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19 aprile, 2013

Orchestraverdi – concerto n.31


Wayne Marshall si ripresenta in Auditorium con un programma tutto pepe.

Intanto, ancora anniversari: stavolta ricorrono i 50 anni dalla morte di Francis Poulenc, autore che monopolizzerà anche il prossimo concerto (ancora con Marshall). Allora approfitto per allegare uno scritto su Poulenc di Marco Spada per Musica&Dossier del luglio 1993.

Si apre quindi con il Concerto per due pianoforti, interpretato da Benedetto Lupo e dal residente Simone Pedroni. Opera non ancora della maturità, composta nel 1932, poco dopo l’uscita dei due concerti raveliani, ma già esempio di quel sincretismo (per qualcuno: volgare kitsch) che caratterizza molta della produzione di Poulenc. Opera ricca di atmosfere classicheggianti, mescolate a effetti esotici (il gamelan che Poulenc aveva conosciuto in occasione dell’Esposizione coloniale di Parigi del ’31) ed anche a motivi da piano-bar o da organetti da strada.

Meticolose le indicazioni presenti sul frontespizio della partitura Salabert, dove si legge, ad esempio, che in nessun caso va modificato il numero degli archi (8-8-4-4-4) e dove viene indicata la disposizione degli strumenti, di fatto quella ormai tradizionale con i violini a sinistra e gli altri archi a destra del podio:
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Il Concerto si compone dei tre tradizionali movimenti, ma strutturati al loro interno con molta libertà e spesso con (solo apparente?) caoticità. Così l’iniziale Allegro ma non troppo (in RE minore) è per buona parte un movimento lento. La sezione iniziale, dopo una breve introduzione aperta da due secchi accordi e che bizzarramente salta dalla tonalità di RE a quella di DO# (!), espone almeno tre motivi (in RE minore, Fa maggiore e DO maggiore):
Si noti nel primo, dopo le veloci discese, l’inciso di 4 crome, tutto mozartiano. Il secondo è vagamente marziale, il terzo sembra una impertinente parodia di musiche di film muto. I motivi in maggiore sono sempre intercalati da quello in minore, che poi si trasforma in un vorticoso moto perpetuo (tipo Sostakovich…) portando ad una sezione Lento subito, dove si presenta un tema elegiaco, in DO minore, che poi sfuma modulando ripetutamente, verso LA minore:
Ecco poi il ritorno (Subito Tempo I°) all’Allegro, con un nuovo motivo in MIb:

Ma subito - Un poco affrettando (Pressez un peu) – ecco che l’atmosfera cambia ancora, con un pesante intervento dell’orchestra, cui però i pianoforti rispondono in modo impertinente, riproponendo il tema in DO maggiore, cui segue ancora un passaggio in MIb che conduca ad un nuovo Lento subito, solo due battute di intervento degli archi e tre di pausa interrotta da uno schiocco di castagnette. Ecco poi il Molto calmo (Très calme) in SIb, dove i due pianoforti instaurano un tappeto di sgocciolanti semicrome sulla quale emerge un languido motivo:

È una tipica atmosfera da gamelan, che si trascina fino alla chiusura del movimento, con un irridente sberleffo dell’ottavino seguito da due semplici accordi dei pianoforti. Insomma, a parte qualche parvenza di forma, con ripresa di motivi, il tutto più che un primo tempo di concerto sembra una fantasia, un put-pourri di motivi più o meno gradevoli buttati lì in qualche modo; insomma, una narrativa che si fatica assai a comprendere.

Il Larghetto centrale, in SIb come la chiusa del precedente movimento,  è spesso apparentato a Mozart (il K467) ma personalmente l’incipit del motivo conduttore mi ricorda caso mai Domenico Scarlatti:

Dopo che il tema è stato ripreso in MIb, con ampi interventi dell’orchestra, ecco un secco accordo preparare l’arrivo di una sezione centrale Molto più andante  (Beaucoup plus allant) in chiave di FA minore dove i solisti presentano un caratteristico tema danzante (semiminima puntata – croma):

L’orchestra interviene poi a ribadirlo, quindi ancora i solisti tornano in primo piano per riportarci (Tempo I°) al tema principale in SIb, su cui si chiude il movimento, con un secco accordo dei due pianoforti.    

Il Finale è una vaga specie di Rondò, Allegro molto che inizia in RE maggiore con un tema spigliato esposto dal solo primo pianoforte, che poi dà il cambio al secondo per una risposta in SI maggiore. Si modula poi a SIb minore e quindi DO maggiore, dove appare un nuovo motivo. Poco dopo sembra persino di ascoltare una parodia di funiculì-funiculà:


Più avanti, dopo una specie di rincorsa folle, su un Rallentando (Céder un peu) ecco un nuovo motivo, esposto dal primo pianoforte:


Motivo che il secondo solista ripete una quinta più in alto e che poco dopo ritorna, variato, per avviare la conclusione del concerto, su un tempo Agitato (Agité) dove una melodia con pesanti accordi ribattuti porta (ancora su un rallentando) ad una specie di cadenza lenta del primo solista, cui rispondono gli archi in modo davvero romantico. Tornando a Tempo I° subito i due pianoforti si esibiscono in un’accelerazione chiusa da una battuta di pausa. Dopodiché tornano sonorità gamelan, create dalle ondeggianti crome dei due pianoforti, prima del precipitare degli accordi conclusivi di RE minore.
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Per la cronaca, Marshall ha ampiamente disatteso la prescrizione sul numero di archi, schierando praticamente l’intera sezione de laVerdi; al piano-1 si è seduto Pedroni, al piano-2 Lupo.

Ottima l’esecuzione dei sue solisti, ben assecondati da Marshall, che evidentemente trova qui ambienti vicini alle sue attitudini estetiche. Grandi applausi e bis con un walzerino dove fa capolino o mio babbino caro
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Il clou della serata è la Swing Symphony di Winton Marsalis. Come dice il titolo, una sinfonia in 6 movimenti di swing, il che pienamente giustifica la presenza, insieme all’orchestra principale, di una Jazz-band coi fiocchi, quella di Paolo Tomellieri.

La prima avvenne a Berlino meno di tre anni fa, con Simon Rattle, i Berliner e il complesso Jazz at Lincoln Center dello stesso Marsalis, presente con la sua tromba:




Poi ne fu fatta una rappresentazione arricchita da bellissime e sgargianti coreografie: chi è registrato (operazione peraltro gratuita e semplice) alla Digital Konzert Hall dei Berliner si può godere quella performance.

Qui in Auditorium l’esecuzione era stata originariamente programmata nella stagione scorsa, poi a causa di conflitti di interesse fra istituzioni musicali (e… ubi Albion, minor cessat) fu rimandata a quest’anno.

La band di Tomellieri era schierata al centro, davanti al direttore, praticamente circondata dall’orchestra principale.

Una straordinaria prestazione di tutti e un successo incredibile, a dimostrazione che l’idea di coniugare generi musicali diversi è tutt’altro che peregrina, anzi può dare risultati davvero eccellenti.
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Prossimamente ancora e solo Poulenc, sempre con Marshall. 

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