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12 aprile, 2013

Orchestraverdi – concerto n.30


Oleg Caetani (Markevitch) si ripresenta al suo affezionato pubblico con una cosa (relativamente) moderna che apre la strada a Mahler

Dapprima l’ex-bambino-prodigio armeno Alexander Chaushian (oggi rispetto al video ha una trentina d’anni in più e… tutti i capelli in meno, smile!) interpreta il Concerto per violoncello di Witold Lutoslawski. Opera scritta su commissione della Royal Philharmonic Society, dedicata a Slava Rostropovich e da questi eseguita in prima assoluta a Londra nel 1970 (qui autore e interprete insieme).

Lutoslavski vi sperimenta alcune delle sue più o meno geniali trovate (lui si inventò anche una sua personale dodecafonia) come ad esempio l’aleatorietà (limitata) degli sviluppi dei suoni: in alcune sezioni (normalmente definite ad-libitum) gli strumentisti sono liberi di suonare le note scritte in partitura (certo, non altre!) un po’ come pare e piace a loro, quindi non rispettando necessariamente la sincronizzazione dei propri suoni con quelli dei colleghi, ma limitandosi ad obbedire ad un cenno del direttore che segnala (anche lui a sua discrezione) la fine dell’ora d’aria e il rientro in cella (smile!) cioè l’allineamento di tutti in vista del passaggio alla sezione successiva. In queste sezioni si ottengono quindi sia tempi che armonie variabili ad ogni esecuzione, i primi legati alla sensibilità del direttore, le altre ai limiti consentiti dalle possibili combinazioni delle note dei diversi strumenti che suonano insieme. Eccone un tipico esempio:


Al battere del direttore sul segno (7) le tre trombe entrano in modo aleatorio (cioè non necessariamente in sincrono) e ciascuna esegue la sua parte indipendentemente dalle altre. Le armonie derivanti dalla sovrapposizione dei suoni dei tre strumenti sono quindi aleatorie, ma limitatamente a quelle rese possibili dalle combinazioni (casuali) dei suoni emessi dai tre strumenti.

In questo caso la prima tromba suona dei LA e dei DO# (su ottave diverse); la seconda suona dei LAb e dei RE (sempre su diverse ottave) e la terza suona dei SOL e dei MIb (ancora su diverse ottave). Ne consegue che le armonie possibili sono date dalle 8 combinazioni dei 6 suoni (a 3 per volta) più i rivolti derivanti dalle diverse altezze (di ottava) degli stessi 6 suoni di base. Per esempio, ne possono uscire dei cluster (tipo SOL-LAb-LA) o accordi di nona costituiti da due quinte sovrapposte (SOL-RE-LA) e così via permutando…

Essendoci un segno di da-capo sui righi delle tre trombe, la sezione viene rieseguita. Quando il direttore segna il battere (8) i tre strumentisti devono finire le rispettive sezioni e tacere fino al nuovo battere (9) del direttore, dove inizia una nuova sezione.

Insomma, una specie di caos organizzato! Che trova il suo culmine qui, all’inizio del finale, dove 23 fiati, 3 percussionisti, il pianoforte e tutti gli archi devono suonare ciascuno indipendentemente dall’altro (leggere attentamente la nota a piè pagina) e dove in verticale compaiono tutte le 12 note della scala cromatica!


Altra caratteristica della scrittura (soprattutto per il violoncello, ma anche per gli altri archi) è la notazione di quarti e trequarti di tono; che serve a far produrre all’esecutore intervalli inferiori al semitono, ma più netti rispetto ai tradizionali glissando. I simboli usati e il loro significato sono riportati nella prefazione alla partitura. Ecco un esempio di queste notazioni sulla parte del violoncello solista:

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La struttura del concerto prevede quattro segmenti, che si susseguono senza soluzione di continuità e configurano una vera e propria tenzone sonora fra il solista (saltuariamente spalleggiato da altri strumenti) e gli ottoni, che sembrano impersonare un nemico, o un’autorità piuttosto… tirannica:

