Ben due Requiem
nel programma del concerto di questa settimana, diretto dal brillante 34enne Maxime Pascal.
Dapprima
il K626
del Teofilo, di cui viene eseguita più o meno la prima metà, cioè fino alla Sequenza. È noto come quest’opera, l’ultima
fatica di Mozart prima della prematura scomparsa, sia rimasta non solo incompleta,
ma anche assai bistrattata da coloro - la moglie Constanze in primis - che per ragioni poco artistiche, ma assai
prosaiche, decisero a tutti i costi di completarla in qualche modo per poi contrabbandarla
come farina del sacco del de-cuius,
onde incassare i proventi della commissione dal Conte Franz Von Walsegg.
Solo nella
seconda metà del ‘900 i musicologi sono riusciti, e nemmeno in modo definitivo,
a districarsi nel ginepraio di documenti, testimonianze e leggende
metropolitane cresciute attorno all’opera. Oggi possiamo almeno contare su
qualche solida base di conoscenza, grazie all’impegno profuso da ormai 140 anni
dalla Fondazione del Mozarteum.
Che negli ultimi tempi ha meritoriamente messo una gran mole di informazioni e
documenti a disposizione del pubblico attraverso il sito DME (Digitale
Mozart Edition) e in particolare ha reso universalmente fruibili tutte le partiture (in edizione
critica) del Teofilo.
Lo schema
sottostante - derivato dai documenti della DME - sintetizza al massimo grado lo
stato dell’arte delle conoscenze che possediamo sui contenuti musicali del Requiem:
Come
si vede, di Mozart si sono ritrovati i fogli manoscritti (purtroppo inquinati
da mani diverse, forse Eybler) delle prime quattro parti, mentre nulla è stato
ritrovato delle quattro restanti. Inoltre del Lacrimosa esistono solo le prime 8 misure (fino a Homo reus). A ciò vanno aggiunti due
schizzi isolati: 4 battute del Rex tremendae
e 16 battute di un Amen fugato,
presumibilmente a chiudere la Sequenz.
Il suo allievo Joseph Eybler si era
per primo cimentato nell’impresa di completare il lavoro, ma aveva abbandonato
il tentativo dopo aver strumentato la Sequenz,
salvo il Lacrimosa, cui si limitò ad
aggiungere due battute. Constanze allora appaltò il completamento ad un altro
allievo del marito, Franz Xäver Süssmayr, che aveva avuto modo di intrattenersi
sul Requiem con lo stesso Mozart. Costui mise a punto una versione completa dell’opera,
impiegando, rielaborando e completando quanto già composto o almeno abbozzato
da Mozart (incluse le aggiunte di Eybler) e soprattutto componendo di suo pugno
il resto, dal Lacrimosa (battute
successive alla 8) e poi dal Sanctus
in avanti (per la verità il Communio
riprende ampi passi mozartiani di Introitus e Kyrie). È la sua versione quella che
da sempre ha portato il Requiem alle orecchie del pubblico.
Negli
ultimi tempi si sono moltiplicate le attività di studio e ricerca, che hanno
portato alla predisposizione di nuove versioni dell’opera, fra le quali sono da
ricordare quella di Clemens Kemme (2009)
e la più recente (2013) di Benjamin Gunnar Cohrs.
___
Nel
concerto di questi giorni in Auditorium viene invece eseguita, insieme all’Introitus e al Kyrie, la Sequenz di Eybler, che si chiude sul torso di
8 battute del Lacrimosa, cui l’allievo,
come detto, aggiunse timidamente solo 2 battute del soprano, per poi rinunciare
a proseguire.
È opinione
abbastanza diffusa fra i musicologi che questa versione di Eybler sia esteticamente
superiore a quella di Süssmayr. Come esempio pratico si confronti l’inizio del Dies Irae: di seguito sono riportate le
prime 9 misure come lasciate da Mozart e le corrispondenti completate da Eybler
e Süssmayr:
Mozart ci lasciò
la parte vocale, il basso e un abbozzo della parte degli archi (violini primi);
proprio nulla di fiati e timpani.
Eybler
completa la parte degli archi (violini II e viole) e aggiunge i fiati (corno di
bassetto, fagotto e clarino) e i timpani. Si noti in particolare la leggerezza
della strumentazione dei fiati.
