Sta
finalmente arrivando alla Scala la Médée originale (o
almeno così la si promette) del 1797 (la prima data a Parigi, Théâtre Feydeau, il 13 marzo) dopo che in
passato (due sole volte, per la verità) al Piermarini era sempre stata eseguita
la versione spuria in lingua italiana resa celebre dalla divina Maria Callas
(1953 con Bernstein e 1961 con Schippers).
L’originale di Cherubini è in lingua francese (testi di François-Benoit Hoffmann) ed è un Singspiel (detto alla tedesca) in piena regola, cioè costituito da scene musicate alternate a dialoghi parlati (nella fattispecie in raffinato metro alessandrino, non in prosa usuale). Non per nulla tale Beethoven ne fu entusiasta, prendendolo a modello per il suo Fidelio!
Opera che si situa sullo spartiacque fra classicismo e romanticismo: vi si distinguono il lascito di Gluck e (fin dall’attacco dell’Ouverture) i prodromi di Weber.
Come succederà più tardi a Bizet e alla sua Carmen (originale in musica + parlato, come imposto obbligatoriamente dal capitolato tecnico di un’opéra-comique) che per l’esportazione verrà ritoccata da Guiroud (recitativi musicati a sostituire i dialoghi parlati) anche la Médée fu sottoposta a trattamento analogo per renderla meglio fruibile fuori di Francia.
Così nel 1855 in Germania, oltre alla traduzione del testo in lingua crucca, il Direttore Franz Lachner pensò bene di sostituire i dialoghi con recitativi da lui musicati (che con Cherubini c’entrano precisamente come i cavoli con la merenda…)
Nel 1909 l’intero pacchetto-Lachner venne poi tradotto in italiano da Carlo Zangarini: ed è in questa forma assolutamente spuria che ancor oggi si esegue la Medea nella nostra lingua. E così la cantò Callas, non solo alla Scala, ma anche in altre quattro occasioni (in teatri o sale di incisione).
Ed in effetti la cosa paradossale – vedi un po’ come va il mondo… - è che la versione inquinata è proprio quella che diventa celebre ovunque: vale per la Carmen adulterata da Guiraud, e vale per la Medea di Lachner, come anche per il Boris rimaneggiato da Rimski!
In anni (o decenni, ormai) recenti anche Médée ha goduto di un trattamento di rivitalizzazione, materializzatosi in esecuzioni della versione originale, come quella di Martinafranca del 1995 (Fournillier sul podio e Iano Tamar protagonista); oppure questa assai interessante (per lo sdoppiamento degli interpreti, fra cantante ed attore) messa in scena a Compiègne nel 1996 e poi portata in film (ahinoi di non eccelso livello e con qualche taglio di troppo…); e infine questa americana del 1997.
Più recentemente (2012) il compianto barocchista Alan Curtis ha realizzato (per l’edizione critica di Heiko Cullmann presso Simrock) una versione musicata dei dialoghi: questa versione fu presentata nel 2015 a Ulm e proprio poche settimane fa è stata ripresa con grande successo a Madrid.
Poi c’è chi – Krzysztof Warlikowski - ha sperimentato (2008 a Bruxelles, ripresa nel 2011 anche a Parigi) una soluzione ibrida, sostituendo i versi alessandrini dei dialoghi di F-B Hoffmann con testi in prosa moderna.
La Scala: cosa ci offrirà il trio
Meyer-Gamba-Michieletto? Il numero di gennaio della Rivista del Teatro ci dà qualche
importante anticipazione. Tanto per cominciare, è categoricamente escluso che
si tratti proprio della versione francese del 1797: non ascolteremo infatti i dialoghi
parlati originali (e ciò potrebbe già far tirare un sospiro di sollievo a
molti…); al loro posto, Michieletto e il drammaturgo Mattia Palma (collaboratore
editoriale del Teatro) ci hanno preparato interventi – parlati, c’è da giurarci, ma in francese? - dei due figlioletti di Médée. Di loro, nell’originale di Hoffmann si sente ovviamente
parlare, ma compaiono (senza peraltro aprir bocca e menchèmeno il… cervello)
soltanto alla fine del dramma; in Euripide pronunciano non più di due frasi smozzicate… Quindi ci rappresenteranno (come si dovrebbe
immaginare) la loro visione di Michieletto-Palma della vicenda e del suo
procedere (!?)