1. Introduzione affidata al solo violoncello, a mo’ di cadenza; alterna momenti di annoiata staticità (semicrome di RE ad intervalli di 1 secondo e in numero variabile da 10 a 20, con agogica indifferente) a guizzi improvvisi e spiritosi (grazioso, un poco buffo ma con eleganza, flautando, marziale) che si vanno infittendo per poi ricedere il posto all’atmosfera indifferente, dove però le semicrome di RE si trasformano in semibiscrome ribattute, oppure vengono precedute da acciaccature, a nota singola, poi doppia, poi tripla. Qui arriva una prima brusca intromissione delle tre trombe, che pian piano (dapprima singolarmente, poi insieme) prendono il sopravvento sul povero RE del violoncello, fino a zittirlo completamente.

2. Quattro episodi - protagonista il violoncello dialogante con strumenti diversi - interrotti da altrettante irruzioni degli ottoni.
Nel primo episodio la linea del violoncello, sempre caratterizzata da momenti di sonnolenza rotti da improvvisi risvegli, viene sporadicamente accompagnata dall’arpa, poi anche da clarinetto e violoncelli, quindi da viole, altro clarinetto, ancora da tutti gli archi, poi dalle percussioni (timpani, tomtom e tamburi, rullante e senza corde); sono proprio le percussioni ad accompagnare il solista fino all’irruzione della tromba, quindi – dopo una timida risposta del violoncello - di altra tromba e tromboni, che troncano l’episodio.
Nel secondo il violoncello dialoga con clarinetti, arpa e poi anche con il pianoforte; quindi entrano altre percussioni (vibrafono e campanelli) con tutti gli archi; poi ecco anche flauto, clarinetto basso, campane e celesta, cui si aggiunge il pianoforte; c’è poi un tutti che si spegne lasciando in vita, accanto al violoncello che si agita sempre più, soltanto poche percussioni, prima che un trombone intervenga perentoriamente, spalleggiato poi da altri due, a por fine bruscamente all’episodio, con il violoncello che sembra proprio un cagnolino, redarguito dal padrone, che si va ad accucciare.
Nel terzo episodio abbiamo interventi di percussioni, pianoforte, arpa e clarinetto basso, poi un frusciante passaggio di flauti e clarinetti, quindi ancora percussioni e poi celesta, arpa e pianoforte, mentre il violoncello si muove sempre alternando momenti di quiete a scatti improvvisi, sull’ultimo dei quali arrivano, proterve, le tre trombe a ristabilire… l’ordine.
Il quarto episodio è una specie di crescendo in cui entrano praticamente tutti gli strumenti, salvo gli archi alti: anche qui sono le tre trombe ad intervenire, dapprima con scarso successo, visto che violoncello, tastiere e fiati cercano di resistere; ma poi si aggiungono due tromboni a fare una specie di ramanzina collettiva, e così la… ricreazione è finita!   

3. Cantilena, affidata al violoncello solista che, dopo una serie di soliti RE cadenzati, espone meste linee melodiche, caratterizzate da continue acciaccature, supportato dai soli archi, che sembrerebbero quasi volerlo rincuorare; in effetti qualcosa si muove, in corrispondenza dell’entrata di tastiere, arpa e fiati, poi la melopea del violoncello riprende, accompagnata dall’agitarsi degli archi; finchè subentra una specie di crescendo, come di un treno che si mette in moto: violoncello e archi in unisono sembrano voler marciare con decisione verso… dove? e vengono bruscamente zittiti dall’intervento… dell’esercito (smile!) Sono tutti gli ottoni (trombe, tromboni, corni e poi, per poco, la tuba) che impongono una specie di legge marziale che annichilisce il violoncello, mentre gli archi continuano la corsa, ma stridendo precisamente come i freni di un treno che ha innestato la rapida! Gli ottoni (tuba esclusa, ribadiscono la loro autorità, spalleggiati dal pianoforte e portano verso il…

