anni del Regio moderno


Mercoledi 10 aprile si celebravano i 40 anni dalla riapertura (con rocamboleschi Vespri) del teatro torinese (i festeggiamenti proseguiranno sino a fine giugno) e Don Carlo è stato scelto per onorare la ricorrenza (poi per una qualche insondabile ragione la prima è slittata di 24 ore…) Ieri la seconda, in un teatro piacevolmente gremito in ogni ordine di posti. E dove alla fine il pubblico si è accalcato sotto il palco per tributare un autentico trionfo a tutti i protagonisti, non essendosi risparmiato prima applausi a scena aperta al termine di tutte le stazioni di questo meraviglioso calvario che è il Don.

Qui siamo proprio in un teatro-della-città, che i cittadini sentono come loro proprio e di cui giustamente apprezzano la serietà, la professionalità e lo stare-con-i-piedi-per-terra, fornendo prodotti di qualità senza pretendere (non essendolo) di essere i primi al mondo e soprattutto senza pretendere di attribuirsi porzioni sproporzionate dei finanziamenti pubblici. Il riferimento alla Scala è evidente: il quale ormai non è più il teatro dei cittadini milanesi, ma è una meta turistica per stranieri neo-ricchi, dove la maggioranza del pubblico passa di lì per caso e, soprattutto, senza cognizione di causa.
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Lo spettacolo riprende l’allestimento del 2006 di Hugo de Ana, mentre sul podio sale il padrone di casa, Gianandrea Noseda da Sesto San Giovanni.

Regìa che gli snob con la puzza al naso tacceranno di ammuffita musealità (o di zeffirellite rafferma) poiché le scene copiano quasi alla lettera le architetture dell’Escurial e di Valladolid, i costumi sono precisamente quelli che vediamo nei quadri e nelle pitture cinquecentesche e ciò che avviene in palcoscenico è al 100% rispettoso delle didascalie prescritte in partitura. Ah, che noia, che barba, che noia, vuoi mettere qualche bel cappottone ddr e l’ambientazione nella Dallas di JR ?!

Per la verità la regìa, col Don Carlo (o Carlos) un problemino ce l’ha sempre, ed è una faccenda di… taglie: datosi che il povero Infante, all’inizio del secondo atto, deve scambiare la Eboli per la Regina (della quale Regina conosce meglio di chiunque altro, e per evidenti ragioni, le… dimensioni, smile!) è necessario che soprano e mezzosoprano che impersonano le due signore abbiano corporature almeno vagamente compatibili. (La benda che copre l’occhio offeso della Eboli non è un problema, essendo prudentemente nascosta dalla maschera e dal velo da lei indossati.) Ora, la defezione della Frittoli (annunciata dall’altoparlante alle ore 14:29) sostituita dalla Kasyan (che ha due taglie in meno…) qui ha provocato invece un palese… scompenso volumetrico, talchè ha fatto piuttosto sorridere il Carlo che scambiava la giunonica Barcellona per l’esile georgiana (cose che capitano solo in teatro, smile!)  
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Ma a proposito di inverosimiglianze, sappiamo che il dramma di Schiller e il libretto di Méry-DuLocle, mentre presentano uno sfondo storico-politico assolutamente rigoroso, contengono invece una versione ampiamente romanzata e fantasiosa delle relazioni personali intercorrenti fra Carlo, Elisabetta e Filippo.

Per fare un minimo di chiarezza storica, bisogna ricordare alcune date: Filippo II (nato nel 1527) succede al padre Carlo V (tramite abdicazioni successive) nel 1556-58 (Carlo V muore appunto nel ‘58). Ha già all’attivo due matrimoni, dal primo dei quali è nato il Carlo della nostra vicenda, nel 1545. Quindi quando Filippo eredita (parte del) l’impero del padre, ha 29 anni e suo figlio Carlo ne ha 11.

Veniamo ora ai due giovani: ammesso che si siano incontrati a Fontainebleau, la cosa deve essere avvenuta assolutamente prima del 1559 (anno del matrimonio, il terzo, di Filippo con Elisabetta). Ora, a quel tempo DonCarlo ed Elisabetta (che erano coetanei, classe 1545) avevano 12, massimo 13 anni! Praticamente dei bambini insomma, le cui eventuali promesse di matrimonio corrisponderebbero a quelle che oggi si fanno due sbarbati delle scuole medie! (Invece pare verosimile che i due fossero destinati, magari a loro insaputa, ad un qualche matrimonio di Stato).    

