L’EXPO ha chiuso i battenti, ma non
Campogrande, che prima di dedicarsi al
prossimo MITO si sofferma ancora sugli inni nazionali (Vietnam, questa volta).
Poi
programma tutto sovietico, diretto da Stanislav Kochanovsky, che torna dopo
nemmeno un mese sul podio dell’Auditorium, rimpiazzando l’originariamente
designato Aziz Shokhakimov (che in compenso è appena stato nominato Direttore Principale
Ospite de laVERDI).
Dapprima per supportare il rampante
Yuri Revich (anche per lui un ritorno
qui dopo due anni) nel Concerto
di Aram Khachaturian, azero-armeno di
Georgia, presto trasferitosi a Mosca - proprio come il suo conterraneo Stalin - e pienamente e convintamente
integratosi nell’establishment
musicale dell’URSS, scalandone la piramide fino al top. A parte una fugace e tardiva (1948) accusa di formalismo
mossagli da un ormai moribondo Ždanov - accusa presto rientrata più a causa
della scomparsa del censore che per merito della deliberatamente ipocrita
autocritica del musicista – il nostro potè poi girare il mondo in lungo e in
largo a spese del regime per farne l’apologia.
Il concerto qui eseguito è del
1940, periodo in cui il patto Molotov-Ribbentrop
aveva illuso Stalin e compari di poter continuare indisturbati il
consolidamento del loro potere assoluto, fatto di purghe e fucilazioni per i
dissidenti e di premi in natura per gli artisti vessilliferi del regime. Regime
che – attraverso l’Unione dei Compositori Sovietici, del cui comitato
organizzativo Khachaturian era allora vice-presidente! - aveva fatto sorgere a Ruza (100Km a
ovest di Mosca) una specie di villaggio
del riposo e della creatività per musicisti, dove il nostro trascorse proprio
l’estate del ‘40 con la moglie Nina incinta e dove compose di getto il concerto
per violino, poi sostanziosamente rivisto dall’amico e dedicatario Oistrakh, che lo tenne quasi subito a
battesimo a Mosca e di cui ecco un’esecuzione con
l’Autore sul podio.
Oistrakh, oltre a fornire
apprezzati consigli a Khachaturian sulla parte solistica, scrisse anche, per
l’iniziale Allegro con fermezza, una
sua cadenza (che si ascolta nella
registrazione citata, da 8’06”)
più brillante e classica nel contenuto di quella originale (che si può ascoltare
invece da Haik Kazazyan, da 7’56”).
Khachaturian si attiene
scrupolosamente alla struttura classica: tre movimenti (due veloci ad
incastonare quello lento) e impiego della forma-sonata
nel primo e del Rondo nel finale;
praticamente… fine ‘700! Certo, i temi sono tutt’altro che sinfonici, ispirati
come sono a melodie popolari vagamente orientaleggianti, che il compositore
aveva assimilato nelle sue terre caucasiche; ma sono magistralmente elaborati e
danno al brano quella brillantezza che ne ha garantito il successo fin dalla
prima esecuzione.
___
Seguiamo la citata interpretazione
di Oistrakh. Non ci sono accidenti in
chiave, ma l’Allegro con fermezza
(che occupa quasi il 40% dell’intera durata) è in RE minore, introdotto da 9
robuste battute orchestrali, dopo le quali (15”) il solista espone il primo tema, di sapore maschio e
nervoso, suddiviso in due sezioni, subito rimbeccato dall’orchestra; tema poi
ripetuto (1’03”) un’ottava più
in alto e ancora sviluppato con il concorso orchestrale. Una transizione lenta (1’51”) conduce al secondo gruppo di
temi (2’12”, Poco meno mosso) più elegiaco, vagamente
ambientato sulla dominante LA e caratterizzato da un secondo motivo (3’27”) quasi lamentoso. Una breve
cadenza (3’54”) conduce al
corposo sviluppo, introdotto ancora
rumorosamente (4’09”)
dall’orchestra, dove il solista ripropone assai variati i temi principali,
dialogando con l’orchestra fino ad adagiarsi su trilli di FA acuto. Qui (7’40”) violino e clarinetto si
rimbeccano un veloce motivo di biscrome che scende e risale di un’ottava per
sfociare (8’06”) nella lunga cadenza principale del solista. Dopo la
quale(10’45”) ecco la ricapitolazione dei temi, nelle stesse
tonalità dell’esposizione, ma con qualche variante: il primo (10’54”) e poi (12’00”) il secondo. Infine ecco (13’51”) una veloce coda conclusiva, basata sul primo tema.
