Intanto, ancora anniversari: stavolta
ricorrono i 50 anni dalla morte di Francis
Poulenc, autore che monopolizzerà anche il prossimo concerto (ancora con Marshall). Allora approfitto per
allegare uno scritto su Poulenc di Marco Spada per Musica&Dossier
del luglio 1993.
Si
apre quindi con il Concerto per due pianoforti, interpretato da Benedetto Lupo e dal residente Simone Pedroni. Opera non ancora
della maturità, composta nel 1932, poco dopo l’uscita dei due concerti raveliani,
ma già esempio di quel sincretismo (per
qualcuno: volgare kitsch) che caratterizza
molta della produzione di Poulenc. Opera ricca di atmosfere classicheggianti,
mescolate a effetti esotici (il gamelan
che Poulenc aveva conosciuto in occasione dell’Esposizione coloniale di Parigi del ’31) ed anche a motivi da piano-bar o da organetti da strada.
Meticolose
le indicazioni presenti sul frontespizio della partitura Salabert, dove si legge, ad esempio, che in nessun caso va
modificato il numero degli archi (8-8-4-4-4) e dove viene indicata la
disposizione degli strumenti, di fatto quella ormai tradizionale con i violini
a sinistra e gli altri archi a destra del podio:
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Il Concerto si compone dei tre tradizionali movimenti, ma strutturati al
loro interno con molta libertà e spesso con (solo apparente?) caoticità. Così
l’iniziale Allegro ma non troppo (in
RE minore) è per buona parte un movimento lento. La sezione iniziale, dopo una
breve introduzione aperta da due secchi accordi e che bizzarramente salta dalla
tonalità di RE a quella di DO# (!), espone almeno tre motivi (in RE minore, Fa
maggiore e DO maggiore):
Si noti nel primo, dopo le veloci discese, l’inciso di 4 crome, tutto
mozartiano. Il secondo è vagamente marziale, il terzo sembra una impertinente
parodia di musiche di film muto. I motivi in maggiore sono sempre intercalati
da quello in minore, che poi si trasforma in un vorticoso moto perpetuo (tipo
Sostakovich…) portando ad una sezione Lento
subito, dove si presenta un tema elegiaco, in DO minore, che poi sfuma
modulando ripetutamente, verso LA minore:
Ecco poi il ritorno (Subito Tempo I°)
all’Allegro, con un nuovo motivo in MIb:
Ma subito - Un poco affrettando (Pressez un peu) – ecco che l’atmosfera
cambia ancora, con un pesante intervento dell’orchestra, cui però i pianoforti
rispondono in modo impertinente, riproponendo il tema in DO maggiore, cui segue
ancora un passaggio in MIb che conduca ad un nuovo Lento subito, solo due battute di intervento degli archi e tre di
pausa interrotta da uno schiocco di castagnette. Ecco poi il Molto calmo (Très calme) in SIb, dove i
due pianoforti instaurano un tappeto di sgocciolanti semicrome sulla quale
emerge un languido motivo:
È una tipica atmosfera da gamelan,
che si trascina fino alla chiusura del movimento, con un irridente sberleffo
dell’ottavino seguito da due semplici accordi dei pianoforti. Insomma, a parte qualche
parvenza di forma, con ripresa di motivi,
il tutto più che un primo tempo di concerto sembra una fantasia, un put-pourri di
motivi più o meno gradevoli buttati lì in qualche modo; insomma, una narrativa che si fatica assai a comprendere.
Il Larghetto centrale, in SIb
come la chiusa del precedente movimento, è spesso apparentato a Mozart (il K467) ma
personalmente l’incipit del motivo conduttore mi ricorda caso mai Domenico Scarlatti:
Dopo che il tema è stato ripreso in MIb, con ampi interventi
dell’orchestra, ecco un secco accordo preparare l’arrivo di una sezione
centrale Molto più andante (Beaucoup
plus allant) in chiave di FA minore dove i solisti presentano un
caratteristico tema danzante (semiminima puntata – croma):
L’orchestra interviene poi a ribadirlo, quindi ancora i solisti tornano in
primo piano per riportarci (Tempo I°)
al tema principale in SIb, su cui si chiude il movimento, con un secco accordo
dei due pianoforti.
Il Finale è una vaga specie di
Rondò, Allegro molto che inizia in RE
maggiore con un tema spigliato esposto dal solo primo pianoforte, che poi dà il
cambio al secondo per una risposta in SI maggiore. Si modula poi a SIb minore e
quindi DO maggiore, dove appare un nuovo motivo. Poco dopo sembra persino di
ascoltare una parodia di funiculì-funiculà:
Più avanti, dopo una specie di rincorsa folle, su un Rallentando (Céder un peu)
ecco un nuovo motivo, esposto dal primo pianoforte:
Motivo che il secondo solista ripete una quinta più in alto e che poco dopo
ritorna, variato, per avviare la conclusione del concerto, su un tempo Agitato (Agité) dove una melodia con pesanti accordi ribattuti porta
(ancora su un rallentando) ad una
specie di cadenza lenta del primo solista, cui rispondono gli archi in modo
davvero romantico. Tornando a Tempo I°
subito i due pianoforti si esibiscono in un’accelerazione chiusa da una
battuta di pausa. Dopodiché tornano sonorità gamelan, create dalle ondeggianti crome dei due pianoforti, prima
del precipitare degli accordi conclusivi di RE minore.
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Per
la cronaca, Marshall ha ampiamente disatteso la prescrizione sul numero di
archi, schierando praticamente l’intera sezione de laVerdi; al piano-1 si è seduto Pedroni, al piano-2 Lupo.
Ottima
l’esecuzione dei sue solisti, ben assecondati da Marshall, che evidentemente
trova qui ambienti vicini alle sue attitudini estetiche. Grandi applausi e bis
con un walzerino dove fa capolino o
mio babbino caro…
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Il
clou della serata è la Swing Symphony di Winton Marsalis. Come dice il titolo,
una sinfonia in 6 movimenti di swing,
il che pienamente giustifica la presenza, insieme all’orchestra principale, di
una Jazz-band coi fiocchi, quella di Paolo Tomellieri.
La
prima avvenne a Berlino meno di tre
anni fa, con Simon Rattle, i Berliner e il complesso Jazz at Lincoln Center dello stesso
Marsalis, presente con la sua tromba:
Poi
ne fu fatta una rappresentazione arricchita da bellissime e sgargianti
coreografie: chi è registrato (operazione peraltro gratuita e semplice) alla Digital Konzert Hall dei Berliner si può godere quella performance.
Qui in Auditorium l’esecuzione era stata originariamente programmata
nella stagione scorsa, poi a causa di conflitti di interesse fra istituzioni
musicali (e… ubi Albion, minor cessat)
fu rimandata a quest’anno.
La band di Tomellieri era
schierata al centro, davanti al direttore, praticamente circondata
dall’orchestra principale.
Una straordinaria prestazione di tutti e un successo incredibile, a
dimostrazione che l’idea di coniugare generi musicali diversi è tutt’altro che
peregrina, anzi può dare risultati davvero eccellenti.
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