Ieri pomeriggio al Regio (ahinoi non
proprio semivuoto, ma c’è mancato poco...) è andata in scena la terza delle
cinque recite di Violanta,
che il teatro torinese ha meritoriamente portato per la prima volta in Italia dopo un secolo abbondante dalla
comparsa a Monaco di Baviera (martedi 28 marzo, 1916).
Dico e affermo trattarsi di un’opera che
dovrebbe avere almeno (se non più...) la stessa considerazione (parlo di
cartelloni e pubblico) di una Cavalleria
o di una Fedora, per dire. E il
merito va soprattutto alla musica di
questo ragazzo diciassettenne che rivaleggia con i mostri sacri Strauss e Puccini,
e sovrasta di quache spanna musicisti (nostrani e non) che pure trovano
frequente ospitalità sulle nostre scene.
Musica che è stata assai bene illustrata
dalla direzione dell’ispirato Pinchas Steinberg,
che ha guidato un’Orchestra in ottima forma, capace di rendere al meglio le
atmosfere ora liriche, ora drammatiche che la partitura ci propone. Di ottimo livello
la prestazione del Coro di Andrea Secchi,
chiamato ad un compito più arduo a livello di qualità che di quantità, ma
assolto con grande profitto.
Le voci con luci ed ombre: Annemarie Kremer è una Violanta
invidiabile sul piano scenico (chi non sarebbe soggiogato dal suo fascino di femme-fatale?) e a corrente alternata su
quello strettamente vocale: acuti da autentico soprano drammatico, ma centri
debolucci... Michael
Kupfer-Radecky
assai efficace come Simone: voce ben impostata e potente, atteggiamenti
appropriati al personaggio di militare-tutto-d’un-pezzo
cui casca addosso il mondo senza che lui se ne dia una ragione.
Il principe-illegittimo, nonchè
dongiovanni, Alfonso è Norman
Reinhardt, che per la verità dovrebbe avere caratteristiche vocali quasi da Heldentenor, e invece ha una voce da
tenorino lirico, con scarsa proiezione: la sua è una prestazione non più che
discreta. Come quella del pittore gaudente Giovanni Bracca, interpretato da Peter Sonn.
Efficace e convincente Anna Maria Chiuri, una Barbara amorevole
e dolcissima nella sua ninna-nanna a Violanta. Gli altri comprimari (vedi
locandina) tutti all’altezza dei rispettivi compiti.
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Il venerabile PierLuigi Pizzi firma un’allestimento (regìa,
scene e costumi, più le luci di Andrea
Anfossi) davvero degno della sua fama: scena fissa, come pretende il
libretto (la sala del palazzo di Simone sulla Giudecca) arredata solo con un paio
di sofà e un tavolino, con un’enorme apertura circolare sul fondo, che dà sull’...
infinito (la laguna dove transitano gondole e dalla quale arrivano le voci del
carnevale). Costumi di inizio ‘900 (uniformi miitari di Simone e sottoposti) e
di mascherine; un abito lungo, sberluscicante e attillatissimo-scollato di Violanta a valorizzarne
il prorompente sex-appeal; Alfonso
vestito (ma è in maschera anche lui!) da Papageno (metafora del galletto che si
fa tutte le gallinelle?) Recitazione assai curata in ogni dettaglio.
Insomma, uno spettacolo di
alto livello che il pubblico degli affezionati ha salutato con gran calore. Chi
appena può non trovi scuse per mancare una delle ultime due recite!
(Ora però devo partire per Bologna
dove, oltre a Salvini, incombe... Tristan!)
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