In ansiosa attesa di assistere (per giudicarlo) al prodotto finito scaligero, mi permetto di proporre, proprio a futura memoria, il testo del libretto (originale francese e traduzione italiana, non di Zangarini) che evidenzia chiaramente le parti parlate da quelle musicate. Da notare che l’aria di Jason del primo atto (Eloigné pour jamais d’une épouse cruelle) non era presente nel libretto stampato in origine, e fu evidentemente aggiunta in seguito. Un’altra curiosità riguarda la scena finale dell’opera: sulla partitura, dopo l’ultima esternazione di Medea, questa viene descritta librarsi in aria mentre dal tempio si alzano le fiamme. Nel libretto invece Medea sprofonda in un abisso dal quale si sprigiona poi l’incendio:
partitura
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libretto
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Medea
Più felice di te io me ne vado volando nell'aria! (Con queste parole ella si invola nell’aria. Una esplosione di fuoco esce dal tempio e si diffonde dappertutto. Il popolo cerca di salvarsi in ogni dove. Il temporale si fa sentire e continua
fino alla fine.) |
Médée
Plus heureuse que toi je m’en vais dans les airs! (À ces mots, elle s’élève dans les airs. Un gouffre de feu sort du temple et se communique partout. Le peuple cherche à se sauver de toutes parts. Le tonnerre se fait entendre et
continue jusqu’à la fin.)
|
Medea
Più felice di te io me ne vado nell'Inferno! (Con queste parole ella si inabissa con
le tre Eumenidi che la trascinano. Fiamme escono dalla voragine dove essa è
precipitata. Il fuoco si estende al tempio e al palazzo. Scoppia un
temporale. Alla fine il tempio con la montagna stessa crolla e si inabissa.
Il popolo afferra Giasone e lo trascina via. Il temporale si fa sentire e
continua fino alla fine.)
|
Médée
Plus heureuse que toi je m’en vais
dans les enfers! (À ces mots, elle s’enfonce
avec les trois Euménides qui la saisissent. Des flammes sortent du grouffe ou
elle est descendue. Le feu se communique au temple et au palais. La tonnèrre éclate. Enfin le
temple, la montaigne meme s’écroule et s’abime. Le peuple soisit Jason et
l’entraine. Le tonnerre se fait entendre et continue jusqu’à la fin.) |
Infine, il libretto contiene un’ultimissima didascalia, assente nella partitura:
(Quando il coro e
Giasone sono usciti di scena il palazzo crolla del tutto. L’intera scena è in
fiamme e non si vedono che rovine e incendi.)
|
(Quand le choeur
et Jason sont sorti de la scène, le palais achève s’écrouler. Tout le théatre
est en feu, et n’offre plus que ruines et incendie.)
|
La
corposa Ouverture è in forma
sonata (con alcuna licenza…), nella tonalità d’impianto di FA minore. I
due canonici temi hanno – appropriatamente, per richiamare i due aspetti (crudo
e sentimentale) del soggetto – caratteristiche contrastanti: severo e
drammatico il primo, più lirico il secondo (28”). Il primo tema,
subito esposto a piena orchestra, anticipa l’atmosfera del weberiano Freischütz
(la gola del lupo, pure ripresa nell’ouverture di quell’opera). La struttura,
invero originale, prevede una seconda esposizione dei due temi (1’14”)
nelle tonalità relative (FA maggiore e LAb maggiore) con il secondo riesposto (1’53”)
in forma assai ampliata. Lo sviluppo (3’32”), relativamente
breve, è incentrato sul primo tema, esposto in diverse tonalità (LAb maggiore,
SIb minore, DO minore e infine FA minore). La ripresa (4’27”) ripete
il secondo tema dalla seconda esposizione, ma in FA maggiore, quindi chiude con
il primo tema (6’13”) nel canonico FA minore, con una
melodrammatica cadenza finale.
