In un Piermarini non
proprio stipato (chissà... lo sbifido virus, si son visti spettatori con tanto di
mascherina) la prima del Turco
in Italia in salsa svizzera (Fasolis) è passata con un franco
successo ed ha così rialzato la media della qualità della stagione scaligera,
che un Trovatore-così-così aveva un
filino abbassato.
Merito della coppia Fasolis-Andò, che ha confezionato uno
spettacolo assai godibile e soprattutto ben equilibrato in tutti i reparti:
voci, orchestra, coro e messinscena.
A Fasolis mi sento di rimproverare
(ma solo nel primo atto) una certa eccessiva sostenutezza di tempi e alcune
sbracature bandistiche (copertura di voci inclusa) che sono per fortuna state
corrette dopo l’intervallo: la sua è stata comunque una direzione complessivamente
apprezzabile, come pure le scelte filologiche del ripristino delle arie di
Narciso del primo atto (Un vago sembiante)
di Geronio (Atto II, Se ho da dirla)
oltre a quella di Fiorilla che segue la cacciata da casa. Condivisibili i
numerosi tagli e taglietti ai sempre noiosi (per noi) recitativi secchi.
Andò ha saputo da parte
sua trovare il giusto equilibrio fra le componenti buffe e farsesche dell’opera
e i risvolti patetici e pure... filosofici del libretto. In particolare è
centrata la figura del Poeta, onnipresente
in scena ma sempre in balìa degli avvenimenti che si accavallano sotto i suoi
occhi. Azzeccata la scelta di far distruggere, nel finale, i fogli del suo lavoro
da parte dei protagonisti della vicenda: un modo efficace per mostrare la loro
indipendenza dagli stereotipi che il letterato gli ha cucito addosso.
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Bene in generale le voci. Mattia Olivieri è un Prosdocimo
autorevole, a dispetto della mancanza, nella sua parte, di vere arie: ma i suoi numerosissimi contributi
sono stati esposti con voce solida, senza sbavature, e sempre passante su tutta la tessitura. Stesso
discorso per il Selim di Alex Esposito,
apprezzatissimo dal pubblico anche per le sue note qualità di attore consumato.
Il terzo basso, Giulio Mastrototaro,
già buon Sciarrone nella Tosca che ha aperto questa stagione, è stato un po’ la
rivelazione della serata, con una maiuscola interpretazione del complesso personaggio
di Geronio: che lui ha proposto con proprietà di fraseggio e senza facili e farsesche
sbracature da macchietta. Andò lo ha fatto pure cantare in platea (che non è
proprio il posto migliore per farsi... sentire) ma lui ha superato
brillantemente anche questa difficoltà.
Rosa Feola tornava in Scala dopo l’Elisir dello
scorso autunno, ed ha confermato quanto di buono emerso allora: la voce è calda
e senza sbavature, gli acuti ben portati; forse le note gravi sono da...
rendere più udibili, ma poi anche la sua presenza scenica le ha garantito ampi
consensi. La parte di Zaida non è certo proibitiva, ma Laura Verrecchia ce l’ha porta con calore e con quel pizzico di
patetismo che ben si addice al personaggio.
I due tenori: Edgardo Rocha (Narciso) si conferma in
progresso (lo avevo sentito nel ruolo 5 anni fa a Torino, dove non mi aveva
proprio entusiasmato, poi meglio aveva fatto due anni dopo qui in una Gazza ladra):
voce sottile, ma che riesce a passare anche in un ambiente come quello del Piermarini.
Manuel Amati (Albazar) invece, oltre
a voce piccina, fa pure fatica a farla arrivare su in loggione, dove la sua Ah, sarebbe troppo dolce si fatica
davvero a udirla come si deve.
Si ode invece benissimo, e
fin troppo, il coro di Casoni, che
travolge, nei pezzi d’insieme, anche le voci dei protagonisti. Sui suoi livelli
l’Orchestra, a parte le citate
escandescenze impostele da Fasolis.
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Roberto Andò - benissimo
coadiuvato da Gianni Carluccio per scene-luci
e Nanà Cecchi per i costumi - come
detto firma una regìa sapiente ed elegante, che il pubblico alla fine ha mostrato
di apprezzare assai (che scarto rispetto all’accoglienza riservata al Trovatore
di Hermanis!)
La scena è praticamente
spoglia, vi trovano posto sporadicamente piccole suppellettili (un divano, un
tavolo, sgabelli) tutte rigorosamente dello stesso legno (tinta beige-noisette)
del tavolato. Dal quale emergono come dall’aldilà (per poi scomparirvi) attraverso
ampie botole i vari personaggi, che altre volte entrano ed escono di scena
trascinati da sottili pedane traslanti da sinistra a destra o viceversa. Sul
fondo onde di un mare dipinto o una muraglia penetrabile; ai lati e
frontalmente scendono e risalgono pannelli raffiguranti interni o esterni di
abitazioni; nulla più.
I costumi sono appropriati
all’ambientazione dell’opera, tutti assai sgargianti ma raffinati. Le luci ben
impiegate, anche a supportare i risvolti psicologici di alcune scene (ad
esempio quella del ballo mascherato e del ripudio subito da Fiorilla).
Intelligente e sempre
equilibrata la recitazione dei personaggi: niente facili sguaiatezze o
cachinni, il tutto sempre mantenuto entro limiti di buongusto, perfettamente
appropriati al soggetto agrodolce dell’opera.
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I definitiva, una proposta
che si è meritata i lunghi applausi e le ripetute chiamate che il pubblico ha
riservato a ciascuno e a tutti. Tre ore ben spese, se non altro per esorcizzare
la psicosi della quarantena (!)
Adesso però mi preparo
partire per Roma, dove mi aspetta un Onegin
dal quale mi... aspetto molto.
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