Ieri sera alla Scala è
risuonata per la terza volta in pochi giorni la Messa per
Rossini, che prima di oggi si era ascoltata in Italia solo in anni non
recenti, e interpretata dai complessi teutonici di Helmuth Rilling.
L’ascolto dal vivo è stato
per me un’ulteriore conferma della bontà della scelta di Chailly di riproporre quest’opera che per un secolo e mezzo è stata
dimenticata e pure snobbata. Per carità, non parleremo certo di capolavoro, ma
questi 13 pezzi usciti da mani e teste diverse (ma tutte italiane!) del 1869
mostrano quanta ricchezza musicale – di cui si fatica altrimenti ad avere
percezione - allignasse nel nostro Paese a quei tempi e ci dovrebbero far
riflettere su come purtroppo quel patrimonio sia stato via via dilapidato e sia
tuttora in corso di dilapidazione.
Onorevole la prova delle
voci, soprattutto delle tre maschili, su cui è spiccata quella del tenore Giorgio Berrugi; le due cantanti hanno
mostrato i loro (noti) limiti nella zona grave della tessitura. Benissimo come
sempre il coro di Casoni, che in questa Messa è chiamato ad un impegno non
inferiore a quello del Requiem verdiano. Orchestra sempre concentrata e reattiva
alle sollecitazioni del Direttore, che ha portato alla luce tante piccole perle
di questa collana multicolore ma non per questo pacchiana o trasandata.
Teatro quasi gremito da un
pubblico che è parso apprezzare assai questa inconsueta proposta, che merita di
essere rinnovata in futuro.
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