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24 gennaio, 2012

Gergiev franco-russo alla Scala


La stagione della Filarmonica ha ospitato ieri il peripatetico Valery Gergiev, in un bel programmone di quelli col palinsesto proprio tradizionale: un pezzo brillante in apertura, un concerto solistico al centro e una grande sinfonia per chiudere.

È quindi il Capriccio spagnolo di Rimski ad aprire la serata e a scaldare i motori all'orchestra. José Inzenga y Castellanos (1828-1891, autore di numerose zarzuelas) aveva pubblicato nel 1873, su incitamento delle autorità culturali spagnole, il primo volume di una raccolta di musiche popolari, Ecos de España, che contiene 49 canti provenienti da 12 diverse regioni: Cataluna (4), Asturias (7), Andalucia(4+5), Castilla la vieja (4), Galicia (3), Valencia (2), Islas Baleares (6), Murcia (3), Isla de Cuba (3), Aragon (1, Jota), Guipuzcoa (4) e Leon (2); più tre canti patriottici. Come il volume sia capitato nelle mani di Rimski non è chiaro: c'è chi sostiene che lo portasse a casa come ricordo del suo servizio in Marina, che lo aveva visto trascorrere qualche tempo sulla costa asturiana (versione assai improbabile, visto che Rimski si trovò laggiù assai prima del 1873, quando la raccolta di Inzenga era ancora in preparazione…) e chi ipotizza gli sia stato recapitato più tardi da un diplomatico spagnolo in servizio in Russia, amico di una persona conosciuta da Rimski appunto in Spagna. Come che sia, nel 1887 Rimski ne trasse il Capriccio su temi spagnoli, musicandone quattro brani, tre di provenienza dalle Asturie e uno dall'Andalusia. I canti di Inzenga sono tutti assai brevi, di poche battute (fa eccezione la Jota) e Rimski ne copia quasi pedestremente le melodie, magari cambiandone tonalità, dopodiché li arricchisce di volta in volta con la sua lussureggiante strumentazione e con sapienti ripetizioni e/o variazioni.
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Il Capriccio è suddiviso in 5 parti, e si apre con Alborada (in LA) che poi torna nella terza parte (in SIb) e nella quinta, a chiudere il pezzo, ancora in LA. Viene da un canto di pastori asturiani che salutano il mattino:

Dopo una prima esposizione nei violini, accompagnati nel ritmo dai fiati, è il clarinetto a porgere per due volte il motivo, prima della conclusione che sfuma in pianissimo, con due pizzicati degli archi e il sommesso rullo del timpano.

Le Variazioni (2° brano) provengono dalla pure asturiana Danza prima (danza serale). Rimski nota Andante con moto, rispetto al Moderato assai di Inzenga e usa il FA in luogo del DO:

Qui Rimski allunga la frase, inizialmente esposta dai corni, con un paio di gruppetti sotto la tonica, poi ripropone il motivo, leggermente variato, negli archi, quindi nel corno inglese, con un sognante inciso del corno; ancora lo presenta negli archi, ben marcato e forte, poi ancora negli strumentini, sostenuti da un pizzicato degli archi; infine ancora negli archi, sulla cui ultima esposizione interviene il flauto solo, con una lunga e ondeggiante scivolata di biscrome, chiusa da un tremolo sulla tonica FA.

Torna ora, in SIb, Alborada (n°3) Vivo e strepitoso (come nota Rimski). Gli strumentini si alternano nell'esporne il motivo per due volte con il violino solo (originariamente Rimski pensava ad una composizione per violino solista) prima che il clarinetto, con ampissimi arpeggi su due ottave, porti alla conclusione sigillata da un pesante accordo in croma e un lungo SIb tenuto di (quasi) tutta l'orchestra.

La Scena e canto gitano (n°4) viene dall'Andalusia, con le sue caratteristiche note diminuite (secondo, sesto e settimo grado della scala). È caratterizzata dall'uso della cadenza (o quasi-cadenza) la prima delle quali è affidata alle trombette affiancate dai quattro corni, preceduti ed accompagnati dal secco e crepitante rullo del tamburino:


Sia Inzenga che Rimski indicano in chiave il RE minore, ma poi il tema principia in altra tonalità: lo spagnolo in LA maggiore, il russo inizialmente in SIb, ma per scendere subito di un semitono con l'ingresso del violino solo, che sul LA (dominante del RE di impianto) chiude anche la sua cadenza. E così riespone il tema il flauto, cui è riservata la terza cadenza brillante, seguita subito dalla quarta, affidata al clarinetto, cui fa eco l'oboe con la sezione finale del tema. La quinta cadenza è per l'arpa, che chiude il suo leggero svolazzo (quattro picchi e tre vallate) su un LA sovracuto. A questo punto (feroce) Rimski introduce di sua iniziativa (non certo di sua invenzione) un secondo motivo, dal tipico carattere iberico:

