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04 novembre, 2015

Wozzeck in Scala per i soliti quattro gatti

 

Ieri Wozzeck è arrivato alla terza recita. Per fortuna non siamo più alle clamorose contestazioni del 1952, ma viene il sospetto che la ragione risieda nel fatto che i potenziali contestatori oggi si guardano bene dal venire a teatro. Dico, le vendite dei biglietti sono aperte dal 30 maggio (!) ed ancora è possibile acquistare – cosa inaudita - posti di loggione, che normalmente vanno esauriti in pochi minuti! Deprimente davvero lo spettacolo della sala semivuota…  

Purtroppo siamo sempre lì: ancora a distanza di quasi un secolo, certa musica – allora rivoluzionaria – non ha sfondato, quali ne siano le ragioni, e rimane appannaggio di una ristretta cerchia di melomani che almeno si sforzano un po’ di capirla, non dico di andarne entusiasti. Sono le poche decine di spettatori che ieri sera hanno prolungato di 5 minuti, non di più, la già breve presenza in teatro per applaudire l’intera compagnia. Per il resto del pubblico, quello dedito alla fruizione passiva, questa rimane una musica largamente incomprensibile e quindi di scarsissimo appeal… e poi c’era ancora tutto il secondo tempo della Juve da godersi!

Ingo Metzmacher torna dopo l’esperienza positiva (per lui e i soliti pochi intimi) di Soldaten dello scorso gennaio; direzione precisa la sua, salvo che gli si deve essere incantata la manopola del volume sul fondo-scala: forse sarà colpa delle voci a scartamento ridotto (Wozzeck e Marie esclusi) ma sta di fatto che i suoni dalla buca hanno spesso e volentieri coperto alla grande le emissioni dal palco.

Nel ruolo del protagonista Michael Volle, unico con la Merbeth a farsi udire, ma unico anche a convincere pienamente sul lato interpretativo, Sprechgesang in particolare.

Wolfgang Ablinger-Sperrhacke impersona - come nel 2008, unico superstite di quell’edizione scaligera - Hauptmann, un ruolo musicalmente modellato su quello del wagneriano Mime, di cui non a caso il tenore è interprete di spicco (lo fu anche nel Rheingold di Cassiers-Barenboim del 2010). Fatico a ricordare la sua prestazione del 2008, ma temo che i 7 anni trascorsi stiano pesando assai sulle sue spalle. Il Doktor è un onesto Alain Coulombe, che però fatica (causa Direttore?) a far passare tutta la sua prosopopea di aspirante al Nobel. Roberto Saccà si cala nell’uniforme del Tambourmajor, e tutto sommato ne esce con merito, a dispetto del suo non essere un Heldentenor. Michael Laurenz è un dignitoso Andres, che pare addirittura intonato nel cantare la sua canzoncina nella seconda scena!

La protagonista è Ricarda Merbeth, con Volle l’unica a passare sopra i fracassi orchestrali: però il pathos che dovrebbe caratterizzare Marie mi è parso assai smunto. Margret è impersonata da Marie-Ange Todorovitch: direi senza infamia e senza lode, il suo Lied del terz’atto non è stato proprio entusiasmante.

Rudolf Johann Schasching è il pazzo, che Flimm tiene sempre in scena, affidandogli anche l’incarico di dare al bimbo la ferale notizia (Dein Mutter ist tot). Andreas Hörl e Modestas Sedlevicius sono discreti interpreti dei due garzoni, insieme all’altro accademico Sascha Kramer (soldato). Il bimbo di Marie e Wozzeck è Tito Comoglio. Cori (grandi e piccoli) di Casoni su livelli di onestà professionale.
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Lo spettacolo di Jürgen Flimm (oggi ripreso da Giovanna Maresta) fa sempre la sua dignitosa figura a quasi 20 anni di distanza e la potrebbe fare ancora nel 2037, se la Scala nel frattempo non sarà stata venduta (more-Smeraldo) ad un Oscar di passaggio che ne faccia un luogo di happening, più accogliente e divertente di quanto non sia oggi, per i turisti orientali.

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