Oleg
Caetani
(Markevitch) si ripresenta al suo affezionato pubblico con una cosa (relativamente)
moderna che apre la strada a Mahler.
Dapprima l’ex-bambino-prodigio armeno Alexander Chaushian (oggi
rispetto al video ha una trentina d’anni in più e… tutti i capelli in meno, smile!) interpreta il Concerto
per violoncello di Witold
Lutoslawski. Opera scritta su commissione della Royal Philharmonic Society, dedicata a Slava Rostropovich e da questi eseguita in prima assoluta a Londra
nel 1970 (qui autore
e interprete insieme).
Lutoslavski vi sperimenta alcune delle
sue più o meno geniali trovate (lui
si inventò anche una sua personale dodecafonia)
come ad esempio l’aleatorietà (limitata)
degli sviluppi dei suoni: in alcune sezioni (normalmente definite ad-libitum) gli strumentisti sono liberi
di suonare le note scritte in partitura (certo, non altre!) un po’ come pare e piace
a loro, quindi non rispettando necessariamente la sincronizzazione dei propri suoni con quelli dei colleghi, ma limitandosi
ad obbedire ad un cenno del direttore che segnala (anche lui a sua discrezione)
la fine dell’ora d’aria e il rientro in cella (smile!) cioè l’allineamento di tutti in vista del passaggio alla
sezione successiva. In queste sezioni si ottengono quindi sia tempi che armonie
variabili ad ogni esecuzione, i primi legati alla sensibilità del direttore, le
altre ai limiti consentiti dalle possibili combinazioni delle note dei diversi
strumenti che suonano insieme. Eccone un tipico esempio:
Al battere
del direttore sul segno (7) le tre trombe entrano in modo aleatorio (cioè non
necessariamente in sincrono) e ciascuna esegue la sua parte indipendentemente
dalle altre. Le armonie derivanti
dalla sovrapposizione dei suoni dei tre strumenti sono quindi aleatorie, ma limitatamente a quelle rese
possibili dalle combinazioni (casuali) dei suoni emessi dai tre strumenti.
In questo caso la prima tromba suona
dei LA e dei DO# (su ottave diverse); la seconda suona dei LAb e dei RE (sempre
su diverse ottave) e la terza suona dei SOL e dei MIb (ancora su diverse
ottave). Ne consegue che le armonie possibili sono date dalle 8 combinazioni
dei 6 suoni (a 3 per volta) più i rivolti
derivanti dalle diverse altezze (di ottava) degli stessi 6 suoni di base. Per
esempio, ne possono uscire dei cluster
(tipo SOL-LAb-LA) o accordi di nona costituiti da due quinte sovrapposte
(SOL-RE-LA) e così via permutando…
Essendoci un segno di da-capo sui
righi delle tre trombe, la sezione viene rieseguita. Quando il direttore segna
il battere (8) i tre strumentisti
devono finire le rispettive sezioni e tacere fino al nuovo battere (9) del direttore, dove inizia una nuova sezione.
Insomma, una specie di caos organizzato! Che trova il suo
culmine qui, all’inizio del finale, dove 23 fiati, 3 percussionisti, il
pianoforte e tutti gli archi devono suonare ciascuno indipendentemente dall’altro (leggere
attentamente la nota a piè pagina) e dove in verticale compaiono tutte le 12
note della scala cromatica!