Il centrale Andante sostenuto è permeato di… Caucaso: le lunghe melodie del
solista sono un omaggio ai canti dei bardi
armeni (gli ashug). La
macro-struttura è di pseudo-rondo: A-B-A-B-A-B, dove sia A che B vengono però
continuamente variati e sviluppati. È il fagotto ad introdurre l’embrione del
motivo A (14’56”) intercalato
dal clarinetto, prima dell’entrata del solista (16’21”) con il tema B, una lunga emozionante melopea. Dopo una
breve parentesi orchestrale (18’16”)
il solista riprende (18’27”) il
tema A, che sviluppa ampiamente e al quale fa seguire (19’24”) il tema B, anch’esso sviluppato con un’accelerazione (20’10”) ad Allegretto, che l’orchestra ulteriormente accentua con un
movimentato Allegro (20’30”) che introduce, tornando ad Andante (20’58”) il tema A, variato e ripreso successivamente con nuove
variazioni (22’13”) dal
solista. Altro siparietto orchestrale (24’02”)
con cadenza del fagotto sul tema A e alcuni strappi con intervento dei piatti,
quindi (24’34”) il solista
riespone B all’ottava inferiore rispetto alle altre due entrate, contrappuntato
dal clarinetto. A 25’22” l’orchestra
interviene a completare B con una perorazione grandiosa, che porta (26’06”) alla coda conclusiva del
solista.
Il finale è un Rondo Allegro vivace con il ritornello in RE maggiore. La
macro-struttura è A-B-A-C-A-B-A’, più Introduzione e Coda. È l’orchestra (27’13”) ad aprirlo con una spettacolare
fanfara introduttiva. Il ritornello A (il cui tema è vagamente mutuato dal
secondo del movimento iniziale) viene esposto dal solista a 27’49” ed è seguito da un breve
controsoggetto. Nuova esposizione di A (28’13”)
seguita da una sua seconda sezione (28’23”)
che attacca in minore per poi
riproporre il tema in maggiore. L’episodio
B (28’34”) presenta un tema dolce, esposto dal solista con
interventi dell’orchestra (28’54”
e 29’18”) che sfociano nella
riproposizione delle due sezioni di A (29’29”
e 29’41”). Una nuova fanfara (29’58”) orchestrale porta all’episodio
principale (il più lungo) caratterizzato dall’agogica cantabile appassionato: a 30’10”
il solista ne espone una prima sezione, seguita, dopo un intervento dei corni (30’11”) da una seconda e quindi,
dopo altro intervento orchestrale (32’31”)
da una terza assai virtuosistica (32’57”).
L’orchestra (34’07”) e il solista
(34’23”) preparano il ritorno
di A (34’28” e 34’37”) seguito subito (34’50”) da B. Ancora l’orchestra (35’13”) introduce l’ultima
apparizione di A (35’18”) qui
virante a minore. A 36’06”
ecco la virtuosistica coda, chiusa
dalla fanfara che aveva introdotto il finale.
___
Revich ci mette tutto l’impegno per
trasmetterci la vitalità del concerto. Peccato che (forse causa penuria di
prove) l’intesa con Kochanovsky non sia stata perfetta: non tanto sugli
attacchi, ma sul peso degli strumenti dell’orchestra, che hanno spesso e
volentieri coperto (per eccesso di volume) il suono pur gagliardo del violino
solista.
Quanto alla cadenza, Revich ha deciso di mettere tutti d’accordo creandone una
sua personale, che parte da quella di Khachaturian e poi mutua qualcosa da
Oistrakh e un po’ anche da… lui medesimo! In ogni caso il successo è garantito
e le chiamate del pubblico vengono ricompensate con un Bach
assai spigliatamente proposto.
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Infine la Quinta di Shostakovich,
che torna in Auditorium dopo 17 mesi (allora diretta da Xian). Opera che andrebbe
apostrofata come Sinfonia ipocrita: ciò
a voler prestar fede alle dichiarazioni pubbliche e private dell’Autore; le
prime di aperte scuse per i passati errori (la Lady) e di apologia del regime staliniano (la realizzazione dell'uomo); le seconde che
smentiscono clamorosamente le prime (Il
giubilo è forzato, è frutto di costrizione) denunciando la mancanza di
libertà che quel regime imponeva a sudditi e compositori.
Ovviamente
basta ignorare del tutto sia le une che le altre esternazioni per poter godere
di questa musica, una sinfonia tardo-romantica composta quasi a metà del ‘900,
e chi se ne importa. Allo Höhepunkt
del Largo c’è sempre da rabbrividire
a quel passaggio dal SOLb maggiore al FA maggiore dove i violoncelli – sul
tremolo degli altri archi e il tappeto di semicrome dei clarinetti - espongono un
motivo davvero sbudellante (anticipato poco prima dall’oboe e poi dal flauto e ripreso
in armonici dall’arpa alla fine):
Inutile dire che l’Orchestra ha
splendidamente suonato, facendo fare un bella - ma tutto sommato anche meritata - figura al giovane Kochanovsky!
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