Ieri Wozzeck è arrivato alla terza recita. Per fortuna non siamo più alle clamorose
contestazioni del 1952, ma viene il sospetto che la ragione risieda nel fatto
che i potenziali contestatori oggi si guardano bene dal venire a teatro. Dico,
le vendite dei biglietti sono aperte dal 30 maggio (!) ed ancora è possibile
acquistare – cosa inaudita - posti di loggione, che normalmente vanno esauriti
in pochi minuti! Deprimente davvero lo spettacolo della sala semivuota…
Purtroppo siamo sempre lì: ancora a
distanza di quasi un secolo, certa
musica – allora rivoluzionaria – non ha sfondato,
quali ne siano le ragioni, e rimane appannaggio di una ristretta cerchia di melomani
che almeno si sforzano un po’ di capirla, non dico di andarne entusiasti. Sono
le poche decine di spettatori che ieri sera hanno prolungato di 5 minuti, non
di più, la già breve presenza in teatro per applaudire l’intera compagnia. Per
il resto del pubblico, quello dedito alla fruizione
passiva, questa rimane una musica largamente incomprensibile e quindi di
scarsissimo appeal… e poi c’era
ancora tutto il secondo tempo della Juve
da godersi!
Ingo
Metzmacher
torna dopo l’esperienza positiva (per lui e i soliti pochi intimi) di Soldaten dello scorso gennaio; direzione
precisa la sua, salvo che gli si deve essere incantata la manopola del volume
sul fondo-scala: forse sarà colpa delle voci a scartamento ridotto (Wozzeck e
Marie esclusi) ma sta di fatto che i suoni dalla buca hanno spesso e volentieri
coperto alla grande le emissioni dal palco.
Nel ruolo del protagonista Michael Volle, unico con la
Merbeth a farsi udire, ma unico anche a convincere pienamente sul lato
interpretativo, Sprechgesang in
particolare.
Wolfgang
Ablinger-Sperrhacke impersona -
come nel 2008, unico superstite di quell’edizione scaligera - Hauptmann, un
ruolo musicalmente modellato su quello del wagneriano Mime, di cui non a caso il tenore è interprete di spicco (lo fu
anche nel Rheingold di Cassiers-Barenboim del 2010). Fatico a ricordare la sua
prestazione del 2008, ma temo che i 7 anni trascorsi stiano pesando assai sulle
sue spalle. Il Doktor è un onesto Alain Coulombe,
che però fatica (causa Direttore?) a far passare tutta la sua prosopopea di
aspirante al Nobel. Roberto Saccà si
cala nell’uniforme del Tambourmajor, e tutto sommato ne esce con merito, a
dispetto del suo non essere un Heldentenor.
Michael Laurenz è un dignitoso Andres,
che pare addirittura intonato nel cantare la sua canzoncina nella seconda
scena!
La protagonista è Ricarda
Merbeth, con Volle l’unica a passare sopra i fracassi orchestrali: però il
pathos che dovrebbe caratterizzare Marie mi è parso assai smunto. Margret è
impersonata da Marie-Ange Todorovitch:
direi senza infamia e senza lode, il suo Lied
del terz’atto non è stato proprio entusiasmante.
Rudolf Johann
Schasching è il pazzo,
che Flimm tiene sempre in scena, affidandogli anche l’incarico di dare al bimbo
la ferale notizia (Dein Mutter ist tot).
Andreas Hörl e Modestas Sedlevicius sono discreti interpreti dei due garzoni,
insieme all’altro accademico Sascha
Kramer (soldato). Il bimbo di Marie e Wozzeck è Tito Comoglio. Cori (grandi e piccoli) di Casoni su livelli di onestà professionale.
___
Lo spettacolo di Jürgen Flimm (oggi ripreso da Giovanna
Maresta) fa sempre la sua dignitosa figura a quasi 20 anni di distanza e la
potrebbe fare ancora nel 2037, se la Scala nel frattempo non sarà stata venduta
(more-Smeraldo) ad un Oscar di
passaggio che ne faccia un luogo di happening,
più accogliente e divertente di quanto non sia oggi, per i turisti orientali.
Nessun commento:
Posta un commento