Altra caratteristica della scrittura
(soprattutto per il violoncello, ma anche per gli altri archi) è la notazione di
quarti e trequarti di tono; che serve a far produrre all’esecutore intervalli
inferiori al semitono, ma più netti rispetto ai tradizionali glissando. I simboli usati e il loro
significato sono riportati nella prefazione alla partitura. Ecco un esempio di
queste notazioni sulla parte del violoncello solista:
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La struttura del concerto
prevede quattro segmenti, che si susseguono senza soluzione di continuità e
configurano una vera e propria tenzone sonora fra il solista (saltuariamente spalleggiato da altri strumenti) e gli ottoni, che sembrano impersonare un
nemico, o un’autorità piuttosto… tirannica:
1. Introduzione affidata al solo
violoncello, a mo’ di cadenza; alterna momenti di annoiata staticità (semicrome
di RE ad intervalli di 1 secondo e in numero variabile da 10 a 20, con agogica indifferente) a guizzi improvvisi e
spiritosi (grazioso, un poco buffo ma con
eleganza, flautando, marziale) che si vanno infittendo per poi ricedere il
posto all’atmosfera indifferente, dove però le semicrome di RE si trasformano
in semibiscrome ribattute, oppure vengono precedute da acciaccature, a nota
singola, poi doppia, poi tripla. Qui arriva una prima brusca intromissione
delle tre trombe, che pian piano (dapprima singolarmente, poi insieme) prendono
il sopravvento sul povero RE del violoncello, fino a zittirlo completamente.
2. Quattro episodi - protagonista il
violoncello dialogante con strumenti diversi - interrotti da altrettante irruzioni
degli ottoni.
Nel primo episodio la linea del violoncello, sempre caratterizzata da
momenti di sonnolenza rotti da improvvisi risvegli, viene sporadicamente
accompagnata dall’arpa, poi anche da clarinetto e violoncelli, quindi da viole,
altro clarinetto, ancora da tutti gli archi, poi dalle percussioni (timpani, tomtom
e tamburi, rullante e senza corde); sono proprio le percussioni ad accompagnare
il solista fino all’irruzione della tromba, quindi – dopo una timida risposta
del violoncello - di altra tromba e tromboni, che troncano l’episodio.
Nel secondo il violoncello dialoga con clarinetti, arpa e poi anche con
il pianoforte; quindi entrano altre percussioni (vibrafono e campanelli) con
tutti gli archi; poi ecco anche flauto, clarinetto basso, campane e celesta,
cui si aggiunge il pianoforte; c’è poi un tutti
che si spegne lasciando in vita, accanto al violoncello che si agita sempre
più, soltanto poche percussioni, prima che un trombone intervenga
perentoriamente, spalleggiato poi da altri due, a por fine bruscamente
all’episodio, con il violoncello che sembra proprio un cagnolino, redarguito
dal padrone, che si va ad accucciare.
Nel terzo episodio abbiamo interventi di percussioni, pianoforte, arpa
e clarinetto basso, poi un frusciante passaggio di flauti e clarinetti, quindi
ancora percussioni e poi celesta, arpa e pianoforte, mentre il violoncello si
muove sempre alternando momenti di quiete a scatti improvvisi, sull’ultimo dei
quali arrivano, proterve, le tre trombe a ristabilire… l’ordine.
Il quarto episodio è una specie di crescendo in cui entrano praticamente
tutti gli strumenti, salvo gli archi alti: anche qui sono le tre trombe ad
intervenire, dapprima con scarso successo, visto che violoncello, tastiere e
fiati cercano di resistere; ma poi si aggiungono due tromboni a fare una specie
di ramanzina collettiva, e così la… ricreazione è finita!
