ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

14 febbraio, 2020

laVerdi-19-20 - Concerto n°16


Ben due Requiem nel programma del concerto di questa settimana, diretto dal brillante 34enne Maxime Pascal.

Dapprima il K626 del Teofilo, di cui viene eseguita più o meno la prima metà, cioè fino alla Sequenza. È noto come quest’opera, l’ultima fatica di Mozart prima della prematura scomparsa, sia rimasta non solo incompleta, ma anche assai bistrattata da coloro - la moglie Constanze in primis - che per ragioni poco artistiche, ma assai prosaiche, decisero a tutti i costi di completarla in qualche modo per poi contrabbandarla come farina del sacco del de-cuius, onde incassare i proventi della commissione dal Conte Franz Von Walsegg.

Solo nella seconda metà del ‘900 i musicologi sono riusciti, e nemmeno in modo definitivo, a districarsi nel ginepraio di documenti, testimonianze e leggende metropolitane cresciute attorno all’opera. Oggi possiamo almeno contare su qualche solida base di conoscenza, grazie all’impegno profuso da ormai 140 anni dalla Fondazione del Mozarteum. Che negli ultimi tempi ha meritoriamente messo una gran mole di informazioni e documenti a disposizione del pubblico attraverso il sito DME (Digitale Mozart Edition) e in particolare ha reso universalmente fruibili tutte le partiture (in edizione critica) del Teofilo.

Lo schema sottostante - derivato dai documenti della DME - sintetizza al massimo grado lo stato dell’arte delle conoscenze che possediamo sui contenuti musicali del Requiem:


Come si vede, di Mozart si sono ritrovati i fogli manoscritti (purtroppo inquinati da mani diverse, forse Eybler) delle prime quattro parti, mentre nulla è stato ritrovato delle quattro restanti. Inoltre del Lacrimosa esistono solo le prime 8 misure (fino a Homo reus). A ciò vanno aggiunti due schizzi isolati: 4 battute del Rex tremendae e 16 battute di un Amen fugato, presumibilmente a chiudere la Sequenz. Il suo allievo Joseph Eybler si era per primo cimentato nell’impresa di completare il lavoro, ma aveva abbandonato il tentativo dopo aver strumentato la Sequenz, salvo il Lacrimosa, cui si limitò ad aggiungere due battute. Constanze allora appaltò il completamento ad un altro allievo del marito, Franz Xäver Süssmayr, che aveva avuto modo di intrattenersi sul Requiem con lo stesso Mozart. Costui mise a punto una versione completa dell’opera, impiegando, rielaborando e completando quanto già composto o almeno abbozzato da Mozart (incluse le aggiunte di Eybler) e soprattutto componendo di suo pugno il resto, dal Lacrimosa (battute successive alla 8) e poi dal Sanctus in avanti (per la verità il Communio riprende ampi passi mozartiani di Introitus e Kyrie). È la sua versione quella che da sempre ha portato il Requiem alle orecchie del pubblico.

Negli ultimi tempi si sono moltiplicate le attività di studio e ricerca, che hanno portato alla predisposizione di nuove versioni dell’opera, fra le quali sono da ricordare quella di Clemens Kemme (2009) e la più recente (2013) di Benjamin Gunnar Cohrs.  
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Nel concerto di questi giorni in Auditorium viene invece eseguita, insieme all’Introitus e al Kyrie, la Sequenz di Eybler, che si chiude sul torso di 8 battute del Lacrimosa, cui l’allievo, come detto, aggiunse timidamente solo 2 battute del soprano, per poi rinunciare a proseguire.

È opinione abbastanza diffusa fra i musicologi che questa versione di Eybler sia esteticamente superiore a quella di Süssmayr. Come esempio pratico si confronti l’inizio del Dies Irae: di seguito sono riportate le prime 9 misure come lasciate da Mozart e le corrispondenti completate da Eybler e Süssmayr:


Mozart ci lasciò la parte vocale, il basso e un abbozzo della parte degli archi (violini primi); proprio nulla di fiati e timpani.


Eybler completa la parte degli archi (violini II e viole) e aggiunge i fiati (corno di bassetto, fagotto e clarino) e i timpani. Si noti in particolare la leggerezza della strumentazione dei fiati.


