Per un
italiano (Bignamini) che, lanciato da
laVerdi, va a far fortuna in
America, ecco un americano che ha fatto fortuna in Europa e con l’orchestra
milanese in particolare: John Axelrod,
che torna sul podio dell’Auditorium per proporci un
programma davvero insolito. Sia come impaginazione che come contenuti:
fra due lavori ottocenteschi (di un suocero e del suo genero!) si inserisce un
brano che non ha ancora compiuto due anni. In realtà è ciò che la locandina prevedeva in origine... poi, per evidenti ragioni di praticabilità logistica è il brano
moderno ad essere eseguito per primo.
E così
prima di Liszt e Wagner ascoltiamo un’opera che si esegue per la seconda volta
in Italia (dopo la prima dello scorso
15 novembre a Parma, eseguita dalla Toscanini).
Si tratta di Eternal Rhythm, dell’israelo-americano Avner Dorman. Opera del 2018 che viene presentata come un singolare
Concerto per percussioni e orchestra.
Il solista, che ad essa si è legato a doppio filo, essendone il dedicatario, è
il funambolico Simone Rubino, 27enne
di Chivasso, che deve destreggiarsi con una serie di percussioni, disposte a
ferro di cavallo attorno al podio, quali marimba, crotali, gamelan, glockenspiel,
vibrafono, campane e campanacci, tom-tom, timpani e... pentolame vario.
Il brano
è in 5 movimenti, senza soluzione di continuità, ciascuno dei quali ha una sua
differente fisionomia: il quarto ad esempio è ispirato da un antico testo
ebraico intonato dal solista (Rubino ha sfoggiato una bella voce da
contralto...) che ci rammenta come noi esseri viventi non siamo che parte
integrante dell’universo.
Ammesso
che siamo di fronte a musica che si faticherebbe a definire... classica, resta la sua gradevolezza e la
sua godibilità. E poi è un piacere di per sè ascoltare (e guardare!) il
fenomeno Rubino! Che il pubblico ha subissato di ovazioni, ricambiato da una
geniale esecuzione (a voce senza parole) della celebre AveMaria di Gounod.
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Liszt e Wagner ancora non erano parenti quando
composero i due lavori che aprono e chiudono il programma: il quarto dei poemi
sinfonici dell’ungherese è del 1854, mentre la Handlung fu sbozzata a partire da quel medesimo anno e poi
completata nel 1859. La relazione di parentela ufficiale intervenne solo nel
1870, con il matrimonio di Richard e Cosima (lasciata libera da vonBülow) i quali peraltro avevano già reso Ferenc (di soli due anni maggiore di Richard) tre volte nonno!
Ma il
legame di parentela fra i due non si ferma ovviamente all’aspetto anagrafico,
essendo ben più forte quello artistico ed estetico. Che si era stabilito ben prima
che sopraggiungesse quello famigliare: Liszt era stato fra i primi ad intuire
le qualità delle opere di Wagner e in particolare aveva tenuto amorevolmente a
battesimo, nel 1850 a Weimar, il Lohengrin,
ai tempi in cui Wagner era esule dopo i moti di Dresda (e Wagner nel 1852 lo
ringraziò pubblicamente, nella prefazione all’edizione manoscritta della
partitura, dedicandogli il lavoro ed esaltandolo come colui che l’aveva salvato
dall’oblio). La stima di Liszt per il futuro genero non cessò mai, a dispetto
delle divisioni che separavano i due riguardo l’antisemitismo di Wagner, che il
cattolico (abate!) Liszt condannava come un’incomprensibile ossessione. Durante
il ricevimento alla chiusura delle prime rappresentazioni del Ring a Bayreuth (1876) Wagner indicò
pubblicamente Liszt come colui che aveva reso possibile il suo successo.