4. Finale, dove protagonista è dapprima l’intera orchestra, in un ribollire di suoni concitati e invero caotici; il violoncello sembra voler cominciare una frase, ma è brutalmente zittito da uno schianto sonoro; poi però riprende a… parlare, suonando una frase abbastanza lunga, ma qui tutta l’orchestra lo interrompe con quattro pesanti semicrome; adesso il violoncello prova per ben cinque volte a smozzicare qualche sillaba, sempre brutalmente interrotto dalle martellanti semicrome dell’orchestra. Poi si fa coraggio e (furioso, recita l’agogica) si imbarca in una serie di volate infarcite di quarti di tono e alternate a note testardamente ribattute, il tutto assecondato da sporadici interventi di tre ottavini, dei tomtom, xilofono, tamburino e campane, infine del pianoforte che precede un primo intervento repressivo di tutti i fiati. 
Adesso l’atteggiamento del violoncello diventa molto patetico, però sfida i tromboni, supportato a tratti da qualche percussione e dai violini, poi dall’arpa, fino al prossimo intervento bruciante degli ottoni. Ancora il violoncello insiste con note doppie ondeggianti, alternate ad altre ribattute con forza, sfidando i rimbrotti di trombe e corni, poi dei tromboni. Ancora intervengono percussioni, arpa, violini e contrabbassi, quindi il pianoforte e poi le viole, sfidando altri interventi di tutti i fiati, poi di corni e tromba e quindi ancora di tutti i fiati e degli archi. 
Ora abbiamo il redde-rationem: l’intera orchestra esplode precisamente 10 cannonate, seguite subito da un’esplosione tremenda (che deve durare dai 12 ai 15 secondi!) e qui il violoncello, accompagnato dai soli archi, si mette letteralmente a guaire come un cane bastonato, dando l’impressione di… tirare le cuoia (perdendo, recita l’agogica).
Sembra tutto finito (male) ma ecco comparire una coda, riservata al violoncello solista, con fugaci interventi di grancassa, archi e arpa. Ora persino gli ottoni paiono restare attoniti, e così il violoncello chiude la faccenda con 10 caparbie ripetizioni di un LA acuto (la dominante del solito RE, innalzata di un’ottava…)
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A dispetto delle ripetute affermazioni del compositore che sempre asserì trattarsi di musica pura, senza alcun riferimento esterno, c’è chi invece vi vede una scoperta allusione (con conseguente denuncia in… suoni) ai conflittuali rapporti fra l’individuo (in particolare l’artista) e le autorità-fantoccio filo-sovietiche che, da Gomulka al famigerato generale Jaruzelsky, nel secondo dopoguerra tennero per decenni la Polonia sotto il tallone comunista, prima che la premiata coppia Walesa-Wojtila mettesse fine allo scandalo. Il violoncello rappresenterebbe l’individuo, che invano cerca di esprimersi liberamente, venendo ogni volta messo a tacere dalla brusca invadenza delle tiranniche autorità (impersonate principalmente dagli ottoni). Peraltro la coda del concerto starebbe a rappresentare la possibilità per l’individuo medesimo di farsi beffe, se non altro nella sfera privata, della prepotenza del regime.

Questa è musica difficile da digerire, tranne forse che per gli esecutori, per via della libertà, sia pur vigilata (che sia anche questo un riferimento alla Polonia del dopoguerra?) di cui possono, una volta tanto, godere e che li mette al riparo da ogni critica sulla correttezza e pulizia degli attacchi (smile!)

In effetti solista e orchestra danno a vedere di divertirsi assai, mentre al pubblico andrebbe magari più a genio qualcosa come lo Schiaccianoci o la Moldava… E qualche dubbio sulle preferenze musicali dello stesso compositore nasce dallo scoprire che – fra una sinfonia e un concerto, diciamo… moderni – lui componeva clandestinamente polke, mazurke e walzeroni a gogò (smile!)