Süssmayr
sembra accogliere alcune aggiunte di Eybler, ma appesantendole (i fiati hanno ad
esempio note più lunghe) ma soprattutto aggiunge (qui e in quasi tutti gli
altri numeri) i tre tromboni, che imprimono al brano un’impronta piuttosto greve. Il
grande Bruno Walter stigmatizzava
questa scelta, eccessiva a suo parere, e non la rispettava. Sebbene i tromboni
siano tipici strumenti da chiesa, Mozart ne indica esplicitamente ed appropriatamente
la presenza solo nel Tuba mirum (trombone
tenore). Per il resto li indica nell’Introitus
(dove peraltro sono notati soltanto - colla
parte - accanto alle voci di Alto, Tenore e Basso) e gli stessi editori
della DME non sono affatto certi che quell’indicazione sia necessariamente da estendere (come fa Süssmayr) al resto della composizione.
Di grande interesse (per me, almeno) è questa esecuzione basata strettamente sul manoscritto originale (con l’aggiunta in coda dello schizzo dell’Amen): perchè ci porta all’orecchio l’intima essenza dell’opera, il suo cuore profondo, la sua metafisica bellezza.
Di grande interesse (per me, almeno) è questa esecuzione basata strettamente sul manoscritto originale (con l’aggiunta in coda dello schizzo dell’Amen): perchè ci porta all’orecchio l’intima essenza dell’opera, il suo cuore profondo, la sua metafisica bellezza.
___
Lo smilzo Pascal
dirige senza bacchetta, con ampi gesti delle sue lunghe braccia, e ondeggiando
mollemente sulle sue leve da fenicottero. Gli attacchi sono netti, dati
tendendo le mani come fendenti indirizzati verso solisti, coro e strumentisti.
E tutti
rispondono al meglio: dalle voci ben impostate dei quattro solisti: soprano Minji Kim; alto Solgerd Isalv; tenore Massimo
Lombardi e basso Daniele Caputo;
a quelle del coro guidato per l’occasione da José Antonio Sainz
Alfaro; all’orchestra,
doverosamente leggera in quantità (un solo trombone per doppiare le voci nell’Introitus e per le bellissime frasi del Tuba Mirum) e in trasparenza di suono.
___
Il secondo Requiem
è del 2017! Fu eseguito, domenica 2 luglio, al Festival di Spoleto, che lo
aveva commissionato a Silvia Colasanti in ricordo del terribile terremoto che un anno prima aveva
sconvolto e distrutto l’Italia centrale.
Si tratta
propriamente di un Oratorio, dove al Coro
si unisce una voce recitante accompagnata da un bandoneon. La voce (che espone
un testo italiano) si alterna alle strofe del Requiem latino, cantate dal coro
e dal contralto solista.
Più che
un Requiem, è la contestazione del Requiem, così come la tradizione chiesastica
ce lo ha tramandato: la voce recitante non per nulla è La dubitante! Che sfida il Coro
di chi non dubita. Accompagnandosi al bandoneon, il Respiro della terra. E il contralto, che canta dal Quid sum miser al Cor contritum quasi cinis, gere curam mei finis è il Cuore ridotto in cenere...
Il carattere di
laica accettazione della morte, di aspirazione al perdono e al ritorno alla
natura eterna (un po’ l’àpeiron degli
antichi filosofi greci) è sintetizzato dal sottotitolo dell’opera: Stringeranno nei pugni una cometa, verso del visionario poeta
gallese Dylan Thomas, non a caso divenuto
famoso per il suo approccio laico e quasi ottimistico al mistero della morte.
In rete
si può ascoltare un’incisione
fatta a Bolzano, e anche qui abbiamo in scena alcuni dei protagonisti della prima esecuzione: il
Direttore Pascal, l’autrice dei testi
italiani e voce recitante, Mariangela
Gualtieri, e il contralto solista, Monica
Bacelli. A loro si aggiungono, oltre all’Orchestra, Davide Vendramin al bandoneon e il Coro sinfonico de laVerdi,
ancora guidato da José Antonio Sainz Alfaro.
L’opera inizia
con un confuso chiacchiericcio, come di qualcuno che recita il Dies Irae in una giornata di pioggia. Poi
inizia il canto del Coro di chi non dubita,
in un’atmosfera oscillante fra SOL minore e la relativa SIb.
