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31 gennaio, 2012

Quello strano Angelo in arrivo a Torino


Valery Abisalovič Gergiev porta al Regio la sua compagnia di allestitori del Mariinski per L'angelo di fuoco di Prokofiev. Domani prima rappresentazione (Radio3, ore 20) e poi altre quattro recite, fino all'11 febbraio.

Questi tre individui – a nome Bryusov, Petrovskaja e Belyj - incarnano la remota origine dell'opera di Prokofiev:


Oltre che remota, origine che rimase sconosciuta al compositore fin quasi ad opera completata: soltanto nell'autunno del 1926, mentre stava dando gli ultimi ritocchi a quella che resterà la versione definitiva dell'Ognennyj Angel, Prokofiev fu portato a conoscenza, da un'amica di Leningrado, dei principali retroscena del triangolo che aveva legato i tre artisti suoi contemporanei (tutti più o meno adepti del movimento simbolista nell'arte) e che era di fatto il motivo ispiratore del romanzo da cui lui aveva tratto il libretto della sua opera.

Lui conosceva bene il primo dei tre, Valerij Jakovlevič Bryusov, essendosi invaghito – mentre era in giro per gli USA nel 1919 e dovendo metter riparo con una nuova opera al crac delle tre melarance (smile!) - del soggetto di un suo racconto di pari titolo, scritto e pubblicato a puntate nel periodico Libra, fra il gennaio del 1907 e l'agosto del 1908 e poi rivisto nel 1909. Lo stesso Bryusov, incontrando Prokofiev a Parigi nel 1922 (quando il compositore stava lavorando ad un primo abbozzo dell'opera) si era detto entusiasta dell'idea tanto da consigliare allo stesso Prokofiev di ritirarsi a Ettal (Alpi bavaresi) dove trarre ispirazione per portare a termine l'impresa (cosa che accadde puntualmente).

Quello di Bryusov è un romanzo cosiddetto storico, ambientato nel 1500 in Germania e avente come oggetto una vicenda triangolare (lui, lei e l'altro) calata nel mondo dell'esoterismo, delle scienze occulte, della magìa nera e con marcati risvolti freudiani quali schizofrenia, sogni, premonizioni, e simili (insomma: la quintessenza del simbolismo…) Come era di moda nell'800 (vedi Manzoni con i suoi Sposi) anche Bryusov si era inventato un manoscritto (ritrovato in qualche polverosa soffitta) in cui il protagonista del romanzo - un erudito e razionalista Cavaliere di ventura lanzichenecco, che si trovava nel 1535 a Bilbao, apprestandosi ad intraprendere un nuovo viaggio in giro per il mondo - narrava autobiograficamente una serie di avventure a sfondo esoterico-erotico vissute tempo addietro dalle parti di Colonia.

Dal prolisso e francamente indigeribile romanzo di Bryusov, che si dilunga narcisisticamente sul protagonista (lui medesimo), sulla sua erudizione filosofica, sulla sua iniziazione all'occulto, oltre che sulle dettagliate biografie dei vari personaggi storici che popolano il racconto, Prokofiev trae un libretto compatto, essenziale, dove protagonista è piuttosto la donna incontrata dal cavaliere a Colonia. Molti particolari ambientali – presi dal testo di Bryusov, ma anche aggiunti dal compositore - sono citati con cura minuziosa, come ad esempio la cattedrale di Colonia ancora incompiuta (ai tempi dell'azione ne esistevano solo uno spezzone di una delle due torri e una porzione dell'abside) e la cui costruzione sarà completata solo 20 anni prima della scrittura del romanzo! E poi la presenza di Henricus Cornelius Agrippa ab Nettesheym, filosofo-mago-astrologo-alchimista nato proprio a Colonia, di cui Prokofiev caratterizza assai bene la figura controversa, di serio scienziato e di mago ciarlatano, perennemente in contrasto con l'Inquisizione, citando anche piccoli particolari: i cani neri che lo circondano, la catoptromanzia e la geozia, di cui si diceva che Agrippa fosse maestro; la diceria sulle monete che Agrippa coniava privatamente, che erano apparentemente autentiche, ma che poi si trasformavano in merda(!); il riferimento che Agrippa fa ai Re Magi, per custodire le cui reliquie la cattedrale di Colonia era stata progettata; e ancora la citazione di Gottfried Hetorpius, editore delle opere di Agrippa e suo confidente, e dell'abate Trithelmius, con cui Agrippa aveva spesso disquisito di magia. Infine, il richiamo, a proposito di vita monastica, a San Bonaventura (doctor seraphicus) canonizzato proprio in quel periodo, e a Santa Brigida.

