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08 novembre, 2017

Il Nabucco di Abbado (D.) recidivo alla Scala


A quasi 5 anni dalla sua prima apparizione, è tornato in Scala a far danni - mia convinzione - il Nabucco firmato da Daniele Abbado. Per quanto riguarda i danni, confermo ogni mio rilievo alla regìa, mosso in quella occasione: una regìa che sa di documentario rievocante la sofferenza del popolo ebraico vittima della Shoah, ma che poi, per non cadere nel grottesco (poichè coerentemente Nabucco dovrebbe allora vestire i panni di Hitler) si sposta su scenari di conflitti di natura sindacale (Nabucco = padrone delle ferriere) che con le vicende dell’Olocausto (e con il soggetto originale) ci stanno come i cavoli a merenda: caso più unico che raro di incoerenza al quadrato!

Insomma: un pessimo servizio fatto a Verdi e al pubblico, ecco. Un po’ come quel Mosè di Rossini che Vick anni orsono impiegò al ROF come colonna sonora per la sua lecture sulla storia della nascita dello Stato di Israele. Con la differenza che la storia presentata da Vick era, almeno, rispettosa fino in fondo delle vicende passate in Palestina nella prima metà del secolo scorso. 
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Ieri sera era la quinta delle otto recite in programma ed ha visto l’arrivo, nel ruolo di Abigaille, della partenopea Anna Pirozzi, a dare il cambio alla viennese Martina Serafin: dico subito che si è trattato, per me, di un discreto ritorno al Piermarini dopo i Foscari della stagione scorsa; in un ruolo che lei d’altronde conosce ormai come le proprie tasche, essendo stato il suo trampolino di lancio anni fa con Muti. Ma la dimestichezza con la parte è condizione necessaria, purtroppo non sufficiente per raggiungere l’eccellenza: e la parte di Abigaille, che Verdi magistralmente ricolma di spettacolari quanto enormi intervalli (con cadute di una e persino di due ottave!) mette purtroppo in difficoltà la Pirozzi sulle note gravi, per cui da acuti sicuri e squillanti si piomba spesso nel... vuoto. Comunque una prestazione, la sua, meritevole di ampia sufficienza.

Più che dignitosa la prova di Annalisa Stroppa, voce morbida e penetrante, espressione sempre adeguata al personaggio della principessa assira che l'amore per il giovane ebreo porta alla repentina conversione. E Ismaele è stato degnamente impersonato da Stefano La Colla, che ha mostrato timbro squillante e buona intonazione. A cavallo fra sufficienza e insufficienza Mikhail Petrenko, uno Zaccaria che sarebbe perfetto nella presenza fisica e scenica, ma la cui voce ahilui manca di ogni caratteristica necessaria al ruolo: profondità, potenza e autorevolezza. Onorevoli le prove dei tre comprimari, Giovanni Furlanetto in testa. Il Coro di Casoni non si discute di certo, però mi pare non abbia toccato i vertici che gli conosciamo.                    

Di questi tempi è di attualità discettare di aspettativa di vita e di età pensionabile: ebbene, oltre al recidivo Leo Nucci (che già era in età da pensione 5 anni orsono) questa produzione vede sul podio un tale che ha 11 anni più del Nabucco! Evidentemente il mestiere di Kapellmeister (come quello di baritono verdiano) non è fra quelli definiti usuranti (!) A parte le facili battute, a me che sono appena appena meno maturo di Nucci la cosa non può che far piacere, soprattutto quando posso constatare che a 75 e 86 anni ancora si può essere autorevoli interpreti di Verdi alla Scala, invece che ospiti di Verdi in piazza Buonarroti...

Il baritono di Castiglione dei Pepoli sciorina ancora una delle sue penetranti e coinvolgenti interpretazioni, facendosi perdonare le inevitabili pecche legate all’anagrafe (acuti un filino urlati...) ma rendendo al meglio (parlo ovviamente della parte musicale, quella del personaggio di Daniele Abbado lasciamola perdere) le mutazioni che intervengono nella mente e nella personalità del condottiero assiro.

Quanto a Nello Santi, lui poveretto fatica persino a reggersi in piedi, e la salita sul podio così gli diventa la scalata del K2... Però, una volta installato al suo posto, guida orchestra e voci con l’autorità che gli viene da un’intera vita di studio e lavoro. I suoi tempi sono sempre sostenuti, ma mai sfociano nel greve o peggio nell’esasperante; il suono che ottiene dall’orchestra (compresa quella dietro le quinte) è nitido, tagliente, senza mai sconfinare in tratti bandistici o vuotamente retorici. La concertazione delle voci sempre pulita, gli attacchi precisi, dati con semplici ma evidentemente efficaci gesti della mano sinistra. Insomma, non siamo in presenza di una mummia ambulante, come ingenerosamente qualcuno lo ha voluto dipingere, tutt’altro!

Piermarini non esaurito, ma neanche semivuoto, e ben disposto all’applauso per l’intera compagnia. Una serata (parlo dei suoni) per me complessivamente positiva.

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