Ora La dubitante, Mariangela Gualtieri, con
la sua voce secca e piglio deciso, si rivolge Alle piccole e grandi ombre, accompagnata da suoni dimessi del
violoncello (di Tobia Scarpolini) per
chiedere per loro non già la pace eterna, ma una vita perenne, qui, in mezzo a
noi e alla natura che ci circonda.
Torna il Coro di chi non dubita con il tremendo Dies Irae: qui non c’è musica, ma caos,
rumore; le voci espongono i versi recto
tono, poi con rapide discese e con accenti quasi di terrore. Si fa largo
in orchestra un MI isolato, sul quale le voci intonano stentoreamente il Tuba mirum, poi in aspra dissonanza con
un FA, finchè tutto crolla verso il silenzio.
Ancora La dubitante, interrotta da sordi suoni
dell’orchestra, che non sa spiegarsi perchè quel Dio tanto invocato resti zitto
di fronte a macerie, dolore e pianto: un Dio duro, troppo duro...
Riprende il Coro di chi non dubita con Mors stupebit: l’atmosfera è
caratterizzata da un tappeto sonoro aspro (proprio da... stridor di denti) sul
quale le voci innestano ora sequenze ascendenti, ora improvvise discese dall’acuto,
per sottolineare la tremenda severità del giudizio finale.
Riecco La dubitante, adesso nel totale silenzio
di voci e orchestra, manifestare il suo stupore: per quel Giudice supremo che
rimane in silenzio di fronte a misfatti compiuti dall’uomo, ma spesso mostra inspiegabilmente
la sua mano feroce.
É arrivato il
momento del Cuore ridotto in cenere. Ed
entra sul palco Monica Bacelli a cantare
il Quid sum miser, su una sorta di Sprechgesang. Il Rex tremendae majestatis è invece declamato. Più liriche le due
strofe del Recordare e del Quaerens. Dopo uno scabro Juste Judex ecco uno squarcio di grande
respiro melodrammatico, una specie di arioso
che accompagna le strofe Ingemisco, Qui Mariam e Preces meae. Un ultimo scatto violento (Confutatis maledictis) e poi la chiusa (Oro supplex) di un grande lirismo, un abbandono - in LA minore - nelle
mani di Dio (Gere curam mei finis).
Ora l’orchestra
prepara una specie di soffice tappeto sonoro (su un vago RE minore) per
supportare una nuova esternazione della Dubitante:
che invoca un Dio di amore, che arrivi a portare all’uomo la comprensione e la
compassione, la consapevolezza dell’unità dell’Universo, il capire l’insetto e
la grandine, l’acqua e il filo d’erba.
Il Coro di chi non dubita espone ora il Lacrimosa:
è la parte femminile a cantare la voce principale, contrappuntata da quella
maschile. È un canto appropriatamente lamentoso (vagamente in RE minore) con
motivi degradanti, appunto lacrimevoli, che sfocia alla fine su un LA acuto,
per l’invocazione alla pietà divina.
Ultimo
intervento della Dubitante, accompagnata
da discreti e sporadici interventi del bandoneon di Davide Vendramin. È una lacerante confessione di chi riconosce
tutte le sue colpe, piccole e grandi, egoismo, narcisismo, individuaismo... ma
una su tutte: la disattenzione. Il MI
del bandoneon chiude questa accorata esternazione e si prepara ad accompagnare
l’ultima parte del Requiem:
il Lux Aeterna del Coro di chi non dubita. Un lungo viaggio in LA minore verso la luce
che risplende sul riposo eterno dell’uomo. Un ultimo saluto del bandoneon, poi
l’Amen del Coro, in LA maggiore! Lo stesso LA dell’ultimo rintocco di campana.
Qui Pascal e
tutto il coro rimangono a braccia alzate al cielo e impiegano, per abbassarle,
non meno di 120 secondi, in un religioso silenzio carico di tensione. Poi sei
minuti ininterrotti di applausi, dapprima sobri e contenuti, quindi sempre più
forti e accompagnati da ovazioni per tutti, compresa l’Autrice, salita sul
palco ad abbracciare gli altri protagonisti di questo indimenticabile
appuntamento.
Nessun commento:
Posta un commento