Eccomi
quindi a riferire della seconda recita (ieri pomeriggio in un’OF
ben affollata - mentre pare che così non fosse alla prima di venerdi...) dell’alfaniana Risurrezione.
L’ascolto
della prima su Radio3 mi aveva
positivamente impressionato: non già per la qualità della musica, che è quella
che è... ma per quella degli interpreti (voci e strumenti) che mi era sembrata
di buon livello. E devo dire che l’ascolto dal vivo ha confermato
sostanzialmente questa impressione.
Anne
Sophie Duprels è
stata la regina della serata: voce abbastanza solida e corposa di soprano
lirico-drammatico, ha proposto una Katiusha convincente nelle tre
diverse prospettive nelle quali il personaggio si materializza: l’ingenua,
spaurita ma infine voluttuosa adolescente; la spoetizzata e involgarita
condannata-prigioniera; e infine la donna che trova la via della redenzione,
pur non rinnegando i suoi sinceri sentimenti legati al tempo dell’ingenuità.
Degna di apprezzamento la performance del tenore Matthew Vickers, un Dimitri a momenti spavaldo, oppure sconvolto
(la rivelazione del figlio perduto) o ancora sinceramente premuroso con
Caterina e leale con Simonson. La voce, che Alfano impegna spesso e volentieri
nell’ardua zona di passaggio, è
squillante e abbastanza ben proiettata, gli acuti sono staccati senza
problemi. I duetti con Caterina sono stati fra le perle della serata.
Il catto-comunista Simonson era Leon Kim, che ha affrontato a viso aperto una
parte baritonale per nulla facile, per quanto limitata al solo ultimo atto, mostrando
buona intonazione e sicurezza anche nelle impervie salite al FA e al SOL cui
lo chiama la partitura.
Applauditissima Romina Tomasoni, che ha incarnato la Matrena Pavlovna e (nel second’atto alla stazione) la fedele e premurosa Anna.
Francesca
Di Sauro (Sofia
Ivanovna) e Ana Victoria Pitts (sdoppiatasi in Korableva e Vera) hanno
completato il cast dei ruoi principali con pieno merito.
Benissimo il Coro di Lorenzo Fratini, di rilievo quantitativamente non debordante,
ma fondamentale, con interventi a bocca chiusa e a cappella. In più, alcune voci
femminili hanno ricoperto ruoli non marginali, in particolare nel terz’atto
della prigione.
Francesco Lanzillotta ormai non è più una promessa, e la sua concertazione ne è testimonianza, per accuratezza e costante ricerca del miglior equilibrio dei suoni di voci e strumenti. Poi, nei diversi passaggi puramente strumentali, il Direttore fa tesoro della lunga esperienza alla guida di Orchestre Sinfoniche.
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L’allestimento è affidato a Rosetta Cucchi, che si avvale delle scene - essenziali, ma di sicuro impatto - di Tiziano Santi e degli appropriati costumi di Claudia
Pernigotti. Le luci, ideate da D.M.Wood,
sono curate da Ginevra Lombardo e nella loro essenzialità ben supportano l’ambientazione
ora serena, più spesso cruda, dell’opera.
Approntata per un appuntamento irlandese, questa
messinscena si fa innanzitutto apprezzare per la fedeltà rigorosa (parlo della
sostanza) al testo originale: la storia che ci viene raccontata è precisamente
quella che esce dal libretto di Hanau. Dopodichè la regista ci deve mettere
qualcosa di suo, come l’apparizione in scena di una bimbetta che rappresenta la
Caterina nella sua infanzia spensierata; oppure ambientare il carcere in cui è
rinchiusa la donna in un laboratorio di cucito, con una selva di macchine Singer, la cui presenza nella Russia del
1880-90 è dubbia; o ancora mostrarci nel quarto atto i binari di una Transiberiana che era con tutta probabilità ancora di là da venire... e altre
cosucce francamente innocue, ecco. Assai efficace la resa dei personaggi e
delle loro interazioni. Mirabile ed emozionante, senza scadere nel banale, la
scena ultima, con l’apparizione di un luminoso paesaggio agreste nel quale si
incontrano la Caterina risorta e la
sua piccola controfigura.
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Che dire, in definitiva? Lo spettacolo è di ottimo
livello e l’accoglienza del pubblico è stata oltremodo calorosa. Insomma, un'azzardata scommessa (chè tale era e rimane) ampiamente vinta!
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