C’è ancora molta Russia in
Auditorium. Il concerto di questa settimana, diretto da John Axelrod, dopo le
divagazioni di Campogrande sull’Inno dell’Oman, e una novità
assoluta di Boccadoro, presenta due
lavori del primo ’900, che per diverse ragioni hanno lasciato il segno nella
storia della musica.
Lavoro commissionato da laVERDI, Orbis tertius si struttura
in cinque aforismi, dichiaratamente ispirati al modello di Webern. Ma, certifica l’Autore, completamente diversi (e ‘tte
credo!) Devo
dire che… si lasciano ascoltare volentieri, ecco. Quando capiterà di ascoltarli
ancora, altra questione è.
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La parte russa del concerto inizia
con Scriabin e il suo Prométhée, o Poema del Fuoco, o 5a
Sinfonia, del 1909-11. Un lavoro impregnato di simbolismo e teosofismo,
come ben lascia capire la stessa illustrazione pubblicata a fronte della
partitura, commissionata al simbolista belga Jean Delville:
Vi compaiono: la lira, che nasce da
un fiore di loto (la vagina o mente dell’Asia); poi i due triangoli
intrecciati (materia e spirito, ma anche la stella di Davide, simbolizzante
Lucifero); al centro il volto di
Prometeo, con i penetrantissimi occhi, contornato dalle fiamme e con la fiamma
grande centrale al posto del terzo occhio
e in corrispondenza della quarta
corda della lira; all’esterno l’intero Universo, con stelle e galassie; in alto
i raggi promananti dal trascendente.
Un lavoro tanto ambizioso quanto
ambiguo, in tutti i sensi: non è propriamente una Sinfonia (ha un solo movimento e rispetta in modo assai vago e
contorto la forma-sonata); non è un Concerto (a dispetto della presenza del
solista al pianoforte); e non è una Cantata, anche se prevede (ma non sempre
viene impiegato) un coro.
Il lavoro prevede(rebbe) piuttosto
l’impiego (ma anche qui è raro che ciò avvenga) di un particolarissimo
strumento, notato sul rigo più alto della partitura col nome Luce:
Uno strumento che – unico fra tutti
– non smette mai di suonare per tutte
le 606 battute dell’opera! In realtà i suoi suoni
sono appunto… luci colorate: nella
mente fervida e mistica del sinestetico Scriabin suono e luci vanno
insieme e ad ogni suono si associa un colore,
secondo questa tabella di corrispondenza, che segue il circolo delle quinte:
nota
|
colore
|
DO
|
rosso
|
SOL
|
arancione
|
RE
|
giallo
|
LA
|
verde
|
MI
|
azzurro verdastro
|
SI
|
blu
|
FA# - SOLb
|
blu scuro
|
DO# - REb
|
violetto
|
SOL# - LAb
|
lilla
|
RE# - MIb
|
blu metallico
|
LA# - SIb
|
grigio metallico
|
FA
|
rosso scuro
|
Uno speciale strumento a tastiera
(tipo organo) si dovrebbe incaricare
di illuminare uno schermo, o meglio ancora di avvolgere tutto l’ambiente, con
la luce del colore indicato dalla nota in partitura. Come si può osservare
dall’esempio riportato sopra, lo strumento Luce
può suonare contemporaneamente due note, permettendo con ciò di realizzare
combinazioni diverse di colori. Ad esempio l’incipit (FA#-LA) deve produrre una
luce blu con riflessi verdi. Ecco come si può presentare il tutto in questa esecuzione
(successivamente montata in film)
della premiata coppia Abbado-Argerich,
con i Berliner nella Philharmonie.
Sul fronte musicale, il brano ha
fatto assurgere a fama imperitura (quasi quanto quella del Tristanakkord) il cosiddetto accordo
mistico, formato da sei note che (nella forma poggiante sul DO) sarebbero
DO-FA#-SIb-MI-LA-RE:
Le sei note sarebbero (liberamente)
ricavate dalla serie degli armonici
naturali (dall’ottavo in su): come si vede si tratta di una successione di quarte di tre specie: aumentata (=tritono), diminuita (=terza maggiore) e giusta. Ora, che un
accordo definito mistico comprenda
non uno ma ben due tritoni (il diabolus!) sembrerebbe a prima vista una
presa in giro bella e buona, se non proprio una bestemmia in piena regola, ma
in realtà la cosa si spiega filosoficamente, e pure religiosamente, con le
credenze che attribuiscono pari dignità a Dio e a Lucifero, ecco.
