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13 gennaio, 2012

Orchestraverdi – concerto n 15


Passate le feste e l'allegria (effettivamente, con gli spread che corrono…) la stagione riprende con un programma assai serioso, che vede alla ribalta come solisti anche quattro prime parti dell'Orchestra.

Luca Santaniello (violino), Mario Shirai Grigolato (cello), Luca Stocco (oboe) e Andrea Magnani (fagotto) si cimentano infatti con la Hoboken 105 di Josephus Haydn, intitolata semplicemente Concertante in SIb. Scritta a Londra nel 1792, reca in testa l'epigrafe In nomine Domini e in coda il sigillo Fine Laus Deo: insomma una cosa sentita proprio… religiosamente!

È in tre movimenti (manca il classico menuetto) ed ha una leggerezza di fondo, tutta cameristica, che la distingue dalle coeve e robuste sinfonie londinesi, il che conferma il suo carattere di concerto, più che di sinfonia. I 4 moschettieri de laVerdi hanno così l'occasione di mostrare tutto il loro valore e di raccogliere l'applauso dei colleghi, oltre che quello del (non proprio numerosissimo) pubblico.

Dopo l'intervallo, la sinfonia forse più colossale, per struttura oltre che per durata - dove è superata di poco solo dall'Ottava – di Anton Bruckner, la Quinta, qui presentata nell'edizione ormai consolidata di Leopold Nowak (basata sui manoscritti del 1878). A Bruckner avrebbero potuto portar via anche le mutande, ma la sua fede nella musica e in Dio (o in Dio e quindi nella musica) mai sarebbe venuta meno. Era emigrato da Linz a Vienna e, invece di far fortuna nella capitale dell'impero e della musica, vi aveva trovato – almeno inizialmente - un'accoglienza a dir poco sbifida, tra bistrattamenti e riduzioni di stipendio, e viveva in uno stato di totale prostrazione: pure, si mise come nulla fosse ad erigere questa autentica cattedrale di note, uno dei suoi più arditi monumenti al Creatore. Ma la cosa più stupefacente è che, completato questo po' po' di behemoth, lo mise in un cassetto dove restò per 15 anni ad ammuffire, e lì sarebbe rimasto forse per sempre, non fosse stato per l'insistenza di quel suo ammiratore-arrangiatore che rispondeva al nome di Franz Schalk!

Nell'iniziale Adagio-Allegro pare di entrare in una basilica barocca (magari proprio a Sankt Florian?) e di percorrerla in lungo, in largo e in… altezza. Poderose colonne sonore ci spingono la vista fin su, verso i soffitti affrescati; percorriamo navate nella penombra, ammirando gli archi che le sostengono e gli stucchi che le abbelliscono; contempliamo gli altari e ascoltiamo corali che emanano dall'organo (di Bruckner!); svoltiamo in una cella laterale e vi troviamo una pala raffigurante una grande scena biblica; più in là una cripta avvolta nel buio lascia intravedere preziose reliquie. Poi diamo un colpo d'occhio d'insieme a tutte queste magnificenze, le ripercorriamo con lo sguardo a ritroso, dall'alto al basso; e infine le contempliamo ancora una volta in tutta la loro maestosità. Poi gli analisti ci spiegheranno che il movimento è in forma-sonata, con tre temi principali, le transizioni, il canonico sviluppo e la ricapitolazione, e che temi e motivi sono sottoposti a trattamenti in stile fiammingo (così come un architetto ci potrebbe spiegare i criteri costruttivi della basilica) ma ciò che ci resta dentro è quella particolare sensazione di severa sacralità, di profonda religiosità che emana da quel luogo e che ci ha invaso l'anima e il corpo. In particolare, di un tema ci dovremo ricordare (lo farà più avanti anche Dvorak) poiché tornerà nel Finale e addirittura chiuderà la sinfonia:

Nella prima sezione dell'Adagio il comptomane Bruckner si cimenta con il classico problema della quadratura del cerchio: siamo in tempo C tagliato, ma ancor prima che l'oboe attacchi il tema principale (RE minore) in quattro quarti, tutti gli archi, in pizzicato, hanno esposto un accompagnamento in 2 terzine a battuta che prosegue per 18 battute, sostenendo il tema dell'oboe, cui si sono aggiunti fagotto e flauto; poi i violini attaccano un motivo pari, mentre viole, violoncelli e contrabbassi insistono con le terzine, che da battuta 23 diventano padrone del campo, fino alla conclusione dell'esposizione (battuta 30).