Comunque a Chaushian – che per la cronaca ha eseguito all’inizio 17 RE (l’Autore ne propone dai 15 ai 20!) - e a tutti vanno doverosi applausi per l’impegno profuso, e così l’armeno ci regala un bis con un brano popolare della sua patria lontana.
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Ecco, diciamo che questo antipasto è servito a farci apparire quasi dolciastra nientemeno che la Quinta di MahlerDella quale ho già altre volte scritto qualcosa, per cui mi limito qui a far parlare l’illustre Paolo Petazzi, allegando uno stralcio del suo corposo studio su Mahler, apparso nel settembre del 1989 su Musica&Dossier.

Sinfonia che Caetani ha interpretato con ragionevolezza, quanto a tempi staccati, e cercando di mettere in evidenza tutti i dettagli di questa complessa partitura. Strana invece la disposizione dell’orchestra, un ibrido visto poche volte, con violini secondi al proscenio (come da tradizione alto-tedesca) ma con archi bassi al centro-destra e viole a sinistra, dietro i violini primi… mah.

Purtroppo, dopo una partenza promettente (i primi due movimenti) le cose non sono propriamente andate per il giusto verso, a cominciare dal pasticcio del primo corno (si dice il peccato, ma non il peccatore) precisamente all’attacco dello Scherzo. Dopo un Adagietto un filino stiracchiato, il Finale è stato costellato da una serie di imprecisioni (di ottoni, corni e trombette in particolare, ma non solo) chissà, dovute magari all’abitudine dei ragazzi all’aleatorietà ereditata da Lutoslavski (stra-smile!)   

Gli applausi non sono comunque mancati, da parte di un pubblico assai folto (e questa è una buona notizia comunque).
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Prossimamente una strepitosa primizia (per quanto… rimandata di un anno) con il funambolo Wayne Marshall.

4 commenti:

mozart2006 ha detto...

Non sono d' accordo sul fatto che il concerto di Lutoslawski sia difficile da digerire. È stato eseguito da noi a febbraio nella stagione della RSO des SWR e il pubblico si è divertito moltissimo, secondo me logicamente perchè si tratta di una composizione che contiene aspetti teatrali assai spettacolari. Comunque, bene che sia stato presentato anche da voi.
Ciao!

daland ha detto...

@mozart2006
Beh, se lo si prende come spettacolo sì; oppure, appunto, come l'allegoria della vita grama di un artista sotto Zdanov!
Ciao!

BartyKbt ha detto...

Alessandro Caruana dice che le trombette (come le chiami tu in tono denigratorio) non hanno fatto nessuna sbavatura nel finale, pertanto prima di scrivere assicurati di aver sentito bene! Inoltre, giudicare l'operato delle trombe, da qualche possibile "sporcatura", denota ignoranza! Ti ricordo che chi mangia fa le briciole! Per ogni chiarimento in merito puoi venire a parlarmi ogni giovedì, venerdì e domenica!

daland ha detto...

@BartyKbt
Intanto grazie del commento, oltre che della visita.
In proposito, molto serenamente, mi permetto di osservare che non sta ad un esecutore stabilire la qualità della sua prestazione, ma a chi lo sta ad ascoltare; e lo dico col massimo rispetto per Caruana e per tutti i ragazzi dell’orchestra, di cui sono (come avrai notato dando un’occhiata al blog) un “tifoso”.
Verissimo che tutti si sbaglia, ci mancherebbe! Ti dirò addirittura che le “briciole”, come tu le chiami simpaticamente, danno ad una prestazione un qualcosa di positivo, proprio perché la umanizzano (altrimenti tanto varrebbe mettere dei robot in orchestra). Ciò non toglie che chi ascolta (con una certa attenzione e… conoscenza del soggetto) le possa rilevare, compresi gli… errori di rilevazione!
Trombetta non è per nulla (nella mia accezione) un termine denigratorio, ma una traduzione, diciamo… leggera e simpatica, del termine “Trompete”.
Insomma… take it easy!
Ciao!