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19 febbraio, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 19

Torna la cinesina a guidare la sua orchestra in un programma coi fiocchi, davanti ad un pubblico abbastanza folto.

Si apre con Brahms e il suo Concerto per violino. Contrariamente a quanto annunciato in sede di programmazione originaria, non è Daniel Hope ad interpretarlo, ma la brava Francesca Dego, già esibitasi qui poco tempo fa, nel concerto di Sibelius. Bella, oltre che brava, questa poco più che ventenne lecchese, ieri sera in un lungo nero scollato, con fascia bianca spiovente. E anche assai alta: la piccola Xian, per guardarla negli occhi, deve salire sul suo podio da 40 cm!

La tonalità del concerto di Brahms è RE, come anche lo è per Beethoven, Paganini (1° e 4°) Ciajkovski e Sibelius, per citare solo i più famosi. Ma anche per Mozart (2° e 4°) Prokofiev (1°) Lalo (sinfonia spagnola), Wieniawski (2°) e Schumann.

Solo qualche curiosità su quest'opera celeberrima. Per le prime 80 battute dell'Allegro non troppo il violino solista tace, poi finalmente entra con un lungo recitativo, che per altre 35 misure è accompagnato instancabilmente, in pianissimo, dal rullo del timpano della sempre impeccabile Viviana Mologni.

Brahms è assai parco di indicazioni agogiche per il solista, e così è ancora più singolare quell'isolato lusingando che compare alle misure 224 (esposizione, tonalità LA) e 467 (ripresa, tonalità FA#) e che sarebbe interessante capire come venga inteso da ciascun interprete, per poi essere tradotto in suoni. E se poi faccia proprio quell'effetto lusingante sull'ascoltatore!




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Francesca – chissà se riesce proprio a lusingarci… - lo esegue comunque con gran portamento e delicatezza, al pari di tutto il resto, va detto.

L'Adagio è aperto dal primo oboe, Emiliano Greci, che canta il dolcissimo tema principale in FA maggiore, che verrà poi ripreso dal solista.









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Il grande Sarasate si rifiutò sempre di eseguire questo concerto perché – a suo dire – di buono conteneva solo quel tema; e a lui avrebbe dato fastidio doverlo ascoltare standosene sfaccendato sulla sua pedana, a guardare il pubblico… La Dego invece ha tutta la pazienza di aspettare che arrivi il suo turno per esporci – variata – questa incantevole melodia.

Poi, con uno scarto cromatico dal FA al FA#, attacca l'Allegro giocoso conclusivo, caratterizzato da quel tema che nasce nervoso e scattante per poi – al poco più presto - addolcire di molto le sue spigolosità. Trionfo per la bravissima Francesca, che ci regala un gran bis paganiniano.

E dopo Brahms, ecco la Quarta di Ciajkovski. Sinfonia a sandwich, con i movimenti esterni enfatici, affettati e fracassoni che stritolano i due interni, di carattere più intimistico ed elegìaco.

Qualche passaggio non proprio impeccabile di corni e trombe nell'iniziale esposizione del millantato tema del destino, poi la Zhang dosa con sapienza i tempi del Moderato con anima negli archi, partendo un po' al rallentatore per poi ottenere un grande effetto con un crescendo generale. Bravi ancora tutti i legni nella sezione centrale Moderato assai, quasi andante, e brava ancora la Zhang a controllare lo stringendo di tutta l'orchestra, che porta alla riproposizione del tema del destino.

È ancora l'oboe protagonista dell'apertura dell'Andantino in modo di canzona, che crea uno stacco deciso dal fracasso del movimento iniziale. Efficace poi l'attacco della sezione centrale, dove clarinetti e fagotti presentano quel tema ostinatamente ondeggiante fra tonica e dominante (FA-DO) poi ripreso e rinforzato dagli archi e quindi contrappuntato dalle terzine degli ottoni. È poi nuovamente il fagotto a condurre alla chiusa, con la riproposizione del primo tema.

Il pizzicato ostinato è aggredito con la dovuta risolutezza da tutti gli archi, fino all'irruzione del lungo LA dell'oboe, anche qui protagonista, che introduce una specie di trio:





seguito poi da un concertino marziale, dove si mettono bene in mostra tutti gli ottoni.

Il finale Allegro con fuoco è una cosa invero tremenda per l'orecchio – mai peggio di certo Stockausen elicotterista, peraltro – e pieno di retorica a momenti quasi insopportabile. Nella battuta conclusiva Ciajkovski ci prende pure in giro, facendo tacere – nel generale triplo f - piatti, gran cassa e ottavino, bontà sua!

La piccola Xian cerca di non farsi mordere dalla tarantola, né dà in escandescenze come capita a molti direttori, che si fanno prendere la mano dalle turbe di zio Piotr. Va da sé che bisogna fare un monumento ai professori – dalla prima all'ultimo - per la loro stoica abnegazione.

È però il vecchio e caro Brahms ad avere l'ultima… nota: dato che la Zhang attacca – come bis – la quinta danza ungherese del burbero Johannes. Ancora ovazioni, e tutti a casa sotto la solita, fastidiosa pioggerella di questo febbraio meneghino.

Fra una settimana ancora la simpatica cinesina in un vero monumento dell'arte musicale, già presentato da lei e dai complessi de laVerdi lo scorso settembre, al MI-TO.

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