Ora sono violini, clarinetti e flauti ad esporre il tema, sempre chiuso dalla feroce aggiunta di Rimski; poi ancora lo reiterano, ma adesso dal RE. Più avanti si torna al LA, col tema esposto prima dagli strumentini e poi dagli archi. Il secondo motivo riappare molto staccato (spiccato assai) nei violini ed innesca una progressione che porta direttamente al conclusivo…

Fandango asturiano, in LA maggiore (RE per Inzenga):

In realtà al tema del fandango Rimski ne aggiunge uno proprio, esposto da fagotti e celli, a contrappuntare il motivo principale, modulato a REb. Poi però si rifà largo ancora il Canto gitano, che contrappuntandosi al Fandango porta alla conclusione lasciata, quasi si fosse in un rondò, al ritorno dell'Alborada, in un davvero travolgente LA maggiore.
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Gergiev sottolinea marcatamente i tratti spagnoleggianti del brano e trascina i Filarmonici in un'esecuzione strappa-applausi.

Il quarantenne violinista siberiano Vadim Viktorovič Repin è poi protagonista del Secondo concerto di Prokofiev, composto poco prima del ritorno definitivo del compositore in Unione Sovietica, dopo la non entusiasmante parentesi occidentale (quando si dice: come cadere dalla padella nella brace, smile!) Ma erano ancora i tempi in cui il nostro era animato da serie convinzioni riguardo al ruolo dell'Arte (e quindi dell'Artista) nella società del collettivismo… e solo dopo qualche anno qualcosina – tipo Zdanov… - gli farà capire che non era tutto oro ciò che luccicava. È un concerto romantico – perché deve piacere al popolo - ma scritto con approccio moderno, come dev'essere un'opera della rivoluzione. Così Prokofiev tira fuori la sua ispirazione melodica, e la mescola con qualche intemperanza rispetto alle regole ottocentesche: divagazioni in tonalità lontane e un po' di dissonanza, nulla più.

Il primo movimento (Andante moderato) è un buon compromesso fra il rispetto della forma (-sonata, senza cadere nel formalismo che manderà parecchia gente nei gulag) e la ricerca di un minimo di innovazione: tonalità SOL minore, secondo tema nella relativa SIb, che poi torna a casa sul SOL. Poi un Andante assai, dove il violino canta una lunga melodia in MIb, quindi divaga al LAb, al SI, al RE, fino ad un improvviso Agitato che smuove le acque, prima del ritorno al tempo primo e al MIb, con cui sono gli archi bassi a chiudere. Termina il concerto un Rondò (Allegro, che parte in SIb e arriva nel canonico SOL) che per buona parte ha un procedere pesante, sforzato (il tema ricorda vagamente Borodin); poi si anima fino a sfociare in una corsa travolgente, che si conclude con un esilarante schianto.

Repin pare proprio interpretare al meglio lo spirito del brano, alternando languide sonorità à la Bruch a funambolici virtuosismi, che gli valgono reiterate ovazioni. Quando poi rientra sul palco per l'atteso bis e si mette a confabulare con gli archi dell'orchestra, allora si capisce dove andrà a parare: sul suo vero cavallo di battaglia, il paganiniano carnevale. Più o meno come qui a Parigi, dopo un concerto con Chung. Ma in un happening estivo in Germania aveva fatto anche un po' di avanspettacolo, sotto gli occhi di un attonito Mariss Jansons e di qualche migliaio di tifosi in delirio…

Infine la super-inflazionata Fantastica. A patto di prenderla in dosi moderate, è una sinfonia che ti dà sempre grandi soddisfazioni, soprattutto se diretta in modo esemplare e suonata con partecipazione e passione. Gergiev non inventa nulla (meno male, basta Berlioz… anzi, fa pure il ritornello del primo tema!) ma ci serve un'impeccabile esecuzione, che ha il suo apice nell'apparentemente sonnolenta Scena nei campi.

Evidentemente la Filarmonica, se guidata da qualcuno con le palle (insomma… tipo Harding o Gergiev o Dudamel) dimostra di saper anche produrre cose egregie e si merita un lungo e caloroso applauso dal suo fedele pubblico.
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