Tornando alla vicenda, come ripresa da Prokofiev nella stesura definitiva, il lui (Ruprecht) è il Cavaliere appena rientrato in Germania dal Nord-America, dove se l'è vista brutta con i cattivoni pellerossa, la lei (Renata) è una tizia schizoide e invasata, che fin da piccola ha sognato e oniricamente convissuto con l'Angelo di fuoco cercando poi (con esiti nefasti, sul piano del suo equilibrio mentale) di farselo, e che da grande ha creduto di individuarne l'incarnazione nell'altro (Heinrich, o Genrich, nel libretto russo) che però ha messo in atto con lei la consolidata prassi dell'usa-e-getta. Lui incontra casualmente lei, che però è alla disperata ricerca dell'altro. Lui – che in un primo momento pensa di imitare l'altro, dandole un paio di colpi per poi mollarla al suo destino – finisce invece per innamorarsi perdutamente di lei e decide di aiutarla a ritrovare l'altro e ha così occasione di incontrare il luminare Agrippa, la più grande autorità di tutti i tempi in fatto di magia, pratiche occulte e stregonerie assortite, uno che si vuol far passare per scienziato, mentre tre scheletri appesi sopra di lui lo sbugiardano, dandogli del mentitore… Trovatolo finalmente, ma venendo da lui respinta, lei ha deciso che l'altro debba morire e chiede a lui di farlo secco; poi se ne pente, rivedendo in Heinrich la figura dell'Angelo, ma ormai lui ha già sfidato l'altro a duello. Nel quale duello lui rischia di lasciarci le penne; e mentre è in convalescenza dalla ferita infertagli dall'altro, lui incontra in un'osteria la premiata coppia di bontemponi Mefistofele-Faust (che stanno eternamente quanto peripateticamente disputando su quisquilie di nessun conto) con Mefistofele che – dopo aver ingoiato e subito vomitato un garzone – chiede a lui di fargli da cicerone per una visita alla città… Lei, pentitasi di tutta la sua vita sbagliata, decide di ritirarsi in convento, ma vi introduce tutti i suoi complessi e soprattutto i diavoli che si porta appresso, e finisce per inquinare pure l'anima delle monache con la sua schizofrenia a sfondo erotico, e così l'Inquisitore la spedisce direttamente sul rogo.

Sì d'accordo, ammetto di averla buttata un filino in vacca… però, accipicchia, con un soggetto del genere ci si può fare indifferentemente: un reality in 150 puntate, un film tipo Totò, Peppino e la Strega, oppure una seria opera musicale… basta aver fantasia.

Torniamo ora ai nostri tre artisti simbolisti. Il lui del romanzo (Ruprecht) è – come detto – lo stesso autore (Bryusov). L'altro (Heinrich, aka Madiel, l'Angelo di fuoco) è l'efebizzante dandy Andrei Belyj, al secolo Boris Nikolaevic Bugaev, esteta, idealista, scrittore e critico letterario. E la lei (Renata) è la scrittrice (morta suicida…) Nina Ivanovna Petrovskaja.

Già sposata, ma piena di complessi, costei aveva incontrato, nel 1903, Belyj che l'aveva poi introdotta in una società di spiritualisti (gli Argonauti). Fra i due era nato un rapporto che Belyj avrebbe voluto puramente platonico (lui si illudeva di poter guarire i di lei complessi) ma che Nina pretendeva dovesse estendersi anche alla sfera sessuale, il che portò Belyj a raffreddare la sua amicizia con lei; guarda caso: proprio il rapporto fra Renata e l'Angelo descritto da Bryusov!

Il quale Bryusov, a sua volta attratto da Nina e dai suoi complessi (ma con obiettivi opposti a quelli di Belyj, smile!) instaurò una relazione con lei, che provocò il risentimento di Belyj. Che lanciò a Bryusov una specie di sfida letteraria, che doveva avere in palio… la Petrovskaja! Alla quale sfida Bryusov rispose scrivendo un poemetto (Loki a Baldur, personaggi delle antiche saghe nordiche, riprese anche da Wagner) in cui Bryusov si mette nei panni dello sbifido e demoniaco Loki, che promette di distruggere l'angelicato Baldur, figlio di Odin. Proprio come raccontano le saghe nordiche, ma anche come si legge nel romanzo di Bryusov! Belyj, sentitosi offeso nelle sue più profonde convinzioni, intimò a Bryusov di smetterla e per tutta risposta… fu sfidato a duello (Ruprecht-Heinrich!)

Il duello non ebbe luogo, ma Belyj rispose letterariamente, con un poemetto in cui descriveva Bryusov come un fallito, e se stesso come un mago che difende la propria integrità morale minacciata. Bryusov ne rimase colpito, persino sognando di venire sopraffatto in un sanguinoso duello dall'avversario - come testimoniò proprio la Petrovskaja - e rispose con un successivo poemetto (Baldur II) dove in pratica si dà per vinto, riconoscendo le sue colpe nei riguardi della donna contesa e la superiorità del rivale. Beh, tutte vicende che finiranno, di lì a pochi mesi, nelle pagine del romanzo storico di Bryusov.

Quanto alla Petrovskaja, prima di suicidarsi (al terzo tentativo) a Parigi, si dirà pubblicamente eccitata dall'essere divenuta la protagonista del romanzo; al punto tale da convertirsi al cattolicesimo, a Roma, prendendo il nome di… Renata!

Ecco, scoperti tutti gli altarini non ci resta che tornare a Prokofiev, che dal romanzo di Bryusov cavò una cosa notevole (ok, magari non proprio un capolavoro assoluto, ammettiamolo) e la pose in musica con grande determinazione, pari peraltro alla difficoltà e lunghezza della gestazione (1920-1927, con una prima stesura nel 1923, poi ampiamente rivista, e con ulteriori ripensamenti del 1930, rimasti però allo stato di abbozzo) e alle successive traversie – inclusa la composizione di una sinfonia (n°3) sui temi dell'opera - legate alla rappresentazione. Che ebbe per la prima volta luogo, dopo spizzichi-e-bocconi di esecuzioni parziali e concertistiche, solamente nel 1955 alla Fenice (direttore Sanzogno, regista Strehler) e quando ormai il compositore riposava per sempre, avendo tolto il disturbo un paio d'anni prima, in perfetta sincronia con quel grande paraculo – per il quale aveva dovuto comporre addirittura una cantata! - che rispondeva al nome di Giuseppe Stalin
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