Süssmayr sembra accogliere alcune aggiunte di Eybler, ma appesantendole (i fiati hanno ad esempio note più lunghe) ma soprattutto aggiunge (qui e in quasi tutti gli altri numeri) i tre tromboni, che imprimono al brano un’impronta piuttosto greve. Il grande Bruno Walter stigmatizzava questa scelta, eccessiva a suo parere, e non la rispettava. Sebbene i tromboni siano tipici strumenti da chiesa, Mozart ne indica esplicitamente ed appropriatamente la presenza solo nel Tuba mirum (trombone tenore). Per il resto li indica nell’Introitus (dove peraltro sono notati soltanto - colla parte - accanto alle voci di Alto, Tenore e Basso) e gli stessi editori della DME non sono affatto certi che quell’indicazione sia necessariamente da estendere (come fa Süssmayr) al resto della composizione. 

Di grande interesse (per me, almeno) è questa esecuzione basata strettamente sul manoscritto originale (con l’aggiunta in coda dello schizzo dell’Amen): perchè ci porta all’orecchio l’intima essenza dell’opera, il suo cuore profondo, la sua metafisica bellezza. 
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Lo smilzo Pascal dirige senza bacchetta, con ampi gesti delle sue lunghe braccia, e ondeggiando mollemente sulle sue leve da fenicottero. Gli attacchi sono netti, dati tendendo le mani come fendenti indirizzati verso solisti, coro e strumentisti.

E tutti rispondono al meglio: dalle voci ben impostate dei quattro solisti: soprano Minji Kim; alto Solgerd Isalv; tenore Massimo Lombardi e basso Daniele Caputo; a quelle del coro guidato per l’occasione da José Antonio Sainz Alfaro; all’orchestra, doverosamente leggera in quantità (un solo trombone per doppiare le voci nell’Introitus e per le bellissime frasi del Tuba Mirum) e in trasparenza di suono.

Dopo l’ultimo verso dei soprani (Huic ergo parce deus) e anche l’unico ad essere musicato da Eybler, Pascal ottiene un minuto di raccoglimento, prima di abbassare le braccia per meritarsi l’applauso del pubblico.
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Il secondo Requiem è del 2017! Fu eseguito, domenica 2 luglio, al Festival di Spoleto, che lo aveva commissionato a Silvia Colasanti in ricordo del terribile terremoto che un anno prima aveva sconvolto e distrutto l’Italia centrale.

Si tratta propriamente di un Oratorio, dove al Coro si unisce una voce recitante accompagnata da un bandoneon. La voce (che espone un testo italiano) si alterna alle strofe del Requiem latino, cantate dal coro e dal contralto solista.

Più che un Requiem, è la contestazione del Requiem, così come la tradizione chiesastica ce lo ha tramandato: la voce recitante non per nulla è La dubitante! Che sfida il Coro di chi non dubita. Accompagnandosi al bandoneon, il Respiro della terra. E il contralto, che canta dal Quid sum miser al Cor contritum quasi cinis, gere curam mei finis è il Cuore ridotto in cenere...

Il carattere di laica accettazione della morte, di aspirazione al perdono e al ritorno alla natura eterna (un po’ l’àpeiron degli antichi filosofi greci) è sintetizzato dal sottotitolo dell’opera: Stringeranno nei pugni una cometa, verso del visionario poeta gallese Dylan Thomas, non a caso divenuto famoso per il suo approccio laico e quasi ottimistico al mistero della morte.

In rete si può ascoltare unincisione fatta a Bolzano, e anche qui abbiamo in scena alcuni dei protagonisti della prima esecuzione: il Direttore Pascal, l’autrice dei testi italiani e voce recitante, Mariangela Gualtieri, e il contralto solista, Monica Bacelli. A loro si aggiungono, oltre all’Orchestra, Davide Vendramin al bandoneon e il Coro sinfonico de laVerdi, ancora guidato da José Antonio Sainz Alfaro.  
  
L’opera inizia con un confuso chiacchiericcio, come di qualcuno che recita il Dies Irae in una giornata di pioggia. Poi inizia il canto del Coro di chi non dubita, in un’atmosfera oscillante fra SOL minore e la relativa SIb.