Chiusa l’Ouverture, il sipario si alza sul palazzo di Créon, dove la figlia Dircé si esibisce (7’41”) in un pezzo d’insieme (Quoi? Lorsque tout s’empresse à remplir vos souhaits) in SIb maggiore, ma con inflessioni malinconiche, con le due confidenti ad altre ancelle. Invece di gioire per le imminenti nozze con il grande Jason, la principessa ha oscuri presentimenti sul suo futuro: lui ha già tradito la madre dei suoi figli, potrebbe riservare anche a lei lo stesso trattamento? Le ancelle cercano di rincuorarla e lei, dopo un recitativo accompagnato (16’01”, Je cède à ta voix consolante) che modula a DO maggiore, canta, fra svolazzi del flauto iniziati già durante il precedente recitativo, la sua moderatamente ottimistica aria Hymen! viens dissiper une vaine frayeur.
Classica aria tripartita, dove Dircè dapprima (17’01”) e sempre in DO maggiore, invoca la benedizione sul suo prossimo matrimonio; poi (18’03”) con passaggio alla dominante SOL maggiore e divagazioni (19’02”) a LAb e LA maggiore, si augura che il destino e gli dèi tengano lontana da lei la perfida e vendicativa Médée. L’aria si chiude (19’40”) con il ritorno a DO maggiore per la ripetizione dell’invocazione iniziale, qui abbellita da virtuosismi e colorature, e seguita dalla cadenza conclusiva.
Ecco poi (22’30”) il primo passaggio parlato:
Créon teme che i figli di Pélias, per vendicare il padre ucciso da Médée, la
stiano inseguendo fin lì per uccidere lei e i suoi figli. Il Re promette a
Jason di difendere i suoi piccoli e Jason prima che inizi la musica del
corteo fa consegnare alla promessa sposa, come
doni di nozze, il Vello d’oro e il resto del bottino degli Argonauti. Ed ecco appunto
(23’50”) la marcia con coro
(RE maggiore e dominante LA) in onore di Dircè.
Ma durante la sfilata in suo onore (24’59”, Belle Dircé) la giovane principessa è nuovamente assalita da foschi presagi, espressi in un breve recitativo accompagnato (26’58”, ô funeste présage!) che induce anche Jason a preoccuparsi. In un nuovo passaggio parlato (27’12”) è Créon a chiedere ragione alla figlia della sua tristezza, al che lei confida a Jason tutti i suoi timori su Médée, mentre lui cerca di rassicurarla cantandole la sua aria Eloigné pour jamais d’une épouse cruelle, in LA maggiore.
È in forma di rondò, aperta (29’08”)
dal ritornello su cui Jason si felicita del nuovo corso della sua esistenza,
dopo la parentesi dell’infelice matrimonio. Seguono le brevi strofe, dove Jason
si dice certo che il nuovo legame con lei sarà imperituro e, sull’ultimo
ritorno del motivo principale, le giura eterna fedeltà.
Senza soluzione di continuità, modulando provvisoriamente alla sottodominante RE, si passa (33’01”) ad un recitativo accompagnato di Créon (Ah! c’est trop s’occuper d’un présage funeste) che introduce (33’42”) il successivo concertato (Dieux et Déesses tutélaires) in FA maggiore, aperto da una nobile, commovente perorazione del Re, che invoca gli dèi perchè benedicano il matrimonio, garantendo felicità agli sposi e a se stesso. Il coro (36’03”) modulando alla dominante DO, ribadisce queste implorazioni e questi auspici. Ora, accompagnati da volute dell’oboe solo, in atmosfera di Re minore, sono Jason e Dircè (37’26”) a promettere di amarsi eternamente. Il coro (39’01”) torna al maestoso FA maggiore per invocare solennemente benedizione e felicità per gli sposi.
Ma la serenità della corte di Corinto è solo momentanea, poichè – dando inizio (41’07”) ad un interminabile parlato che copre ben tre scene del primo atto - un corifeo (nel libretto: il comandante delle guardie) entra ad annunciare l’arrivo di una misteriosa donna, sedicente sacerdote di Apollo, che viene per benedire gli sposi. Trattasi (come non immaginarlo!) proprio di Médée, che ben presto si palesa, fra la costernazione generale. Abbiamo qui un primo drammatico confronto, fra la donna e Créon, che minaccia di cacciarla dal suo regno e poi (45’24”) in una nuova aria con pertichini di Dircé e del coro delle ancelle (C’est à vous à trembler, Femme impie et barbare!, un cupo e agitato SI minore, a distanza di tritono dal solenne FA della cerimonia) assicura la figlia che Médée sarà punita come si merita. Davvero imperiosa (45’48”) e spaventevole la minaccia di morte che il Re muove all’intrusa!