3. Cantilena, affidata al violoncello
solista che, dopo una serie di soliti RE cadenzati, espone meste linee
melodiche, caratterizzate da continue acciaccature, supportato dai soli archi,
che sembrerebbero quasi volerlo rincuorare; in effetti qualcosa si muove, in
corrispondenza dell’entrata di tastiere, arpa e fiati, poi la melopea del
violoncello riprende, accompagnata dall’agitarsi degli archi; finchè subentra
una specie di crescendo, come di un treno che si mette in moto: violoncello e
archi in unisono sembrano voler marciare con decisione verso… dove? e vengono
bruscamente zittiti dall’intervento… dell’esercito (smile!) Sono tutti gli ottoni (trombe, tromboni, corni e poi, per
poco, la tuba) che impongono una specie di legge marziale che annichilisce il
violoncello, mentre gli archi continuano la corsa, ma stridendo precisamente
come i freni di un treno che ha innestato la rapida! Gli ottoni (tuba esclusa, ribadiscono la loro autorità,
spalleggiati dal pianoforte e portano verso il…
4. Finale, dove protagonista è dapprima
l’intera orchestra, in un ribollire di suoni concitati e invero caotici; il violoncello sembra voler
cominciare una frase, ma è brutalmente zittito da uno schianto sonoro; poi però
riprende a… parlare, suonando una frase abbastanza lunga, ma qui tutta
l’orchestra lo interrompe con quattro pesanti semicrome; adesso il violoncello
prova per ben cinque volte a smozzicare qualche sillaba, sempre brutalmente
interrotto dalle martellanti semicrome dell’orchestra. Poi si fa coraggio e (furioso, recita l’agogica) si imbarca in
una serie di volate infarcite di quarti di tono e alternate a note
testardamente ribattute, il tutto assecondato da sporadici interventi di tre
ottavini, dei tomtom, xilofono, tamburino e campane, infine del pianoforte che
precede un primo intervento repressivo di tutti i fiati.
Adesso l’atteggiamento
del violoncello diventa molto patetico,
però sfida i tromboni, supportato a tratti da qualche percussione e dai
violini, poi dall’arpa, fino al prossimo intervento bruciante degli ottoni.
Ancora il violoncello insiste con note doppie ondeggianti, alternate ad altre
ribattute con forza, sfidando i rimbrotti di trombe e corni, poi dei tromboni.
Ancora intervengono percussioni, arpa, violini e contrabbassi, quindi il
pianoforte e poi le viole, sfidando altri interventi di tutti i fiati, poi di
corni e tromba e quindi ancora di tutti i fiati e degli archi.
Ora abbiamo il redde-rationem: l’intera orchestra
esplode precisamente 10 cannonate, seguite subito da un’esplosione tremenda
(che deve durare dai 12 ai 15 secondi!) e qui il violoncello, accompagnato dai
soli archi, si mette letteralmente a guaire come un cane bastonato, dando
l’impressione di… tirare le cuoia (perdendo,
recita l’agogica).
Sembra tutto finito (male) ma ecco
comparire una coda, riservata al
violoncello solista, con fugaci interventi di grancassa, archi e arpa. Ora
persino gli ottoni paiono restare attoniti, e così il violoncello chiude la
faccenda con 10 caparbie ripetizioni di un LA acuto (la dominante del solito RE, innalzata di un’ottava…)
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A dispetto delle ripetute affermazioni
del compositore che sempre asserì trattarsi di musica pura, senza alcun
riferimento esterno, c’è chi invece vi vede una scoperta allusione (con
conseguente denuncia in… suoni) ai conflittuali rapporti fra l’individuo (in
particolare l’artista) e le autorità-fantoccio filo-sovietiche che, da Gomulka al famigerato generale Jaruzelsky, nel secondo dopoguerra
tennero per decenni la Polonia sotto il tallone comunista, prima che la
premiata coppia Walesa-Wojtila
mettesse fine allo scandalo. Il violoncello rappresenterebbe l’individuo, che
invano cerca di esprimersi liberamente, venendo ogni volta messo a tacere dalla
brusca invadenza delle tiranniche autorità (impersonate principalmente dagli
ottoni). Peraltro la coda del concerto starebbe a rappresentare la possibilità
per l’individuo medesimo di farsi beffe, se non altro nella sfera privata,
della prepotenza del regime.
Questa
è musica difficile da digerire, tranne forse che per gli esecutori, per via
della libertà, sia pur vigilata (che sia
anche questo un riferimento alla Polonia del dopoguerra?) di cui possono, una
volta tanto, godere e che li mette al riparo da ogni critica sulla correttezza
e pulizia degli attacchi (smile!)
In effetti solista e orchestra danno a
vedere di divertirsi assai, mentre al pubblico andrebbe magari più a genio
qualcosa come lo Schiaccianoci o la Moldava… E qualche dubbio sulle preferenze musicali
dello stesso compositore nasce dallo scoprire che – fra una sinfonia e un concerto,
diciamo… moderni – lui componeva clandestinamente polke,
mazurke e walzeroni a gogò (smile!)