Abbassando il LA a LAb si avrebbero
note della scala a toni interi. Per i
patiti del metodo di analisi di Allen
Forte, si tratta dell’insieme di
suoni 6-34 che può essere visto come un
sottoinsieme spurio della scala
ottotonica. Nelle prime battute assume la forma LA-RE#-SOL-DO#-FA#-SI (il
colore verdognolo…) Ecco qui, sempre percorrendo il famigerato circolo delle
quinte, le sue 12 trasposizioni - con
i relativi colori della nota-base:
Scriabin parlò del suo accordo mistico come di accordo del pleroma (occhio, da
non confondersi con perizoma, perchè
sappiamo che la musica del nostro è assai infarcita di… sesso): un accordo che
ci dovrebbe far intravedere (anzi… intrasentire!)
ciò che i nostri comuni sensi non ci permettono di afferrare: date voi i
connotati che preferite a quest’oggetto misterioso. In effetti la parentela con
le scale a toni interi e ottotonica toglie alla musica basata (verticalmente ed
orizzontalmente) su quelle note gran parte dell’attrazione tonale, conferendole
un che di arcano e… metafisico. Insomma, anche Scriabin si era inventato – come
i tre viennesi e Debussy - una sua personale via verso l’atonalità.
Si diceva della struttura del brano
in relazione alla forma-sonata: gli
analisti sono abbastanza concordi nell’individuare (ma non in modo unanime) le
classiche sezioni di esposizione-sviluppo-ricapitolazione-coda
(più magari un‘introduzione). Che
hanno a che fare con la comparsa e i ritorni dei motivi principali e magari
rispecchiano vagamente la struttura del programma
filosofico dell’opera: i sette passi del cammino involutivo-evolutivo della
razza umana, mutuato da La dottrina
segreta di Helena Blavatsky (vedi
qui a pag. 300)
Come si vede, le note del rigo Luce sono quelle della scala a toni interi, mentre le sezioni
della (spuria) forma-sonata più o meno corrispondono alle macro-fasi evolutive
della Blavatsky.
Invece la concatenazione tonale è
del tutto avulsa dai principi classici, proprio in forza dell’atonalità di
fatto del brano. È il FA# che apre con l’accordo mistico e chiude con una
imperiosa quanto inaspettata triade perfetta: insomma, parrebbe che il FA# (che
sta precisamente al centro, o al culmine, della nostra scala cromatica) rappresenti,
per l’Uomo ancora acerbo (all’inizio del poema) la placenta, il brodo di
coltura per la sua successiva evoluzione; e poi, alla fine, si ripresenti (con
la triade perfetta maggiore, dove il SI# dell’accordo mistico, il diabolus, sale al consonantissimo e dominante DO#) come manifestazione
sensibile del pleroma.
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Esploriamo
ora nei tratti principali la citata esecuzione di Abbado-Argerich, seguendone il percorso filosofico-cromatico.
I - Luce:
blu-verde
(FA#-LA). A 33” l’accordo mistico introduce l’universo al
tempo dell’alba dell’Uomo, dove (52”
e poi 1’10”) arriva Prometeo (corni) ad innescare la miccia
che porta poco dopo all’affermazione (nelle trombe) dell’Io (2’01”, i
tritoni) e poi della volontà (2’03”, la scala ascendente). A 2’15” è la ragione (o la consapevolezza) a presentarsi nei flauti prima che
esploda (2’29”) l’Uomo (tema mutuato da quello della volontà) le cui gesta sono affidate al
pianoforte, sempre contrappuntate dal motivo della ragione. A 3’04”
ecco un motivo gioioso, ancora
seguito da quello della ragione. Il solista (Uomo) continua la sua opera (3’58”) ora in modo scintillante, fino a raggiungere…
II - Luce:
lilla
con sfumature rosso scuro (LAb-FA). (4’19”) la voluttà, poi la delizia (riferimento
erotico, 4’38”) e infine il desiderio (4’45”, violino solo).
III - Luce: grigio
(SIb). Dopo un colpo di timpano, ancora la volontà
in evidenza (4’56”) nella
tromba, seguita da momenti di emozione
e rapimento (nei legni) alternata a
squarci di abbandono nel violino solo
(il primo a 5’22”). Ora il
pianoforte (maestoso, a 5’33”) espone il motivo della creatività (derivato da quello di
Prometeo) in un lungo passaggio che si chiude a 6’17”, dopo un tonfo minaccioso nel timpano, cui segue un nuovo
intervento sognante del violino. Si continua per un po’ in un clima languido, ancora
con il pianoforte e i legni protagonisti, con riapparizioni del motivo della ragione, finchè un nuovo, secco colpo di
timpano (8’11”) che fa seguito
a tre rintocchi dell’arpa, interrompe questo idillio.
IV - Luce: rosso
(DO). Si passa infatti alla fase conflittuale
e dopo due richiami in quarta giusta
(MI-LA) di tromba e corno, la nuova entrata del pianoforte (8’36”) segna di fatto la fine dell’esposizione e l’inizio dello sviluppo. Vi troviamo la riproposta del tema della volontà in forma quasi tonalmente armonizzata, che anticipa ciò che
udremo nelle trombe proprio in chiusura d’opera. Lo sviluppo è assai lungo e articolato, persino bellicoso (sic) e caratterizzato a frequenti ritorni del richiamo
della volontà: a 9’18” lo udiamo nei corni e poi
nella tromba; quindi più avanti ancora (dopo comparse del tema della ragione) nei tromboni, poi (da 11’02”) per quattro volte, sempre
più in alto, nella tromba; quindi ancora (11’23”) colossale, nei corni, poi nuovamente in tromba e corni,
con un poderoso crescendo che si smorza (11’54”)
lentamente, seguito da un nuovo languido intervento del violino solo.