E un nuovo e ancor più drammatico scontro, ancora in parlato, ha ora luogo (48’27”) protagonisti Médée e Jason, che si rimpallano le accuse: di tradimento, lei; e di atrocità, lui. A questo punto Médée canta (51’25”) la sua prima grande aria Vous voyez de vos fils la mère infortunée, aria tripartita, con una prima parte in FA maggiore, una dolce melodia che mostra il lato sensibile della personalità della protagonista che ricorda tutto l’amore e tutto l’aiuto che lei gli ha dato per una vita, venendo poi, per tutta ricompensa, da lui abbandonata. La seconda parte (53'34”, in LAb maggiore, poi con alcune modulazioni) è occupata dai bei ricordi di gioventù, prima che l’incontro con Jason cambiasse radicalmente la sua vita. Infine (ritorno alla melodia iniziale in FA, 54’54”) Médée si inginocchia ai piedi dello sposo e lo implora di tornare con lei, restituendole la gioia dei figli.
Il battibecco fra i due, ormai un
muro-contro-muro, si chiude (56’50”) con un nuovo, duro passaggio parlato,
cui segue (58’49”)
il lungo, drammatico duetto (Perfides
ennemis, qui conspirez ma peine). In tonalità di MI minore è
Médée a portare la sua minaccia contro chi la sta offendendo con questo
matrimonio, che lei non consentirà si faccia. Jason sembra impaurito e invoca
gli dèi perché fermino quella furia. Modulando a DO maggiore (1h00’17”)
ecco la comune imprecazione (cantata in contrappunto!) contro quel fatal Vello
che fu causa di tutte le loro sventure. Da qui, tornando a MI minore, si
sviluppa un agitato susseguirsi di reciproche minacce, dove i due alternano le rispettive imprecazioni ed invocazioni
agli dèi alla comune maledizione del Vello. Una pesante cadenza a piena orchestra
pone fine all’Atto primo.
L’Atto secondo si apre con
una breve (sole 79 battute) ma drammatica introduzione
strumentale. Nella cupa tonalità di DO minore evoca parossisticamente
la tempesta che ormai alberga nel cuore di Médée, più che mai decisa ad andare fino
in fondo al suo disegno di vendetta.
Siamo nel palazzo di Créon ed assistiamo inizialmente (1’47”) a scene di solo parlato, la prima delle quali vede protagonista assoluta Médée, che sfoga tutto il suo amaro, feroce risentimento di moglie tradita contro Jason e contro chi (la rivale Dircé e suo padre Créon) ha distrutto la sua vita: invoca quindi tutte le divinità infernali perché la aiutino ad annientare i suoi nemici.
Arriva poi la fida Néris per annunciarle che il Re e tutto il suo popolo le stanno dando la caccia. E proprio allora sopraggiunge Créon, che le intima di lasciare il paese, per non subire il meritato castigo. Médée risponde che lei è una vittima, e chiede ragione dell’esilio che le viene imposto. Créon le confessa di temere i suoi poteri e la sua vendetta, conoscendo bene ciò di cui è stata capace in passato. Ma lei ribatte che senza i suoi crimini oggi Jason non sarebbe lì come il benvenuto, a chiedere la mano di Dircé e ad offrirle in dono il bottino delle sue imprese.
Torna ora finalmente la musica (7’59”), con un lungo concertato
in MIb (Ah! Du moins à Médée accordez un
asile) protagonisti Médée, Créon, Néris e le guardie del Re. Una
convulsa figurazione (ascendente-discendente) apre il concertato, anticipando
le secche risposte negative di Créon alle suppliche di Médée. La quale cerca in
tutti i modi (9’00”) di convincere il Re a consentirle di rimanere lì a fianco dei
suoi figlioletti. Ma Créon sembra irremovibile, spalleggiato dalle sue guardie.