Comunque
a Chaushian – che per la cronaca ha eseguito all’inizio 17 RE (l’Autore ne propone
dai 15 ai 20!) - e a tutti vanno doverosi applausi per l’impegno profuso, e così
l’armeno ci regala un bis con un brano popolare della sua patria lontana.
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Ecco, diciamo che questo antipasto è
servito a farci apparire quasi dolciastra nientemeno che la Quinta
di Mahler. Della quale ho già altre volte scritto
qualcosa, per cui mi limito qui a far parlare l’illustre Paolo Petazzi, allegando uno stralcio del suo corposo studio
su Mahler, apparso nel settembre del 1989 su Musica&Dossier.
Sinfonia che Caetani ha interpretato con ragionevolezza, quanto a tempi
staccati, e cercando di mettere in evidenza tutti i dettagli di questa
complessa partitura. Strana invece la disposizione dell’orchestra, un ibrido visto
poche volte, con violini secondi al proscenio (come da tradizione alto-tedesca)
ma con archi bassi al centro-destra e viole a sinistra, dietro i violini primi…
mah.
Purtroppo, dopo una partenza promettente
(i primi due movimenti) le cose non sono propriamente andate per il giusto
verso, a cominciare dal pasticcio del primo corno (si dice il peccato, ma non
il peccatore) precisamente all’attacco dello Scherzo. Dopo un Adagietto
un filino stiracchiato, il Finale è
stato costellato da una serie di imprecisioni (di ottoni, corni e trombette in
particolare, ma non solo) chissà, dovute magari all’abitudine dei ragazzi all’aleatorietà ereditata da Lutoslavski (stra-smile!)
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Prossimamente una strepitosa primizia (per quanto…
rimandata di un anno) con il funambolo Wayne
Marshall.
4 commenti:
Non sono d' accordo sul fatto che il concerto di Lutoslawski sia difficile da digerire. È stato eseguito da noi a febbraio nella stagione della RSO des SWR e il pubblico si è divertito moltissimo, secondo me logicamente perchè si tratta di una composizione che contiene aspetti teatrali assai spettacolari. Comunque, bene che sia stato presentato anche da voi.
Ciao!
@mozart2006
Beh, se lo si prende come spettacolo sì; oppure, appunto, come l'allegoria della vita grama di un artista sotto Zdanov!
Ciao!
Alessandro Caruana dice che le trombette (come le chiami tu in tono denigratorio) non hanno fatto nessuna sbavatura nel finale, pertanto prima di scrivere assicurati di aver sentito bene! Inoltre, giudicare l'operato delle trombe, da qualche possibile "sporcatura", denota ignoranza! Ti ricordo che chi mangia fa le briciole! Per ogni chiarimento in merito puoi venire a parlarmi ogni giovedì, venerdì e domenica!
@BartyKbt
Intanto grazie del commento, oltre che della visita.
In proposito, molto serenamente, mi permetto di osservare che non sta ad un esecutore stabilire la qualità della sua prestazione, ma a chi lo sta ad ascoltare; e lo dico col massimo rispetto per Caruana e per tutti i ragazzi dell’orchestra, di cui sono (come avrai notato dando un’occhiata al blog) un “tifoso”.
Verissimo che tutti si sbaglia, ci mancherebbe! Ti dirò addirittura che le “briciole”, come tu le chiami simpaticamente, danno ad una prestazione un qualcosa di positivo, proprio perché la umanizzano (altrimenti tanto varrebbe mettere dei robot in orchestra). Ciò non toglie che chi ascolta (con una certa attenzione e… conoscenza del soggetto) le possa rilevare, compresi gli… errori di rilevazione!
Trombetta non è per nulla (nella mia accezione) un termine denigratorio, ma una traduzione, diciamo… leggera e simpatica, del termine “Trompete”.
Insomma… take it easy!
Ciao!
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