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16 dicembre, 2017

laVerdi 17-18 – Concerto n°9


Sul podio de laVerdi torna il violista-direttore Maxim Rysanov, per dirigervi un concerto (quasi) tutto mozartiano.

L’eccezione è il pezzo che apre la serata, Fratres del compositore estone Arvo Pärt, brano di cui viene eseguita qui una delle innumerevoli versioni succedutesi negli anni (a partire dal 1977): quella per archi e percussioni.

Ad un ascolto passivo si rimane piacevolmente coinvolti dalla nobile spiritualità del brano, la cui agogica resta immutata per tutto il tempo (circa o poco più di 10') e dove la dinamica ha un picco poco dopo la metà del percorso. Sempre al primo ascolto si noteranno il continuo bordone di violoncelli e contrabbassi (una quinta vuota grave LA-MI) e i reiterati interventi delle percussioni (clave / tomtom o grancassa coperta) sempre sul primo, terzo e quarto tempo di due battute di 6/4 ad anticipare la melodia degli archi alti (e poi dei celli); cosa che si ripete precisamente per nove volte, semplicemente mutando le altezze dei suoni (la prima nota parte da MI e poi, nelle successive riprese, scende di terza minore o maggiore, quindi: MI-DO#-LA-FA-RE-SIb-SOL-MI-DO#).

Quanto alla melodia (escludendo quindi le due battute affidate alle sole percussioni) essa si snoda su 6 battute suddivise in due blocchi di 3: nel primo blocco viene esposto il tema, a sua volta creato per arricchimento successivo (4 note nella prima battuta in 7/4, 2 note in più nella seconda in 9/4 e altre 2 note in più nella terza in 11/4); il secondo blocco di 3 battute ripresenta il tema in forma cancrizzante, dove cioè in ogni battuta le note si succedono in sequenza retrograda rispetto all’originale:

Il tutto ci dà l’impressione di un imperturbabile fluire sonoro che trasmette oniriche sensazioni di pace.

E invece, guarda un po’, dietro tutto questo c’è nientemeno che una costruzione scientifica, un’invenzione di Pärt, basata su ciò che lui ha battezzato tintinnabuli. In parole povere, la melodia principale viene accompagnata, nota per nota, da una nota (tintinnabuli, appunto) di una triade caratteristica del brano (nel nostro caso: LA minore, LA-DO-MI). Le note tintinnabuli stanno in altezza sopra o sotto la nota della melodia e possono essere solo due note della triade: quella più vicina o la seconda più vicina a quella della melodia, evitando però consonanze e aspre dissonanze. Ecco qui un esempio preso dalla partitura (battuta 5):

In questo caso (e per l’intero brano) la melodia è suonata da due strumenti a distanza di una decima (MI-DO# sulla prima nota della battuta) e i tintinnabuli sono posti sempre ad altezza intermedia fra quelle delle due note di melodia, secondo la regola esposta. Quindi sulla prima nota (MI-DO#) ecco comparire un LA, che è la nota della triade di LA minore più vicina alle note di melodia DO# e MI (qui il LA è scartato perchè consonante e il DO è scartato per non creare dissonanze con il DO#). Sulla seconda nota (RE-SIb) abbiamo il MI, che permane anche sulla nota successiva (DO#-LA). Segue il DO (su SIb-SOL) e così via.

Proviamo a seguire l’esecuzione di questa versione 1983-1991, diretta da un compatriota dell’Autore, il più giovine rampollo della gloriosa famiglia Järvi:

0”  primo intervento percussioni
13”  prima esposizione tema (parte 1) dal MI
46”  prima esposizione tema (parte 2)
1’16”  secondo intervento percussioni + tema dal DO#
2’33”  terzo intervento percussioni + tema dal LA
3’49”  quarto intervento percussioni + tema dal FA
5’06”  quinto intervento percussioni + tema dal RE
6’19”  sesto intervento percussioni + tema dal SIb
7’35”  settimo intervento percussioni + tema dal SOL
8’53”  ottavo intervento percussioni + tema dal MI
10’21”  nono intervento percussioni + tema dal DO#
11’59”  intervento percussioni di chiusura

Insomma, Pärt ha inventato un metodo compositivo che tende a garantire sempre una stabilità (ed una gradevolezza) armonica; al contrario, per dire, del metodo seriale, che tale stabilità e gradevolezza esclude di fatto.

Per le nostre orecchie (beh no, parlo per me) molto meglio questo Pärt... E ieri sera Rysanov e l’Orchestra ci hanno offerto un’esecuzione invero coinvolgente, dosando perfettamente l’arco delle dinamiche, dal pianissimo iniziale, al limite dell’udibilità, al forte dell’apice sulla sesta ricorrenza, al nuovo pianissimo che chiude il brano.
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Poi, tutto Mozart, come detto. Si parte con la celeberrima Concertante K364 per violino e viola, in cui Rysanov (rientrato in... maniche di camicia) è affiancato dal violino dell’Artista residente Domenico Nordio. Una coppia strepitosa, che ci delizia con quel continuo botta-e-risposta che caratterizza i tre movimenti del brano. Un’Invenzione di Bach corona la loro prestazione, accolta trionfalmente. 
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Dopo la pausa, ancora Nordio nel Quinto Concerto per violino, il più noto ed eseguito dei 5 composti da Mozart, chiamato turco per quel passaggio - appunto, da turcheria – incastrato nel Menuetto finale. Ma anche il primo movimento contiene una... stranezza, con una sezione in Adagio calata inopinatamente nel bel mezzo dell’Allegro aperto.

Nordio ne dà una lettura esemplare, ben supportato da Rysanov e dall’Orchestra, meritandosi a sua volta ovazioni ripagate ancora con Bach.
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Si chiude in bellezza con la K543, la prima del trittico sinfonico con cui Mozart diede l’addio a questo mondo... Rysanov – sempre senza bacchetta – l’affronta col dovuto cipiglio, non risparmia nessun da-capo, nemmeno nel Finale, e i ragazzi (guidati ieri da Dellingshausen) rispondono da par loro. 

Insomma, una serata da incorniciare per chiudere il 2017. A cavallo di Capodanno tornerà l’immancabile Nona.     

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