ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

08 febbraio, 2020

laVerdi-19-20 - Concerto n°15


Per un italiano (Bignamini) che, lanciato da laVerdi, va a far fortuna in America, ecco un americano che ha fatto fortuna in Europa e con l’orchestra milanese in particolare: John Axelrod, che torna sul podio dell’Auditorium per proporci un programma davvero insolito. Sia come impaginazione che come contenuti: fra due lavori ottocenteschi (di un suocero e del suo genero!) si inserisce un brano che non ha ancora compiuto due anni. In realtà è ciò che la locandina prevedeva in origine... poi, per evidenti ragioni di praticabilità logistica è il brano moderno ad essere eseguito per primo.

E così prima di Liszt e Wagner ascoltiamo un’opera che si esegue per la seconda volta in Italia (dopo la prima dello scorso 15 novembre a Parma, eseguita dalla Toscanini). Si tratta di Eternal Rhythm, dell’israelo-americano Avner Dorman. Opera del 2018 che viene presentata come un singolare Concerto per percussioni e orchestra. Il solista, che ad essa si è legato a doppio filo, essendone il dedicatario, è il funambolico Simone Rubino, 27enne di Chivasso, che deve destreggiarsi con una serie di percussioni, disposte a ferro di cavallo attorno al podio, quali marimba, crotali, gamelan, glockenspiel, vibrafono, campane e campanacci, tom-tom, timpani e... pentolame vario.

Il brano è in 5 movimenti, senza soluzione di continuità, ciascuno dei quali ha una sua differente fisionomia: il quarto ad esempio è ispirato da un antico testo ebraico intonato dal solista (Rubino ha sfoggiato una bella voce da contralto...) che ci rammenta come noi esseri viventi non siamo che parte integrante dell’universo.

Ammesso che siamo di fronte a musica che si faticherebbe a definire... classica, resta la sua gradevolezza e la sua godibilità. E poi è un piacere di per sè ascoltare (e guardare!) il fenomeno Rubino! Che il pubblico ha subissato di ovazioni, ricambiato da una geniale esecuzione (a voce senza parole) della celebre AveMaria di Gounod
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Liszt e Wagner ancora non erano parenti quando composero i due lavori che aprono e chiudono il programma: il quarto dei poemi sinfonici dell’ungherese è del 1854, mentre la Handlung fu sbozzata a partire da quel medesimo anno e poi completata nel 1859. La relazione di parentela ufficiale intervenne solo nel 1870, con il matrimonio di Richard e Cosima (lasciata libera da vonBülow) i quali peraltro avevano già reso Ferenc (di soli due anni maggiore di Richard) tre volte nonno!

Ma il legame di parentela fra i due non si ferma ovviamente all’aspetto anagrafico, essendo ben più forte quello artistico ed estetico. Che si era stabilito ben prima che sopraggiungesse quello famigliare: Liszt era stato fra i primi ad intuire le qualità delle opere di Wagner e in particolare aveva tenuto amorevolmente a battesimo, nel 1850 a Weimar, il Lohengrin, ai tempi in cui Wagner era esule dopo i moti di Dresda (e Wagner nel 1852 lo ringraziò pubblicamente, nella prefazione all’edizione manoscritta della partitura, dedicandogli il lavoro ed esaltandolo come colui che l’aveva salvato dall’oblio). La stima di Liszt per il futuro genero non cessò mai, a dispetto delle divisioni che separavano i due riguardo l’antisemitismo di Wagner, che il cattolico (abate!) Liszt condannava come un’incomprensibile ossessione. Durante il ricevimento alla chiusura delle prime rappresentazioni del Ring a Bayreuth (1876) Wagner indicò pubblicamente Liszt come colui che aveva reso possibile il suo successo.

Fra i due brani in programma - per quanto diversissimi come genere e struttura - si può scorgere qualche vicinanza: Orfeo e Tristan celebrano la sublimazione dell’amore; entrambi perdono l’amata nella luce solare, la conquistano o riconquistano nelle tenebre, per poi riperderla al ritorno del giorno... Addirittura la prefazione che Liszt scrive alla partitura dell’Orpheus (la lode dell’Arte e della Musica in particolare come strumenti di edificazione dello spirito umano e di lotta contro la barbarie della società) sembra richiamare le sfrenate ambizioni di Wagner (non a caso aperto ammiratore di questo poema sinfonico) che si autostimava come un messia che redime la società attraverso l’Arte, considerata alla stregua di una nuova Religione.  
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Come altri poemi sinfonici di Liszt, anche Orpheus ebbe un’origine curiosa: prima di ribattezzarlo come Symphonische Dichtung, Liszt lo compose e lo eseguì come anteprima per una rappresentazione a Weimar della versione francese dell’Orfeo di Gluck, quella curata da Hector Berlioz, di cui Liszt fu fin da giovane fervente ammiratore e seguace. Ecco quindi ripristinato quel filo rosso (Berlioz > Liszt > Wagner) che tanta parte ha avuto nell’evoluzione della musica nell’800 (e ben oltre!)

Significativo l’impiego che Liszt fa - fin dalle prime battute - di ben due arpe: certo giustificato dal richiamo alla lira di Orfeo, ma che è debitore al Berlioz della Fantastica (Un bal...) e che il megalomane Wagner spingerà all’eccesso con le sette arpe (!) prescritte per il suo Rheingold, coevo dell’Orpheus!    