V - Luce: giallo
(RE). Inizia qui (12’05”) la fase ascendente dell’evoluzione umana. È
un passaggio pieno di mistero, affidato ai legni, poi ancora al violino,
languidamente, a 12’28”. Si riode
i tema della ragione, il pianoforte
interviene per ora molto discretamente, ancora il violino, quindi ecco iniziare
un crescendo di tutta l’orchestra che conduce alla fine dello sviluppo e all’inizio della ricapitolazione (14’40”) con il tema della ragione,
esposto ora con grande enfasi dai corni. È il pianoforte a riproporre i motivi
già uditi nell’esposizione: il primo che richiama la volontà (14’55”); poi quello danzante (15’29”).
VI - Luce: azzurro verdastro
(MI). A 15’45” procede ancora,
proprio a passo di danza, il cammino verso la trascendenza che vede l’irruzione
improvvisa (16’31”) del coro: qui sono contralti (metà a bocca
chiusa) e bassi (tutti a bocca chiusa) che emettono per ora vocali
apparentemente inarticolate ispiranti beatitudine.
VII - Luce: blu scuro
(FA#). Ancora il richiamo della volontà
(16’49”) esposto dalla tromba sottolinea
l’ingresso dell’Uomo nella trascendenza. A 17’03” rientra il coro al completo che questa volta espone un
testo apparentemente bizzarro, precisamente Eaohoaoho, che probabilmente deriva
da Oeaohoo, l’eterna unità vivente secondo la Blavatsky. L’orchestra ora ribolle
in un crescendo (tema di Prometeo) che si interrompe (17’47”) per far spazio al violino
solo, prima che un prestissimo (18’05”) dia inizio alla sezione di coda, dove pianoforte e orchestra
dialogano spasmodicamente.
E veniamo così alla conclusione,
davvero bizzarra, date le circostanze: perchè (19’00”) assistiamo all’insediamento di un retorico LA#(=SIb) maggiore,
con le trombe in particolare a riproporre il tema tonalizzato della volontà,
scalando in arpeggio quasi due ottave: DO-FA-SIb-RE-FA-SIb (quarte giuste e terze). Che succede? Si sta per
caso chiudendo sul grigio di LA#?! Non
sia mai detto, ed allora (19’11”)
ecco che nelle ultime 5 battute – fermo restando il LA#(=SIb) di quelle
principali – le voci interne si muovono, da FA e RE, su FA# e DO#: un’incredibile,
pacchiana e melodrammatica cadenza ottocentesca (un tale Bruckner, al culmine dell’Adagio
della sua Ottava, aveva fatto
precisamente la stessa cosa: grande arpeggio di MIb sfociato in un colossale
DOb!) che chiude, come da copione, sul blu
scuro del FA# maggiore.
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Inutile dire che chi ascolta questa
musica senza nulla conoscere dei retroscena filosofici rischia di sopportarla a
malapena come si fa con un’insipida brodaglia, che solo negli ultimi 20 secondi
(su 20 minuti!) si trasforma in un (peraltro stomachevole) cacao meravigliao!
Bene, adesso (dopo tutto ‘sto
pedantesco tormentone…) chiederete: ma com’è andata qui in Auditorium? Ecco: niente
coro (forse costava troppo scomodare i discepoli della Gambarini per così poco?) ma soprattutto niente luci: ora, ammesso
che con le luci ci si possa forse divertire (mah…) se restano in ballo solo i suoni
non ci si diverte per nulla, almeno questo è il mio schietto parere.
Certo: l’Orchestra, Axelrod e Maria Perrotta han fatto di tutto per… indorarci
a pillola, tanto che il pubblico qui accorso in modica quantità ha mostrato di gradire:
meglio così!
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Dal
misticismo di contrabbando di
Scriabin (seghe mentali, perdonate la definizione aulica…) alla straordinaria barbarie del Sacre di Stravinski!
Tra le due opere e i due autori non ho personalmente dubbi sul come assegnare
le palme di modernità e di rivoluzionario.
Axelrod, che deve
averla imparata direttamente da Lenny
Bernstein (uno che la conosceva come le sue tasche) rinuncia alla bacchetta
e sfodera gesti secchi da vigile urbano che dirige il traffico in un incrocio
caotico. Il risultato (grazie ovviamene ai ragazzi) è superlativo e… peggio per
gli assenti, che però hanno ancora due possibilità per rimediare.
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