Il
fresco-di-nomina Direttore Musicale
della Detroit Symphony Orchestra,
Jader Bignamini, sale sul podio
dell’Auditorium per dirigere (avendo a novembre scorso saltato il precedente) l’unico
suo concerto della stagione 19-20.
Impaginazione
di stampo classico, con un brano di apertura seguito da concerto solistico e da
sinfonia. Ma l’apertura in questo caso non è un’ouverture o un pezzo brillante,
bensì una composizione nuova di zecca e in
prima esecuzione assoluta, opera commissionata da laVerdi ad Alessandro
Melchiorre, intitolata Dal Buio. Ecco come l’Autore ne
descrive sommariamente lo svilupparsi:
Il brano, dopo un esordio molto calmo -
gli archi soli accompagnati dal suono suggestivo del superball, una
particolare bacchetta usata dai percussionisti su tam tam e timpano grave - segue una
crescita naturale caratterizzata dall’addizione delle diverse famiglie
strumentali (agli archi dapprima si aggiungono i legni e infine gli ottoni) e
procede per successive ondate sino a un climax dopo il quale il
movimento di diverse melodie che si intrecciano perde energia e ritorna - con qualche
variante - a una situazione affine a quella dell’esordio.
Sono poco più di 15 minuti di suoni che ci arrivano
come in... sogno (all’inizio e alla fine si fa buio completo): un tappeto di
note lunghissime (all’inizio un RE) che via via si anima e si arricchisce di
contributi delle diverse sezioni orchestrali, percussioni comprese, mentre
torna la luce in sala. Il brano compie un ampio arco per tornare lentamente,
con il riabbassarsi delle luci, alla calma, mentre un violino solista (quello
della seconda spalla Dellingshausen,
collocato in alto, all’estremità sinistra della galleria) ci riaccompagna verso
la quiete primordiale (lo stesso RE che aveva aperto il brano).
Brano che ha una sua efficace narrativa, e si fa apprezzare per la
sobrietà del flusso sonoro, che induce riflessione e stuzzica la fantasia. Insomma,
un’opera moderna che rifugge da certo
stucchevole modernismo. Il pubblico
ha apprezzato, con calorosi applausi ad Autore ed interpreti.
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Segue il
rampante Luca Buratto (artista residente) che si cimenta con il Concerto
in SOL di Maurice Ravel. Che
lui dice di amare assai e lo si vede sente, da come lo affronta con
approccio quasi ascetico (e non solo nel mirabile Adagio centrale). Le reminiscenze jazzistiche sono per lo più
lasciate agli strumenti (clarinetto piccolo in testa) mentre Luca, che mi pare
maturato anche dal punto di vista... comportamentale (meno dimenamenti) si
concentra sulla cantabilità e affronta da par suo le impervie sfide tecniche
poste da questa difficile partitura.
Agli
applausi scroscianti di un pubblico assai folto lui replica con ben due encore: il Menuet (n°5) dal raveliano Tombeau
de Couperin e il lungo ma strepitoso Allegro
grazioso dalla Sonata K333 del
Teofilo.
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A
chiudere ecco la Fantastique di Hector
Berlioz, che Bignamini ha appena diretto (domenica 26/1) a Detroit
proprio per festeggiare la sua fresca nomina laggiù.
Che
dire? Esecuzione travolgente, ma... non sempre ciò è sinonimo di accuratezza e
rigore. Mi è parso di cogliere in Bignamini troppe libertà nell’agogica e nelle
dinamiche (eccezion fatta per l’impeccabile Scène
aux Champs) e una enfatizzazione eccessiva (per me) dei contrasti: insomma,
la ricerca di facili effetti a buon mercato (non è che il nostro si stia per
caso già adeguando al pubblico yankee,
notoriamente propenso a farsi prendere da facili entusiasmi?)
In ogni
caso pure il pubblico milanese si è entusiasmato e lo ha subissato di applausi,
anche ritmati. Buon per lui e tanti auguri per la sua avventura americana!
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