Ieri
pomeriggio il Costanzi - abbastanza,
ma non troppo affollato - ha ospitato la terza recita dell’Onegin,
una produzione di Carsen del lontano
1997 per il MET, poi già ripresa da altri teatri e qui portata da Peter
McClintock. Sul
podio il torinese (pro-tempore) James Conlon. Radio3 aveva trasmesso la
prima del 18, che mi aveva fatto
un gran bella impressione, pienamente confermata dall’ascolto dal vivo.
Come le altre,
anche questa recita è edicata al ricordo della grande Mirella Freni, ultima interprete romana di Tatiana nel 2001.
L’allestimento
di Carsen compie 23 anni, ma non li dimostra, come accade per ogni opera di
valore. L’idea portante del regista è di mettere al centro della vicenda Onegin,
che non per nulla appare sempre per primo in scena in apertura dei tre atti: durante
il Preludio lo si immagina ricordare ciò che... accadrà, leggendo una lettera; all’inizio del second’atto facendo
un sopralluogo nella sala dove si svolgerà la festa che lo porterà ad offendere
Lensky e a dare inizio alla tragedia; infine all’inizio del terzo atto, quando
verrà abbigliato a dovere per la festa-funerale che preparerà la sua fine
ingloriosa.
L’ambientazione
rispetta il libretto, nella Russia ottocentesca, come testimoniano i costumi di
Michael Levine, il quale cura anche
le scene: ambiente praticamente vuoto, di volta in volta popolato da poche
suppellettili, piccoli tavoli da lavori domestici, sedie e tavolini da
soggiorno. All’inizio il pavimento è ricoperto da (finte) foglie dai tipici
colori autunnali (giallo, marrone, rossiccio, verde scuro) per restare via via completamente
spoglio. Le luci di Jean Kalman supportano
l’idea del regista di illuminare le tre pareti nude con colori diversi e cangianti, a seconda del carattere dei diversi quadri:
il giallo della natura e della vita serena per i quadri iniziali dei primi due
atti, in casa Larina; il blu-notte nel secondo quadro del primo atto (la
lettera di Tatiana) e nel corrispondente del secondo (il duello all’alba, con
il sole che sorge poi a inquadrare la silhouette
di Onegin piegato sul defunto Lensky); grigio nel terzo quadro del primo
atto (la disillusione di Tatiana); bianco nel primo quadro del terz’atto (a far
da sfondo ad un nero... funerale) e ghiaccio nel quadro finale (il distacco
definitivo).
Una scelta che
ai tempi fece discutere è quella di collegare direttamente la fine dell’atto
secondo (morte di Lensky) con l’inizio del terzo (festa a palazzo Gremin) che
il libretto colloca invece a distanza di anni. (L’idea fu poi scopiazzata - in
molto peggio, per la verità - da Kasper
Olten, in una produzione passata anche a Torino anni fa.) Ma anche questa
si spiega con la concezione di Carsen di porre Onegin al centro dell’opera e
quindi vedere la realtà con gli occhi
di lui, che dopo l’omicidio dell’amico vede
tutto nero e così la festa per lui diventa proprio un funerale, anzi il funerale di Lensky, portato via sulle
spalle degli inservienti del Principe, in mezzo agli invitati (maschi e femmine)
tutti vestiti di nero, come becchini o pipistrelli. Proprio mentre in orchestra
esplode la musica della polacca brillante,
qui assurta a grottesca marcia funebre!
Insomma, Carsen trasferisce il lancinante contrasto: da quello presentato nel
libretto, fra la festa spensierata e il cuore desertificato di Onegin; a quello
fra cerimonia funebre e musica brillante che l’accompagna.
A proposito della
musica della polonaise, ho sempre
considerato l’iniziale esposizione del tema principale come un modo escogitato
dal compositore per caratterizzare un ambiente da nobiltà parassitaria: insomma un po’ da... sboroni, ecco. Dopo la
fanfara introduttiva e l’approccio degli archi, il motivo principale è di 8 battute
e viene esposto due volte, prima che subentri un controsoggetto di 10 battute,
cui segue la ripresa del tema principale e la coda conclusiva. Orbene, ci si
aspetterebbe che le due esposizioni del tema siano sostanzialmente identiche e
quindi sfocino entrambe sulla dominante
RE. Invece la prima delle due sfocia inaspettatamente un tono sopra (MI, e in
minore, tonalità relativa del SOL)
con un effetto francamente poco gradevole, che sembra appunto tipico di chi
voglia strafare, mettersi in mostra a tutti i costi, insomma fare una vuota
ostentazione di ricchezza... (Ben diversa è invece la condotta del walzer che apre il second’atto, in un
ambiente genuinamente e simpaticamente campagnolo e provinciale.)
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James Conlon
mostra non solo di conoscere a fondo, ma anche di adorare letteralmente questa
partitura, tanta e tale è la cura che mette nel dirigere, quasi prendendo per
mano i singoli strumentisti e le voci sul palco. Mai un effetto gratuito,
nessuna indebita libertà nella scelta dei tempi, dinamiche mai esasperate, nel
pieno rispetto dell’ambientazione sonora che l’Autore volle dare a queste sue scene liriche.
Voci tutte all’altezza,
con punte di eccellenza per Markus Werba,
un Onegin quasi perfetto, dalla vocalità (per me) appropriata ad un cattivo che però è anche giovane. Benissimo Saimir Pirgu (accolta trionfalmente la sua celebre aria prima del
duello). Ottimo anche John Relyea (Gremin)
la cui parte è quantitativamente ridotta, ma è fondamentale (forse il parallelo
con un Filippo o un Marke è eccessivo, ma insomma...)
Le due sorelle mostrano una grande padronanza e
consuetudine con le parti, soprattutto Maria
Bayankina è una Tatiana davvero eccellente, capace di immedesimarsi
mirabilmente nella ragazza romantica e insieme temeraria (la sua lettera è
stata un capolavoro di espressività delle sue passioni) e poi nella rigorosa
signora che rispetta fermamente i sacri doveri che la società le impone. Yulia Matochkina le ha fatto da sorellina
spensierata e in po’ frivola con buon portamento e bella voce di mezzo.
Discrete le due
voci femminili di contorno (Irina Dragoti
e Anna Viktorova) cui rimprovero
magari un po’ di carenza di... decibel.
Efficace e simpatico il Triquet di Andrea Giovannini e oneste le prestazioni
degli altri due comprimari, Andrii Ganchuk
e Arturo Espinosa.
Benissimo anche il
coro di Roberto Gabbiani, che nel
second’atto ha pure... ballato. E a proposito di danza, completano il quadro i
cinque membri del Corpo di ballo del Teatro,
guidati dal coreografo Serge Bennathan.
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Al termine
almeno 10 minuti di applausi equamente distribuiti tra tutti i protagonisti di
questo spettacolo che merita proprio di esser visto e goduto (RAI5 lo metterà
in onda prossimamente).
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