Nel frattempo la tonalità è stata oggetto di divagazioni (RE e LAb maggiore). Néris
(10’52”)
cerca di placare l’ira di Médée, che passa
alla tattica dell’implorazione (12’48”)
supplicando Créon di concederle almeno un solo giorno di vicinanza con i figli,
prima di andarsene per sempre. Dapprima titubante, il Re poi (14’56”)
acconsente a malincuore, mentre Médée (tornando
al MIb) già pregusta la vendetta.
Adesso è Néris a prendere la scena,
manifestando tutta la sua pena per la triste sorte che aspetta la sua padrona,
dapprima (18’52”)
con un breve parlato,
poi con la sua grande aria (19’40”, Ah! nos peines seront communes). La apre uno stupefacente recitativo di 27 battute del fagotto
solo, che insedia la tonalità di impianto di SOL minore. Néris dichiara la sua
totale fedeltà alla padrona. Poi (21’47”) modulando alla relativa SIb maggiore, le assicura che la
seguirà fino alla morte. Torna a SOL minore (22’42”) per constatare lo stato di prostrazione di Médée, poi da qui
vira fugacemente a RE maggiore, chiedendosi chi potrebbe trattenere il pianto
di fronte al suo destino. Finalmente riprende il SOL minore (23’09”) con la reiterazione dell’impegno della schiava a seguire la
padrona fino alla morte.
A questo punto (26’46”) abbiamo un altro corposo parlato, che inizia con Médée che medita la sua vendetta e Néris che la osserva sempre più angosciata. Poi Médée esplode nella sua folle idea: uccidere insieme Jason, Dircé e Créon! Proprio allora compare Jason e assistiamo al duro scontro con la moglie abbandonata: lui cerca di ammansirla, ma alla richiesta di lei di avere con sé i figli, oppone un deciso diniego
Qui Médée pone in atto il suo diabolico disegno
(32’59”): in un duetto con
Jason (Chers enfants, il faut donc que je
vous abandonne!) in tonalità di RE minore, tutto caratterizzato
dalla di lei subdola ipocrisia, finge di accettare il suo infausto destino. Con
un canto tutto spezzato, come singhiozzante, ricorda i bei tempi andati,
provocando in Jason un misto di pietà, di rimpianto e di strazio, e così aprendo
un varco nel cuore di lui, che le concede (34’35”) di rivedere i figli prima di andare in esilio. A parole lo
ringrazia del favore, ma dentro di sé già prefigura il dolore che ha deciso di
infliggergli. Jason sembra addirittura preoccuparsi del di lei futuro, le
promette persino (37’05”) di pregare per lei, durante il rito che Créon si appresta a
celebrare nel tempio. Lui è sinceramente addolorato, mentre lei dentro di sé
gli giura che pagherà caro il suo tradimento.
Partito Jason (40’00”) riprende ora il parlato e Mèdée rivela a Néris il suo piano: donerà a Dircé un preziosissimo abbigliamento nuziale, impregnato di velenosi profumi che la uccideranno.
Eccoci ora al solenne finale
dell’Atto secondo (41’54”). Il fondo
della scena è occupato dal tempio e una banda dietro le quinte accompagna il
corteo nuziale; al proscenio, Médée e Néris commentano (parlando) la
scena. La marcia con coro (Fils de Bacchus, descend des Cieux) che
anticipa quasi il Lohengrin, si apre in FA maggiore, con invocazioni a Bacco,
mentre Médée sarcasticamente se ne compiace. Attacca ora (44’38”) una sezione in LA maggiore, con il coro che benedice le nozze,
interrotto dall’imprecazione di Médée, che si auto-benedice. Riprende il coro,
poi un subitaneo passaggio a DO maggiore (46’56”) introduce Créon e Dircé, che implorano felicità agli dèi (Médée
interviene per offrire un diadema alla sposa). Si aggiunge a loro anche Jason,
che chiede agli dèi protezione per i suoi figli (Médée commenta con una
maledizione). Il coro riprende (48’15”) in FA maggiore e ancora Médée (in DO) si interpone per reclamare
la fede di Jason. Infine il coro inneggia ai giuramenti degli sposi e Médée vi
aggiunge il suo: la tremenda vendetta!
Con ciò, come un’invasata, mentre l’orchestra chiude con una melodrammatica cadenza, si slancia sull’altare, afferra un tizzone ardente ed esce dal tempio agitandolo nell’aria.
