Ancora musiche da balletto nel nono Concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Sul podio il redivivo Stanislav Kochanovsky, orami vecchio ospite dell’Auditorium. Quasi naturale che il programma sia monopolizzato da autori russi (o ukraini, nella fattispecie, ma di un’epoca dove fra i due popoli c’erano rapporti un filino meno tesi rispetto ad oggi...)
E
come per il concerto precedente, anche qui si doveva aprire con il romantico
per antonomasia (Ciajkovski) e chiudere con un moderno, Prokofiev. Ma il
Direttore russo ha pensato (bene?) di servirci in tavola per primo il piatto… salato,
e poi quello dolce (con brindisi finale…)
E
così ecco subito la Suite da un balletto (1915-20) dell’ukraino del Donbass (ma
nato sotto lo Zar) Prokofiev, balletto e musica che non hanno
francamente avuto molta fortuna negli anni: La storia del buffone (Chout).
È basata su un racconto di Afanasiev che mescola ingredienti di fantastico, surreale, orrido, macabro e
sarcastico (a dir poco…); quindi l’ideale per stimolare la fantasia di un
musicista di belle speranze come Prokofiev, desideroso di mettersi in mostra e
far carriera in Russia e nel mondo, partendo da Parigi.
La Suite consta di 12 numeri, è abbastanza corposa (circa 38’ contro i 55’ del balletto integrale in 6 Quadri e 5 Intermezzi, quindi quasi i 2/3) ed è ottenuta per parziale sfrondamento della partitura del balletto, più qualche ritocco, come il riutilizzo di parti di Entr’acte, o raccordi e cadenze. (Qui riporto una schematica ma dettagliata visione della struttura delle due opere, con le parti colorate a rappresentare il riutilizzo di brani del balletto nella suite.)
A differenza, per dire, di Romeo e Giulietta (arrivato peraltro quasi 20 anni dopo) la cui musica si può benissimo godere integralmente anche senza la coreografia, qui francamente le sole note lasciate a se stesse finiscono per creare più di qualche problema, come si può ad esempio verificare in questa registrazione di Gennadi Rozhdestvensky. Dove si avverte una certa ripetitività di stilemi che finisce – in assenza di immagini di danza, appunto – per diventare piuttosto stucchevole e persino noiosa.
Viceversa nella Suite (qui Neeme Järvi) la maggior concisione garantisce al brano scorrevolezza e varietà di accenti tale da migliorarne assai la godibilità.
Certo, rispetto al Lago ciajkovskiano c’è un filino di differenza, come del resto è capitato una settimana fa con l’Uccello di Stravinski arrivato dopo lo Schiaccianoci…
Perché una e non la Suite? Perché Kochanovsky (non è il primo né l’ultimo a farlo…) ha scelto una sequenza di numeri del balletto che differisce assai da quella che fu proposta dalla pubblicazione postuma di Jurgenson, e precisamente presenta questi 8 numeri:
Kochanovsky
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Jurgenson
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1. Introduzione
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1. N.10 Scena (Atto II)
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2. N. 1 Scena n.1 (Atto I)
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2. N. 2 Valse
(Atto I)
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3. N. 5 Passo a Due parte I (Atto I)
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3. N.13 Danza dei cigni parte IV (Atto II)
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4. N.10 Scena (Atto II)
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4. N.13 Scena (Danza
dei cigni parte V - Atto II)
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5. N.11 Scena (Atto II)
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5. N.20 Danza ungherese. Czardas (Atto III)
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6. N.13 Danza dei Cigni
parte V (Atto II)
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6. N.28 Scena
(Atto IV)
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7. N.28 Scena (Atto IV)
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8. N.29 Scena Finale
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Personalmente
in questo collage sento la mancanza (rispetto alla versione Jurgenson) del
grandioso n°2 del primo atto (Valse)… ma pazienza,
ecco.
Esecuzione comunque trascinante e gran trionfo assicurato. Così Direttore e Orchestra ci congedano con un numero-extra del balletto, il n°21 del terz’atto, Danza Spagnola.
Si replica domani alle 16.
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