Ora La dubitante, Mariangela Gualtieri, con la sua voce secca e piglio deciso, si rivolge Alle piccole e grandi ombre, accompagnata da suoni dimessi del violoncello (di Tobia Scarpolini) per chiedere per loro non già la pace eterna, ma una vita perenne, qui, in mezzo a noi e alla natura che ci circonda.

Torna il Coro di chi non dubita con il tremendo Dies Irae: qui non c’è musica, ma caos, rumore; le voci espongono i versi recto tono, poi con rapide discese e con accenti quasi di terrore. Si fa largo in orchestra un MI isolato, sul quale le voci intonano stentoreamente il Tuba mirum, poi in aspra dissonanza con un FA, finchè tutto crolla verso il silenzio.

Ancora La dubitante, interrotta da sordi suoni dell’orchestra, che non sa spiegarsi perchè quel Dio tanto invocato resti zitto di fronte a macerie, dolore e pianto: un Dio duro, troppo duro...

Riprende il Coro di chi non dubita con Mors stupebit: l’atmosfera è caratterizzata da un tappeto sonoro aspro (proprio da... stridor di denti) sul quale le voci innestano ora sequenze ascendenti, ora improvvise discese dall’acuto, per sottolineare la tremenda severità del giudizio finale.

Riecco La dubitante, adesso nel totale silenzio di voci e orchestra, manifestare il suo stupore: per quel Giudice supremo che rimane in silenzio di fronte a misfatti compiuti dall’uomo, ma spesso mostra inspiegabilmente la sua mano feroce.

É arrivato il momento del Cuore ridotto in cenere. Ed entra sul palco Monica Bacelli a cantare il Quid sum miser, su una sorta di Sprechgesang. Il Rex tremendae majestatis è invece declamato. Più liriche le due strofe del Recordare e del Quaerens. Dopo uno scabro Juste Judex ecco uno squarcio di grande respiro melodrammatico, una specie di arioso che accompagna le strofe Ingemisco, Qui Mariam e Preces meae. Un ultimo scatto violento (Confutatis maledictis) e poi la chiusa (Oro supplex) di un grande lirismo, un abbandono - in LA minore - nelle mani di Dio (Gere curam mei finis).  

Ora l’orchestra prepara una specie di soffice tappeto sonoro (su un vago RE minore) per supportare una nuova esternazione della Dubitante: che invoca un Dio di amore, che arrivi a portare all’uomo la comprensione e la compassione, la consapevolezza dell’unità dell’Universo, il capire l’insetto e la grandine, l’acqua e il filo d’erba.  

Il Coro di chi non dubita espone ora il Lacrimosa: è la parte femminile a cantare la voce principale, contrappuntata da quella maschile. È un canto appropriatamente lamentoso (vagamente in RE minore) con motivi degradanti, appunto lacrimevoli, che sfocia alla fine su un LA acuto, per l’invocazione alla pietà divina.

Ultimo intervento della Dubitante, accompagnata da discreti e sporadici interventi del bandoneon di Davide Vendramin. È una lacerante confessione di chi riconosce tutte le sue colpe, piccole e grandi, egoismo, narcisismo, individuaismo... ma una su tutte: la disattenzione. Il MI del bandoneon chiude questa accorata esternazione e si prepara ad accompagnare l’ultima parte del Requiem:

il Lux Aeterna del Coro di chi non dubita. Un lungo viaggio in LA minore verso la luce che risplende sul riposo eterno dell’uomo. Un ultimo saluto del bandoneon, poi l’Amen del Coro, in LA maggiore! Lo stesso LA dell’ultimo rintocco di campana.

Qui Pascal e tutto il coro rimangono a braccia alzate al cielo e impiegano, per abbassarle, non meno di 120 secondi, in un religioso silenzio carico di tensione. Poi sei minuti ininterrotti di applausi, dapprima sobri e contenuti, quindi sempre più forti e accompagnati da ovazioni per tutti, compresa l’Autrice, salita sul palco ad abbracciare gli altri protagonisti di questo indimenticabile appuntamento.

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