Siamo rimasti fino ad ora in questa strana ambiguità ritmica, come se stessimo marciando in un corteo accompagnato da tamburi che battono tre colpi ogni due passi nostri… Ma adesso c'è una pausa di 3 semiminime e poi improvvisamente - Assai robusto e marcato - i violini, sulla corda più grave, accompagnati dal resto degli archi, espongono un motivo (inizialmente in DO) carico di severità, nobiltà austera, ma che chiude la seconda sezione con un illanguidimento, quasi una reminiscenza del Wotan che dà l'addio a Brünnhilde:

Il tema si sviluppa poi in modo assai ampio, fino a misura 70, con un poderoso crescendo sostenuto dagli ottoni. Torna il tema principale, ora esposto da tutti gli strumentini e sempre con le terzine sottostanti degli archi, ma presto le carte si mescolano: ora celli e contrabbassi con fagotti e corni espongono il tema, mentre i primi violini passano alle sestine, velocizzando l'accompagnamento. A misura 81 una grande perorazione di tutti i fiati, accompagnata dagli archi con sestine tremolanti, rappresenta la vetta del movimento. Torna il secondo tema, a partire da un tono sopra (RE) rispetto alla prima comparsa; anch'esso si sviluppa ampiamente, in specie con interventi degli strumentini. A misura 163 riattacca il tema principale, sempre in RE minore, nei fiati: qui però il sottostante accompagnamento degli archi è in ritmo pari (anche i violini suonano 4 sestine a battuta). Da qui inizia una lunga coda che porta alla conclusione, dove il tema è ancora esposto da corno, oboe e flauto, in una sommessa cadenza.

Anche lo Scherzo ha dimensioni ragguardevoli ed una struttura piuttosto insolita: dopo la serrata esposizione del tema principale (3/4) parrebbe subentrare – assai anzitempo – un trio, vista la pausa con corona puntata ed il tempo che rallenta vistosamente. Invece è solo apparenza, e il Trio propriamente detto (in 2/4) arriverà assai più tardi, dopo che lo Scherzo avrà espresso tutta una serie di motivi, dal Ländler (di cui Mahler si ricorderà) al walzeraccio tracotante.

Per il Finale rientriamo in un'altra cattedrale, in cui subito scopriamo la stessa mano dell'architetto di quella esplorata nel primo movimento: come detto, ne udiamo uno dei temi, e poi anche il tema dell'Adagio, come accade per la IX di Beethoven (in musicologia tutto ciò si cataloga come: forma ciclica). Anche qui la macro-struttura è in forma-sonata, ma con dimensioni davvero ipertrofiche. Uno dei temi si traveste da pesantissimo corale e la fa da padrone, contrappuntando il tema ciclico, cui è riservata la chiusa, procedimento non nuovo per Bruckner, che poi lo riapplicherà ancora (già a partire dalla Sesta).

Flor mi è sembrato un ottimo cicerone, guidandoci proprio per mano alla scoperta di tutte le celestiali noiosaggini (per parafrasare Schumann su Schubert) del tuttora poco apprezzato (in Italia per lo meno) organista di Ansfelden. Merito ovviamente dell'Orchestra – disposta proprio alla tedesca, bassi al centro-sinistra e violini secondi al proscenio - dove i fiati soprattutto sono chiamati a prove davvero terrificanti.

Prossimo appuntamento tutto con Dvorak e con il suo mentore Aldo Ceccato.
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