A quasi tre anni
di distanza torna alla Scala il Falstaff inscenato da Robert
Carsen: ieri sera è andata in onda la seconda rappresentazione, in un
Piermarini per la verità lontanissimo dal tutto esaurito.
Sull’impostazione
registica di Carsen avevo già espresso più di un dubbio (insieme a doverosi
apprezzamenti) ai tempi, e questa ripresa non poteva certo cambiare le carte in tavola: spettacolo
godibile, a dispetto delle gratuite ma tutto sommato innocue idee del regista.
Sul fronte dei
suoni, la bacchetta è passata dalla mano di Daniel
Harding (che aveva ben meritato allora, qui l’audio) a quella di Daniele Gatti: il
quale si trova evidentemente a suo agio con questo Verdi che, proprio mentre fa
una specie di summa di tutta la
musica dal barocco ai suoi tempi, sembra guardare verso il novecento, di cui il maestro milanese è indiscusso epigono. Così ne
risulta una lettura molto analitica, rigorosa al limite della freddezza, spigolosa
quanto mai, ma di grande impatto. L’Orchestra, disposta da Gatti in modo
inusuale (legni e corni all’estrema sinistra) risponde bene in tutte le sezioni
al gesto secco e preciso del Direttore.
Del (primo) cast
del 2013 sono sopravvissuti 4 dei 10 personaggi: il Ford di Massimo Cavalletti, che in questo
frattempo mi è sembrato… cresciuto, insomma una prestazione più che discreta.
Poi encomiabile anche Carlo Bosi, un
Dr.Cajus ancora molto efficace. Note meno liete dal Fenton di Francesco Demuro, che in questi due anni
non mi pare abbia affinato le sue qualità. Idem dicasi per Laura Polverelli (Meg Page) che fatica a farsi udire nei larghi
spazi del Piermarini.
I nuovi erano
capitanati da Nicola Alaimo,
lungamente acclamato alla fine, che direi essersi meritato ampiamente il
successo, esibendo gran voce (qualche schiamazzo lo si perdona a tutti) unita
ad efficacia interpretativa.
Personalmente deluso da Eva Mei
(Alice): acuti quasi sempre urlati e centri-bassi inudibili. Decisamente meglio
la Nannetta di Eva Liebau, e ancor
più la Quickly di Marie-Nicole Lemieux,
che non ha fatto rimpiangere la Barcellona di allora.
Senza infamia e senza voto i due buzzurri Bardolfo e Pistola (al secolo Patrizio Saudelli e Giovanni Parodi).
Alla sua altezza il coro di Casoni (solo
la fuga conclusiva gli vale
l’ottimo). Successo calorosissimo e ripetute chiamate ed applausi per tutti
indistintamente, con punte per Alaimo e la Lemieux.
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