Quando a giugno 2011 andò
in scena questa produzione, Roméo-et-Juliette
di Charles Gounod mancava dalla Scala
da ben 77 anni. Adesso l’intervallo si è ridotto al 10%, a tardiva riparazione
dell’offesa...
La messinscena, come
detto, è la stessa del 2011, di Bartlett Sher,
prodotta in origine per Salisburgo e poi portata al MET e alla Scala. Anche uno
dei due protagonisti è quello di allora, Vittorio
Grigolo, questa volta affiancato nel suicidio di coppia da Diana Damrau. Avendo scritto qualcosa
sull’opera e sull’allestimento (versione,
posizionamento dell’intervallo, tagli e regìa) in quella sia pur lontana
occasione, vi
rimando gli interessati.
La
novità principale di questa ripresa è costituita, senza ombra di dubbio,
dall’esordio sul podio scaligero (quello della buca, chè quello sul palco già
fu calcato...) del rampante Lorenzo
Viotti. Devo dire che, a primo ascolto e a prima vista, il non ancora
trentenne rossocrociato (figlio d'arte, del padre Marcello, scomparso prematuramente nel 2005) mi ha fatto un’ottima impressione: gesto sicuro,
autorevole e mai gigionesco, attacchi precisi e manina sinistra à-la-Abbado (già copiata da Mariotti...)
per concertare al meglio chi sta sul palco. Attenzione alle sfumature e ai
dettagli della partitura. Insomma, perfetto? Beh, sarebbe troppo pretendere...
diciamo che di margini di miglioramento ne ha di sicuro, ad esempio imparare a
trattenere la foga in passaggi dove è facile cadere nel bandismo e nel fracasso
gratuito. In ogni caso, un esordio più che positivo, salutato da convinti
consensi di un pubblico insolitamente (!) folto.
Detto
dell’eccellente prestazione del coro di Casoni
e di quella per me perfettibile dell’orchestra (ottoni ma non solo) vengo alle
voci. Il Grigòlo (o Grìgolo o
Grigolò, fate voi, haha) mi aveva lasciato un po’ perplesso nel 2011, quando
però aveva 34 anni... oggi sono ancora perplesso, ma lui ne ha ormai 43.
Conclusione: diventerà mai davvero grande?
Per carità, mica fa schifo, sia chiaro, però, insomma, la presenza scenica è
come la bella presenza che si
richiede al commesso viaggiatore... ma poi non sempre è una condizione
sufficiente per raggiungere l’eccellenza dei risultati. Il controllo
dell’emissione mi pare sempre approssimativo e qualche ingolatura residua non
fa che tenere bassa, non molto oltre la sufficienza (oh, parere mio eh!) la
media.
La
Diana Damrau è una Giulietta
appropriata come timbro di voce, davvero sottile come si addice ad una giovanissima, peccato
che i centri siano poco udibili (un esempio: nelle agilità della sua arietta del primo atto si distingueva una sillaba su due, o
addirittura tre). Quindi anche a lei dò una sicura sufficienza, ma non mi
spingo oltre.
Un
qualche contrattempo deve aver impedito al titolare Nicolas Testé di proporsi come Frate Lorenzo: il sostituto Dan Paul Dumitrescu (presumibilmente
arrivato all’ultimo momento) ha fatto del suo meglio e va quindi lodato per aver
salvato la situazione. Frédéric Caton è stato un onesto Capulet, partito
bene ma poi un poco appannatosi: voce
quasi baritonale, che non si adatta perfettamente al personaggio. Anche l’altro basso, Jean-Vincent Blot (Duca) non ha
sfigurato. Mattia Olivieri ha ben
meritato come Mercuzio, avendo cantato con efficacia e bella voce baritonale la
sua lunga filastrocca della Regina Mab.
Ottima impressione mi ha fatto Marina Viotti (un caso quasi unico, essere diretta alla Scala dal fratellino!)
che ha sfoggiato una bellissima voce di mezzo
interpretando, en-travesti, il ruolo di Stéphano. Corretto il Tybalt di Ruzil Gatin, voce rossiniana, penetrante
e bene impostata. Cito ancora la Gertrude di Sara Mingardo, gli altri come da contratto sindacale.
Insomma, uno spettacolo godibile e di onesto livello
musicale, accolto da consensi praticamente unanimi.
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