L’Atto terzo è aperto da un’introduzione strumentale, in tonalità di RE minore, con squarci nella relativa FA maggiore. Come avvertono la didascalia del libretto e le note in partitura, siamo sulla montagna che sovrasta il palazzo di Créon e il tempio. È ancora notte, atmosfera da tregenda: dopo una cupa introduzione, che evoca sordi e lontani brontolii, ecco scatenarsi gli elementi: è l’ottavino a gettare i primi sinistri lampi del temporale. Si tratta di una tempesta materiale ed allo stesso tempo della tempesta psicologica che si agita nella mente di Médée, che si vede scendere dalla montagna e dirigersi verso il palazzo dove sono nel frattempo entrati Néris e i suoi due figlioletti per consegnare l’abbigliamento nuziale (avvelenato) per Dircé.
Médée arriva sul posto impugnando un pugnale e in parlato (6’25”) si prepara ad attendere i due figli, per ucciderli come castigo per Jason e i suoi protettori. Mentre albeggia sopraggiunge appunto Néris con i bambini, che incita ad abbracciare la madre. La quale si invece schermisce, poi li stringe a sé, lasciandosi sfuggire di mano il pugnale: Néris comprende le sue intenzioni e ne rimane inorridita.
Ora Médée ha come un ripensamento e lo
esprime (9’01”) nella sua aria (Du trouble affreux qui me dévore) in MIb
maggiore con parte centrale nella dominante SIb. Nella prima parte dell’aria –
assai accorata - Médée sembra pentirsi della sua decisione. Poi il tempo si
agita, si passa a SIb (10’40”) e
Médée chiede agli dèi di aiutarla ad evitarle quell’insano gesto che meditava.
Ma ben presto il pensiero cade su Jason, il fedifrago, e così ritorna in lei la
decisione più drastica e orribile, confermata nella terza parte dell’aria (12’25”), ancora in MIb.
Inizia qui (13’36”) un nuovo parlato: Néris cerca di convincere la padrona ad accontentarsi della vendetta verso Jason: Dircè ha appena indossato l’abito nuziale che l’avvelenerà! Médée non è più padrona delle sue azioni, così prega Néris di portare i bambini nel tempio.
Siamo ormai giunti al finale dell’opera. Rimasta sola (15’42”) in un lungo recitativo accompagnato (Eh quoi, je suis Médée et je les laisse vivre!) in RE minore (FA maggiore) Médée si pente di aver allontanato i figli; poi (modulando di un tritono, a LAb maggiore) si vergogna di provare sentimenti materni, abbandonando però i figli alla mercè di un padre fedifrago. La tonalità passa a RE maggiore e il recitativo sfuma direttamente (18’38”) nella grande aria O Tisiphone! Implacable Déesse!
Dapprima Médée chiede alla dèa di soffocare
i suoi sentimenti di umanità e di farle ritrovare il pugnale; poi, modulando a
LA minore/maggiore, si ridà animo per compiere il fatale gesto verso i figli. Chiude
in RE maggiore ripetendo l’appello iniziale a Tisifone.
Dal tempio (21’30”) arrivano
grida e lamenti: è Dircé che sta morendo, in preda agli effetti del veleno.
Jason (22’41”) si dispera per la sorte della sposa, ma Médée in
un recitativo accompagnato (23’42”) gli ricorda che i figli sono
ancora in suo potere e corre nel tempio per ucciderli.
Jason e il popolo la seguono per impedirle il delitto, ma Néris (26’27”) arriva inorridita e annuncia che Médée sta ormai per sopprimere i bambini. Jason si slancia nel tempio per fermarla, ma la donna (26’50”) esce, circondata dalle Eumenidi, impugnando ancora il pugnale insanguinato: i bambini sono stati sacrificati come vendetta per il suo tradimento! Jason, distrutto, la implora di lasciarle almeno vedere le piccole salme, ma Médée lo maledice, gli indica la sua meritata pena: vagare disperato nel mondo, mentre lei si librerà nell’aria per poi attenderlo negli Inferi.
Detto ciò si invola, mentre lingue di fuoco escono dal tempio (29’35”). Tutti fuggono per portarsi in salvo e l’opera si chiude con un generale sentimento di orrore. L’orchestra suggella il dramma con pesanti accordi di RE minore.
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