Fra i due
brani in programma - per quanto diversissimi come genere e struttura - si può
scorgere qualche vicinanza: Orfeo e Tristan celebrano la sublimazione dell’amore; entrambi perdono l’amata nella
luce solare, la conquistano o riconquistano nelle tenebre, per poi riperderla
al ritorno del giorno... Addirittura la prefazione che Liszt scrive alla
partitura dell’Orpheus (la lode dell’Arte e della Musica in particolare come strumenti di edificazione dello spirito
umano e di lotta contro la barbarie della società) sembra richiamare le sfrenate
ambizioni di Wagner (non a caso aperto ammiratore di questo poema sinfonico)
che si autostimava come un messia che redime la società attraverso l’Arte, considerata alla stregua di una
nuova Religione.
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Come
altri poemi sinfonici di Liszt, anche Orpheus ebbe un’origine curiosa:
prima di ribattezzarlo come Symphonische
Dichtung, Liszt lo compose e lo eseguì come anteprima per una
rappresentazione a Weimar della versione francese dell’Orfeo di Gluck, quella curata da Hector Berlioz, di cui Liszt fu fin da
giovane fervente ammiratore e seguace. Ecco quindi ripristinato quel filo rosso (Berlioz > Liszt > Wagner)
che tanta parte ha avuto nell’evoluzione della musica nell’800 (e ben oltre!)
Significativo
l’impiego che Liszt fa - fin dalle prime battute - di ben due arpe: certo
giustificato dal richiamo alla lira di
Orfeo, ma che è debitore al Berlioz della Fantastica
(Un bal...) e che il megalomane Wagner
spingerà all’eccesso con le sette arpe
(!) prescritte per il suo Rheingold,
coevo dell’Orpheus!
Altra
relazione con Wagner si trova nell’intervento del corno inglese, che poco prima della chiusura nell’etereo DO
maggiore espone una breve melopea che non può non ricordarci l’incipit di
quella interminabile che lo strumento suona all’inizio del terz’atto del Tristan.
Il brano si struttura macroscopicamente come ternario (A-B-A) con una breve introduzione e una coda conclusiva; le tonalità di fondo sono DO (sezione A) e MI (sezione B). In sostanza la melodia è quasi monotematica, un tema che viene sottilmente variato lungo l’arco del brano.
Il brano si struttura macroscopicamente come ternario (A-B-A) con una breve introduzione e una coda conclusiva; le tonalità di fondo sono DO (sezione A) e MI (sezione B). In sostanza la melodia è quasi monotematica, un tema che viene sottilmente variato lungo l’arco del brano.
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L’agogica
prevalente è piuttosto sostenuta, come possiamo constatare in questa ispirata
interpretazione di Kurt Masur a Lipsia:
si parte con un Andante moderato; l’Introduzione
(7”)
è affidata a corni e arpe (le quali accompagneranno la melodia sin quasi alla
fine) con dolce tappeto dei legni. A 37” inizia la sezione A con il tema principale, in DO maggiore, tema che si
sviluppa con leggere variazioni e con una breve piccola accelerazione, per poi
rallentare fino a sfociare (2’08”) modulando a MI maggiore, nel Lento della sezione B. Qui il tema è ancora sottilmente variato, con lunghezze
dimezzate che compensano la maggior lentezza del tempo. Il quale (3’35”)
comincia ad accelerare impercettibilmente, poi (5’10”) più marcatamente,
in corrispondenza del ritorno a DO maggiore (la ripresa di A) per sfociare (5’47”)
in un Andante con moto; dove il tema
principale viene ribadito con più enfasi e a piena orchestra. Il tempo ora
torna a degradare fino al Lento (6’49”)
dove il tema è ripreso in forma variata e quindi (7’36”) ancora a piena
orchestra nella sua forma originale. Ecco quindi (8’16”, Poco ritenuto) il già citato intervento
del corno inglese, che conduce alla
Coda (8’48”, Ritardando). Essa
è costituita da una sequenza di nove accordi che sintetizzano mirabilmente il
viaggio di Orfeo agli Inferi e ritorno: dal DO maggiore si muovono a LA
maggiore, SOL minore, MIb maggiore e FA# maggiore (eccoci negli abissi, il più
lontano possibile - nel circolo delle
quinte - dal DO della luce) per tornare al DO maggiore conclusivo. Sono
archi e legni a suonarli, cui si aggiungono gli ottoni e i timpani nelle ultime
6 battute, mentre significativamente le arpe tacciono, quasi ad osservare
stupefatte Orfeo che... sale alle sfere celesti.
