Arriverà fra poco a Milano da Salzburg (per disinteressata intercessione di Alex Pereira) il Trovatore reinventato nel 2014 dal visionario Alvis Hermanis (di lui qui al Piermarini ricordo un cervellotico Soldaten del 2015, un passabile Foscari e una discreta Butterfly del 2016) che ci porterà a visitare un museo milanese, che evidentemente impersona con grande fedeltà la Spagna di fine 1300 - inizio 1400 (evabbè...)
In attesa... qualche
cazzeggio, visto che sull’opera si è scritto di tutto e di più. Segnalo quindi
un paio di curiosità, cominciando dal libretto. Come si
sa, Salvadore Cammarano lo scrisse ispirandosi all’omonimo
dramma in versi in cinque giornate di Antonio
García Gutiérrez. Protagonisti sono due uomini (il Conte di Luna e Manrico)
che fino alla fine non sanno di essere fratelli e sono innamorati della stessa
donna (Leonora).
Ora, il ferreo
capitolato tecnico del melodramma
ottocentesco prescrive la presenza in scena di un triangolo di voci: soprano,
tenore e baritono (altre tessiture ad-libitum se proprio si vuol esagerare).
Il soprano e il tenore sono invariabilmente e reciprocamente e pure
perdutamente innamorati. Il baritono è anche lui perdutamente innamorato (di
solito del... soprano!) e fa quindi la figura del guastafeste e dello stalker.
Perchè il
dramma stia in piedi è preferibile che il baritono sia persona di potere (altrimenti verrebbe facilmente snobbato)
mentre il tenore è di solito un tipo di origini modeste ma di grandi qualità,
in modo che il pubblico fin da subito parteggi per lui contro il baritono. Il soprano
sarà tipicamente una dolce e integerrima signorina, pronta ad ogni sacrificio,
anche della vita, per difendere il suo tenore e difendersi dal baritono.
E così il libretto di Cammarano ci presenta il
baritono nei panni del Conte di Luna,
ricco, potente e... prepotente; e il tenore in quelli di Manrico (suo fratello a loro insaputa) un tipo squattrinato,
sedicente figlio di una zingara, ma anche idealista, che sbarca il lunario mescolandosi
a bande di rivoluzionari e dedicandosi ad attività canore. Il tenore mostra
anche grande magnanimità, allorchè (consigliato da una specie di sesto-senso)
risparmia la vita al baritono, ormai vinto in duello; mentre il suddetto
baritono non esita in cambio a ferire il tenore, nella successiva battaglia. La
sua protervia si manifesta poi nel modo con cui tratta il soprano: subito prima
di cantarne le lodi in una grande aria
(quella del... dardo,
haha!) lui ha mostrato di considerarla una donna-oggetto, una cosa di sua
proprietà (Leonora è mia!)
Le
considerazioni fatte, insieme alla constatazione che (si scoprirà
definitivamente alla fine) baritono e tenore sono fratelli, portano necessariamente
a stabilire che il baritono sia (poco o tanto) più anziano del fratello tenore.
E infatti Ferrando racconta, proprio all’inizio dell’opera, le vicende dei due
fratelli ed esclama: fida nutrice del SECONDO nato
dormia presso la cuna. E il secondo nato è appunto quello poi
scomparso e sospettato di essere stato sequestrato e quindi mandato arrosto
dall’infernale Azucena per vendetta contro la messa al rogo
della di lei madre, ad opera del padre dei due fratelli.
Quindi: tutto a posto... ? Ma allora, dove
sta la curiosità cui ho fatto cenno più sopra? Nel fatto che, in Gutiérrez, l’età
dei due fratelli è precisamente invertita: è Manrique (Juan) il
maggiore, mentre il Conte (Nuño) è più giovane di due anni! Racconta infatti Jimeno: Don Nuño, el menor de entrambos. Per conferma, aggiunge poco dopo: Una noche penetró hasta la cámara propia del mayor, una
gitana harapienta y quintañona.
Però nell’opera lirica sarà
difficile che il baritono sia più giovane del tenore. Lì la tessitura vocale
viene regolarmente assegnata in base all’anagrafe: tenore=giovane;
baritono=maturo; basso=anziano. Insomma, il rispetto delle regole del
gioco del melodramma imponeva persino di falsificare i certificati di
nascita dei protagonisti!
E anche di addolcire un poco certe... ehm, spigolosità del linguaggio di Gutiérrez: nelle ultimissime battute del cui dramma Azucena grida al Conte esterrefatto: él es... tu hermano, imbécil!
E anche di addolcire un poco certe... ehm, spigolosità del linguaggio di Gutiérrez: nelle ultimissime battute del cui dramma Azucena grida al Conte esterrefatto: él es... tu hermano, imbécil!
___
E ora il tormentone della cabaletta più nota e bistrattata di
tutto Verdi: la pira! Il tenore la
canta in DO o in SI? E ripete o no l’esposizione?
Verdi la struttura
così (numero di battute): prima esposizione (38); tempo di mezzo (intervento di
Leonora in DO minore, 11); pedestre riesposizione (38); coda con pertichini del
coro (38); e chiusura strumentale (8).
La tonalità è DO (maggiore-minore) e la nota più alta toccata (5 volte
nell’esposizione) è il LA acuto (!) L’ultima nota reiterata dal tenore è la dominante
(un SOL acuto).
Beh, dove sta il
problema? Qualunque tenore che si rispetti può farcela, o no? Ma poi è arrivata
la tradizione esecutiva di tenori dal DO-di-petto facile che hanno
inventato di sana pianta, sul teco almeno della ri-esposizione e sul finale all’armi!, il famigerato DO4 (che Verdi mai
esplicitamente autorizzò, limitandosi al massimo a tollerare il secondo...)
Dopodichè a qualcuno fare due volte l’esposizione e due volte un DO4 è
parso evidentemente troppo rischioso, e così si è cominciato col tagliare l’intervento
di Leonora e la ri-esposizione, spostando il DO4 alla prima.
Se il tenore,
sul fi(-glio) invece di salire al LA
naturale, si ferma al LAb (cosa musicalmente plausibile, chè non crea alcun
problema all'orecchio dell’ascoltatore) è fatta: da lì in avanti tutto il resto
è abbassato di un semitono, cabaletta compresa… poi tanto finisce l’atto
e chi s’è visto s’è visto!
Chi si vuol divertire (si fa per dire...) può
andare su youtube (munito di
tastiera, materiale o informatica) e cercare di quella pira... e troverà una
quantità industriale di riferimenti, scoprendo ad esempio che tenori (DelMonaco,
Pavarotti, Domingo, per far solo alcuni nomi illustri...) da giovani eseguivano
i DO e da... maturi abbassavano al SI. O che Bonisolli, Corelli e DiStefano si
sparavano i DO a gogò, e così via. Interessante il doppio-Licitra: a SantAmbrogio 2000
(Muti imperante!) esegue il Verdi originale; poco dopo, alla
ROH (con Rizzi) si fa anche i due DO4.
Fra pochi giorni a Milano
ci sarà Francesco Meli, cimentatosi da anni nella parte, che sempre (salvo
prova contraria) ha cantato la cabaletta in SI: così fece a Salzburg nel 2014 e
anche qui alla ROH (ripetendo
peraltro l’esposizione).
Staremo a
vedere e - soprattutto - sentire!
Nessun commento:
Posta un commento