É ancora
il Direttore Musicale a calcare il
podio dell’Auditorium proponendo per il primo concerto del 2020 un programma
super-tradizionale. Nella prima parte occupato da Beethoven con un’Ouverture e un Concerto,
nella seconda da Strauss con uno dei
suoi più noti Tondichtungen.
Si parte
quindi con Coriolano, una Ouverture
che Beethoven compose per la tragedia di vonCollins.
A proposito di tragedie, in questa vecchia pubblicità
- che si conclude proprio con le note di apertura del Coriolano - compare a più
riprese il teatro di una recente tragedia che ancora grida vendetta...
L’Ouverture
poggia classicamente su due temi contrastanti, che evocano la vicenda di
Coriolano: il primo, DO minore, introdotto da poderosi schianti dell’intera
orchestra, è davvero drammatico, come l’intera esistenza del condottiero romano,
conclusa - almeno stando a Cicerone - con tanto di suicidio; il secondo, MIb
maggiore, di carattere elegiaco, femminile, contemplativo, vuol evocare la
figura della madre che scongiura Coriolano di non attaccare la sua città.
É
interessante notare come viene gestito il passaggio dal primo al secondo tema
da interpreti diversi (si noti che Beethoven per quel punto - e per l’intero
brano, per la verità - non indica alcun segno di agogica, niente variazioni di
tempo (Allegro con brio) e nemmeno
piccole pause, nulla. Così esegue quel passaggio Claudio Abbado
(1’23”)
che si limita ad un’impercettibile presa di respiro sulla forchetta del diminuendo (lo si osservi sulla pagina
di partitura) che porta al SOL di attacco del secondo tema. Anche Riccardo Muti
rispetta la lettera beethoveniana (1’21”). Così fa Bernstein (1’31”)
cui si può caso mai rimproverare l’eccessiva sostenutezza generale del tempo.
Ecco
invece il Furtwängler in piena guerra: a 1’23”
rallenta vistosamente il tempo, poi lo riprende ma sempre sotto quello indicato
dall’Autore: per qualcuno sarà pure un bell’effetto, per me... un effettaccio!
Il suo epigono Thielemann
vuol dimostrare di saper superare il maestro, così si permette quello che
considero un autentico obbrobrio (2’06”): ferma addirittura il treno,
poi lo fa ripartire come una lumaca! Io queste le chiamo pisciatine del cane che vuol segnare il territorio...
Flor? Beh,
nulla di meno che perfetto! E non solo in questo passaggio, ma in tutta l’Ouverture,
tenuta sempre in massima tensione, fino ai tre DO pizzicati degli archi (indovinate dove li ritroviamo?)
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Ecco poi
il 71enne (ma non li dimostra!) Christian
Blackshaw sedersi alla tastiera per deliziarci con il più difficile e
impegnativo (almeno secondo il parere mio, e non solo mio) dei cinque concerti
beethoveniani: il Quarto. Che lui interpreta proprio in punta di... polpastrello,
dandogli un’impronta settecentesca (non a caso lui è uno specialista di Mozart).
Flor lo asseconda al meglio trattenendo l’orchestra, salvo gli scoppi del rondò
finale.
Un’esecuzione
coi fiocchi, accolta dal folto pubblico con grandissimo calore, che il canuto
Christian ripaga con una trascendentale esecuzione della Sarabanda dalla Prima Partita
in SIb per clavicembalo di Bach.
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Also
sprach Zarathustra ha chiuso in
bellezza la serata. Strauss, quando giurava di non aver preteso di fare della
filosofia in musica, mentiva spudoratamente: intanto perchè, almeno da
Beethoven in poi, quasi tutta la musica strumentale aveva tratto ispirazione da
programmi interni (e a volte anche
esterni...) di natura filosofica o religiosa, e poi perchè è proprio la musica
composta da Strauss après une lecture de
Nietzsche ad essere ricca di significati filosofici.
Basterà
osservare le ultime 8 battute del poema, dove due tonalità (SI e DO) che hanno in
precedenza sostenuto rispettivamente lo spirito dell’Uomo e l’evocazione della Natura
si fronteggiano come in un estremo braccio-di-ferro: e quando pare che sia la prima – l'Uomo, lo Spirito -
ad avere il sopravvento, ecco che la seconda, la Natura, si riprende l'ultima
parola, per quanto appena appena esalata: in pizzicato, violoncelli
e contrabbassi (con i tromboni a far da pedale armonico) ne ripercorrono, due
volte, il tema originariamente esposto alle battute 5-6 dalle quattro trombe (l'ascensione
DO-SOL-DO) e infine, dopo l'ultimo accordo di SI maggiore dei flauti, col
violino solista sulla dominante FA# sovracuto, chiudono, sempre in pizzicato,
con tre DO gravi (ma guarda un po’, praticamente copiati dalla chiusura del Coriolano!)
Ha vinto quindi la Natura? Mah, Strauss sembra voler sfumare il concetto:
poichè il nostro orecchio fatica assai a distinguere, nel grave e in tripla p, un DO da un SI...
Palco
gremito come capita di rado (e Strauss avrebbe addirittura preteso di più...) e
prestazione maiuscola di tutti, Santaniello
in testa (per i suoi walzerini, haha...) che ha suscitato lunghe e meritate ovazioni.
3 commenti:
Caro Daland,
prendo atto che non si è dilungato nel recensire il pezzo di Strauss, limitandosi a dire che “ha chiuso in bellezza la serata”; e verso la fine aggiungendo “prestazione maiuscola di tutti”. A mio modesto, modestissimo avviso orchestra e direttore avrebbero dovuto provare di più il brano (certo, assai impegnativo) di Strauss. In ripetuti momenti di pieno orchestrale non c’era coesione, e ne usciva un suono caotico, ahinoi! Certo, il pubblico de la Verdi è sempre generoso e si lascia impressionare dai decibel, dunque applaude, però ….
Eccezionale invece il pianista. Non l’avevo mai visto/sentito, ma l’ho promosso a pieni voti!
P.S. Tornando a Strauss: io parlo della recita di domenica, ma non penso che venerdì fossero tutti più "riposati" e domenica "stanchi"!
Angelo
@Angelo
Grazie del commento: sì, alcuni passaggi dello Zarathustra tendono naturalmente al "caotico" e distinguere il caos "organizzato" (dal compositore) da quello realizzato dall'orchestra non è sempre facile! Non credo che domenica i ragazzi fossero più stanchi, anzi di solito la seconda o terza esecuzione migliora le cose... Mi pare che la precedente esecuzione fosse di qualche anno addietro (con Xian) e anche allora qualche imperfezione c'era stata.
A presto!
Senza dubbio alcuni "fortissimo" di questa Tondichtung suonano caotici proprio per come sono stati scritti, sicché è impossibile (forse anche per un musicista?) separare questo da un eventuale caos imputabile all'esecuzione. Ma le ultimissime misure sono lasciate praticamente solo ai flauti, e allora si capisce se l'orchestra è all'altezza della partitura o no. A me sembrava che le loro entrate non fossero precise, sentivo delle "sbavature" :-(
Angelo
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