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Pregevole davvero l’esecuzione, che il non oceanico pubblico gratifica di convinti applausi.
Pregevole davvero l’esecuzione, che il non oceanico pubblico gratifica di convinti applausi.
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E per
finire, un... bigino di Tristan-und-Isolde, uno di quelli predisposti dal grande Leopold Stokowski. Che ha
il solo difetto di concentrare troppo
il piatto da gustare. Come se di un panettone si tenessero buoni soltanto i canditi,
la copertura al cioccolato e la guarnizione di crema... roba da indigestione!
Il brano, che dura circa 35 dei 230 minuti dell’intera opera, è un assemblaggio di tre sue parti sostanziose (Preludio, duetto atto II e Liebestod) e di alcuni frammenti che fanno da riempitivo. Precisamente così (minutaggi dalla registrazione sopra segnalata):
Il brano, che dura circa 35 dei 230 minuti dell’intera opera, è un assemblaggio di tre sue parti sostanziose (Preludio, duetto atto II e Liebestod) e di alcuni frammenti che fanno da riempitivo. Precisamente così (minutaggi dalla registrazione sopra segnalata):
minutaggio
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contenuto
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riferimenti
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10” - 10’10”
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Preludio (completo)
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10’11” - 11’40”
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Atto I: finale Scena IV
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da I: Für tiefstes Weh a K: Herr Tristan
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11’41” - 13’06”
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inizio Scena V
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Entrata
di Tristan da Isolde
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13’07” - 13’31”
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battute aggiunte
|
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13’32” - 14’16”
|
Atto II: inizio Scena I
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Corni
da caccia in lontananza
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14’17” - 24’25”
|
Scena II (T-I)
|
da 16
battute prima di T: O sink’ hernieder
a T: Laß den Tag dem Tode
weichen
|
24’26” - 25’51”
|
Atto
III: scena I
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da T: Sie lächelt mir Trost
a T: Wie schön bist du
|
25’52” - 26’05”
|
battute aggiunte
|
modulazione
MI - LAb
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26’06” - 29’38”
|
Atto II: Scena II (T-I)
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da T: Starben wir, um ungetrennt
a T: Muß ich wachen
|
29’39” - 32’26”
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Scena II (T-I)
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da I-T:
O ew’ge nacht a I: Ohne scheiden
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32’27”
|
Atto
III: Liebestod
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da I: Höre ich nur diese Weise
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La scelta degli
ingredienti si può discutere, e lo stesso Stokowski (oltre ad occuparsi anche di Ring e Parsifal) predispose più di un’ulteriore
variante di queste Symphonic Syntheses, operazione che del resto era proprio stato Wagner
ad inaugurare con la sua accoppiata da concerto Vorspiel-Liebestod.
Axelrod,
che non nasconde la sua infatuazione per quest’opera, ci mette tutto se stesso
per rendercela apprezzabile, e devo dire che i suoi sforzi sortiscono un discreto
effetto. Certo, per chi ha una minima conoscenza del Tristan, la sensazione di
ascoltare qualcosa di innaturale e irrisolto è fatalmente presente, ma si spera
almeno che qualche neofita si aggiunga alla lunga lista degli innamorati!
Per il momento registriamo con piacere come l’Orchestra abbia saputo rendere in modo davvero apprezzabile queste atmosfere cariche di Sehnsucht (termine intraducibile, che incorpora concetti quali: anelito, struggimento... magone) che Wagner ha saputo mirabilmente evocare con la sua musica. Alla fine interminabili applausi per tutti, inclusi quelli dei ragazzi al Direttore.
Per il momento registriamo con piacere come l’Orchestra abbia saputo rendere in modo davvero apprezzabile queste atmosfere cariche di Sehnsucht (termine intraducibile, che incorpora concetti quali: anelito, struggimento... magone) che Wagner ha saputo mirabilmente evocare con la sua musica. Alla fine interminabili applausi per tutti, inclusi quelli dei ragazzi al Direttore.
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