È storicamente accertato che Filippo sposò Elisabetta nel 1559, quando lui aveva 32 anni e la francesina ne aveva solo 14, e ancora stava uscendo dalla pubertà (ebbe la prima gravidanza, abortita, 5 anni dopo). Ed è verosimile che i fatti narrati nell’opera siano anteriori al 1564, anno in cui Elisabetta ebbe appunto la prima delle sue 4 gravidanze (successivamente ebbe due femmine - ’66 e ’67 - e un altro aborto nel ’68). In effetti il libretto reca l’indicazione verso il 1560: il che comporta che Carlo ed Elisabetta, ai tempi dello scandalo narrato nell’opera, dovessero avere 15 anni al massimo (!?)

Quanto a Filippo, che spesso viene rappresentato come un ottuagenario decrepito, aveva appunto 32 anni quando sposò Elisabetta, e 33 ai tempi della vicenda dell’opera, il che contrasta abbastanza con il crin bianco da lui stesso citato nella famosissima Ella giammai m’amò… Però qui a Torino Filippo è impersonato nel primo cast dal 36enne Abdrazakov, il che tutto sommato rende giustizia alla… storia!  
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Tornando a bomba, la versione rappresentata al Regio è Don Carlo e non Carlos, dal che si deduce essere quella in italiano (Scala 1884) e in soli (smile!) quattro atti (3 ore nette di musica) avendo abbandonato oltralpe l’idilliaco Fontainebleau. Edizione qui meritoriamente esente anche da pseudo-filologie-a-buon-mercato (tipo riscoperte dell’america di Peregrine o Lacrymose assortite, per intenderci, o di pagine di partitura rifatte di sana pianta da Verdi medesimo in occasione dell’edizione scaligera).

Per gli aficionados di Radio3 allego, dall’archivio di Musica&Dossier, due scritti sull’opera verdiana, apparsi sui numeri di aprile 1988 e di novembre 1992 a firma di due vecchie conoscenze: Stefano Catucci e Guido Barbieri.
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Come detto, ieri gran trionfo per tutti gli interpreti, fra i quali mi sembra spetti di diritto la priorità di menzione a Svetlana Kasyan, che ha dovuto forzatamente anticipare il suo debutto di due giorni, causa l’indisposizione della Frittoli. Bene, questa giovane georgiana, alle prime esperienze forti, è stata davvero una piacevolissima sorpresa, mostrando grande tecnica, una bella voce e soprattutto una sicurezza da cantante navigata: per essere un esordio, davvero splendido.

Accanto a lei un Ramón Vargas abbastanza efficace, senza sbavature, anche se la voce non è abbastanza… eroica (non sempre, ovvio, ma quando ciò sarebbe necessario).

Ildar Abdrazakov è un Filippo convincente (come detto, anche… anagraficamente): voce calda e mai cavernosa, bella espressività e portamento davvero regale, incluse le tremende contraddizioni che animano il personaggio.

Ludovic Tézier per me ha fatto un figurone: un Posa di grande spessore e autorevolezza, cui è difficile trovare lacune.

Molto bravo anche Marco Spotti, che ha restituito con durezza, ma senza esagerazioni macchiettistiche, la figura dello sbifido cerbero Inquisitore.

Roberto Tagliavini ha dignitosamente prestato la sua voce (che arrivava più che altro dalle… profondità della cripta) al Frate-CarloV.

Lascio per ultima Daniela Barcellona: dopo la (tutto sommato) positiva comare Quickly alla Scala, la statuaria mula triestina si cimenta in un altro, e invero impegnativo, ruolo verdiano: quello di Eboli. Ecco, una prestazione di livello non assoluto, stante le caratteristiche… somatiche della sua voce, che non collimano precisamente con quelle del personaggio, soprattutto nelle scalate più ardite. Tuttavia un risultato complessivo più che accettabile, raggiunto anche, se non soprattutto, grazie alla impeccabile capacità di stare in scena.     

I comprimari erano Sonia Ciani (Tebaldo en-travesti) Erika Grimaldi (Voce dal cielo) Dario Prola (Lerma) e Luca Casalin (Araldo).

Fabrizio Beggi, Scott Johnson, Federico Sacchi, Riccardo Mattiotto, Franco Rizzo, Marco Sportelli (gli ultimi tre sono membri stabili del Coro del Regio) hanno ben recitato la parte dei bistrattati Deputati fiamminghi.

Sempre all’altezza il Coro di Claudio Fenoglio, sia nelle parti di canto arcano e sommesso dei frati, che in quelle di grande e smaccata sonorità, davanti ad Atocha.

Il Kapellmeister Noseda si conferma ancora una volta solido ed affidabile concertatore: cava dall’orchestra i suoni più cupi e introversi, come i fracassi più enfatici. Guida le voci da par suo, senza mai metterle in difficoltà e tiene tempi mediamente serrati, senza però andare mai oltre i limiti della correttezza interpretativa. Insomma, un nome, una certezza!
  

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