Il terzo
concerto della stagione autunnale de laVERDI, diretto da Gustavo Gimeno (che torna in Auditorium
dopo due anni) ha un’impaginazione insolita ed interessante. Peccato che ieri
sera a goderne fossero proprio pochi intimi…
Dopo l’ennesima invenzione expositiva di
Nicola Campogrande (con la Cina… vittima di
turno!) ecco la schumanniana Ouverture
dalle musiche di scena per il Manfred. Che è in realtà un compendio dell'intero dramma, quasi un poema
sinfonico. Dopo l'introduzione lenta si presenta, in MIb minore, un tema
agitato, che ben rappresenta l’instabilità psichica del personaggio di Byron. Esso si sviluppa poi nella
relativa FA# maggiore, per introdurre il tema elegiaco, femminile, legato ad Astarte, l'amore proibito, origine di tutti i
complessi esistenziali del protagonista (e, potremmo dire, pure dei suoi due
autori!) Da qui in poi, secondo i canoni della forma-sonata, i temi si
sviluppano, si intrecciano, si confrontano e scontrano, fino a quando il tema di
Astarte, canonicamente scivolato nella tonalità di impianto – momentaneamente
virata a maggiore - conduce ai lenti accordi di MIb minore della mesta
conclusione.
L’attacco dell’Ouverture presenta una
sola battuta (4/4) con agogica Rasch
(Impetuoso) e metronomo 132 semiminime.
Ciò significa che le tre strappate dell’orchestra (altrettante semiminime, in
realtà coppie di crome legate)
dovrebbero occupare meno di un secondo e mezzo. Dopo la corona puntata che
chiude la prima battuta, si passa a Langsam
(Adagio) con metronomo più che dimezzato (63). Bene, ora ascoltate come fa
suonare quella prima battuta il
sommo Furtwängler
ai Berliner nel dicembre del 1949: il contasecondi di youtube ci dice: in 3 secondi! Cioè a 60 di metronomo. Insomma, il
sommo ha bellamente ignorato il Rasch e ha fatto anche l’attacco in Langsam!
Ohibò. (Però con i Wiener ha cercato di rimediare…)
Ora, dato che Gimeno ha più o meno (per
far rima) rispettato il Rasch, dobbiamo concludere che è meglio di Furtwängler?
Beh, di polenta ne deve mangiar molta ancora, però almeno non si diletta a correggere
le partiture altrui! E così l’Orchestra gli ha fatto fare una bella figura.
___
Rolf
Martinsson,
classe 1956, è già stato ospite qui in Auditorium all’inizio del 2014, quando Xian presentò la prima italiana di A.S. in memoriam. Da quel successo
nacque l’idea de laVERDI di commissionargli (insieme alla Tonhalle-Orchester di
Zurigo e ad altre orchestre) questo ciclo di Lieder (Ich denke dein…) su testi
di Rilke, Eichendorff e Goethe. Il ciclo è dedicato al soprano Lisa Larsson, divenuta la musa del
compositore, che lo ha presentato in prima
a Zurigo lo scorso gennaio. Ecco qui la stessa Larsson in occasione della terza
presentazione del lavoro, lo scorso marzo al Concertgebouw, con Albrecht sul podio: 1-LiebesLied, 2-BlaueHortensie, 3-DieLibendeSchreibt, 4-Mondnacht, 5-NäheDesGeliebten. Questa di
Milano sotto la bacchetta di Gimeno (guarda caso c’entra un po’ anche lui con
il Concertgebouw, avendovi suonato come percussionista) è la quinta uscita del
ciclo, diretto già da Storgårds e Manacorda, oltre al citato Albrecht.
Non è dato sapere se è una novità
assoluta, riservata agli amici milanesi, ma Martinsson ha deciso di cambiare la
sequenza dei brani, portando in testa il rumoroso Nähe Des Geliebten e chiuso quindi con lo straussiano Mondnacht (con tanto di violino e
violoncello solisti).
Che dire? Un salto all’indietro di almeno
un secolo? A partire dai testi: Rilke (1907 e 1906); Eichendorff (1835) e
Goethe (1807 e 1795). Alcuni dei quali (Eichendorff e Goethe) già più volte
musicati da famosi romantici dell’800, a cominciare da Schubert e Mendelssohn.
E nella musica in effetti c’è un po’ di Mahler, di Strauss, parecchio Schönberg,
di cui Martinsson è cultore (qui però è uno Schönberg ancora non seriale!) e
magari qualcosa di Scriabin, con ampi squarci di atmosfere nordiche, ma anche
incursioni a… Broadway e Hollywood! Insomma, una specie di gradevole amarcord, che i maligni potrebbero
derubricare a facile scopiazzatura, o considerare tuttalpiù adatto ad
accompagnare qualche pretenzioso reality…
In ogni caso si tratta di musica
gradevole, che non ti esaspera e che puoi ascoltare quasi (ehm, sì, molto quasi) come fosse… i Ruckert o i Vier Letzte, ecco. Brava la Larsson, che esibisce una bella voce
corposa e buon portamento (non per nulla è interprete apprezzata di Mahler e
Strauss!) e così ringrazia il compositore (presente in sala e salito sul palco)
per la dedica dei 5 canti.
___
Chiude la serata l’enigmatica Quinta di Prokofiev.
Queste musiche composte in piena guerra sotto Stalin ti lasciano sempre il
dubbio (vale pure per Shostakovich) sulla sincerità
dell’ispirazione: la libertà cui il compositore allude sarà quella da Hitler o
anche e soprattutto quella da Zdanov? E nella retorica del grandioso corale verso
la fine dell’Andante introduttivo, quanto c’è di affettato e di
ammiccante al potere? Meno ambiguo lo Scherzo, con quel
caratteristico ritmo da treni sferraglianti o magli di industria bellica
interrotto dal Trio per una meritata pausa di riposo. Ispirato
ma anche piuttosto cupo l’Adagio, che ha tratti espressionisti e ricorda
l’ultimo Mahler, chiudendo con una evanescente cadenza del clarinetto. Il
finale Rondo riprende ciclicamente il tema dell’Andante
iniziale ma poi si rimette a correre come un treno, impegnando tutti (ottoni in
primis) allo spasimo, fino all’esilarante conclusione sul terzo tempo della
battuta.
Eccellente la prestazione dei ragazzi, che questa
musica hanno quasi nel sangue, eredità del venerabile Delman e
di altri maestri russi (Barshai, Fedoseyev, Caetani) che si sono succeduti
negli anni alla guida dell’Orchestra. Successo quindi caloroso e meritati applausi
per tutte le singole sezioni dell’Orchestra (che di Gimeno potrebbe anche
farne… a meno? strasmile!)
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