Altra relazione con Wagner si trova nell’intervento del corno inglese, che poco prima della chiusura nell’etereo DO maggiore espone una breve melopea che non può non ricordarci l’incipit di quella interminabile che lo strumento suona all’inizio del terz’atto del Tristan. 

Il brano si struttura macroscopicamente come ternario (A-B-A) con una breve introduzione e una coda conclusiva; le tonalità di fondo sono DO (sezione A) e MI (sezione B). In sostanza la melodia è quasi monotematica, un tema che viene sottilmente variato lungo l’arco del brano.
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L’agogica prevalente è piuttosto sostenuta, come possiamo constatare in questa ispirata interpretazione di Kurt Masur a Lipsia: si parte con un Andante moderato; l’Introduzione (7”) è affidata a corni e arpe (le quali accompagneranno la melodia sin quasi alla fine) con dolce tappeto dei legni. A 37” inizia la sezione A con il tema principale, in DO maggiore, tema che si sviluppa con leggere variazioni e con una breve piccola accelerazione, per poi rallentare fino a sfociare (2’08”) modulando a MI maggiore, nel Lento della sezione B. Qui il tema è ancora sottilmente variato, con lunghezze dimezzate che compensano la maggior lentezza del tempo. Il quale (3’35”) comincia ad accelerare impercettibilmente, poi (5’10”) più marcatamente, in corrispondenza del ritorno a DO maggiore (la ripresa di A) per sfociare (5’47”) in un Andante con moto; dove il tema principale viene ribadito con più enfasi e a piena orchestra. Il tempo ora torna a degradare fino al Lento (6’49”) dove il tema è ripreso in forma variata e quindi (7’36”) ancora a piena orchestra nella sua forma originale. Ecco quindi (8’16”, Poco ritenuto) il già citato intervento del corno inglese, che conduce alla Coda (8’48”, Ritardando). Essa è costituita da una sequenza di nove accordi che sintetizzano mirabilmente il viaggio di Orfeo agli Inferi e ritorno: dal DO maggiore si muovono a LA maggiore, SOL minore, MIb maggiore e FA# maggiore (eccoci negli abissi, il più lontano possibile - nel circolo delle quinte - dal DO della luce) per tornare al DO maggiore conclusivo. Sono archi e legni a suonarli, cui si aggiungono gli ottoni e i timpani nelle ultime 6 battute, mentre significativamente le arpe tacciono, quasi ad osservare stupefatte Orfeo che... sale alle sfere celesti.
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Pregevole davvero l’esecuzione, che il non oceanico pubblico gratifica di convinti applausi. 
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E per finire, un... bigino di Tristan-und-Isolde, uno di quelli predisposti dal grande Leopold Stokowski. Che ha il solo difetto di concentrare troppo il piatto da gustare. Come se di un panettone si tenessero buoni soltanto i canditi, la copertura al cioccolato e la guarnizione di crema... roba da indigestione! 

Il brano, che dura circa 35 dei 230 minuti dell’intera opera, è un assemblaggio di tre sue parti sostanziose (Preludio, duetto atto II e Liebestod) e di alcuni frammenti che fanno da riempitivo. Precisamente così (minutaggi dalla registrazione sopra segnalata): 

minutaggio
contenuto
riferimenti
     10” - 10’10”
Preludio (completo)

10’11” - 11’40”
Atto I: finale Scena IV
da I: Für tiefstes Weh a K: Herr Tristan
11’41” - 13’06”
           inizio Scena V
Entrata di Tristan da Isolde
13’07” - 13’31”
battute aggiunte

13’32” - 14’16”
Atto II: inizio Scena I
Corni da caccia in lontananza
14’17” - 24’25”
            Scena II (T-I)
da 16 battute prima di T: O sink’ hernieder
a T: Laß den Tag dem Tode weichen
24’26” - 25’51”
Atto III: scena I
da T: Sie lächelt mir Trost
a T: Wie schön bist du
25’52” - 26’05”
battute aggiunte
modulazione MI - LAb
26’06” - 29’38”
Atto II: Scena II (T-I)
da T: Starben wir, um ungetrennt
a T: Muß ich wachen
29’39” - 32’26”
            Scena II (T-I)
da I-T: O ew’ge nacht a I: Ohne scheiden
32’27”
Atto III: Liebestod
da I: Höre ich nur diese Weise

La scelta degli ingredienti si può discutere, e lo stesso Stokowski (oltre ad occuparsi anche di Ring e Parsifal) predispose più di un’ulteriore variante di queste Symphonic Syntheses, operazione che del resto era proprio stato Wagner ad inaugurare con la sua accoppiata da concerto Vorspiel-Liebestod.

Axelrod, che non nasconde la sua infatuazione per quest’opera, ci mette tutto se stesso per rendercela apprezzabile, e devo dire che i suoi sforzi sortiscono un discreto effetto. Certo, per chi ha una minima conoscenza del Tristan, la sensazione di ascoltare qualcosa di innaturale e irrisolto è fatalmente presente, ma si spera almeno che qualche neofita si aggiunga alla lunga lista degli innamorati! 

Per il momento registriamo con piacere come l’Orchestra abbia saputo rendere in modo davvero apprezzabile queste atmosfere cariche di Sehnsucht (termine intraducibile, che incorpora concetti quali: anelito, struggimento... magone) che Wagner ha saputo mirabilmente evocare con la sua musica. Alla fine interminabili applausi per tutti, inclusi quelli dei ragazzi al Direttore.  

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