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23 ottobre, 2022

laVerdi 22-23. Ristretti.1

Una delle novità della programmazione 22-23 dell’Orchestra Sinfonica di Milano è rappresentata da tre concerti, cosiddetti ristretti perché impegnano un organico cameristico della formazione strumentale e hanno durata contenuta; sono affidati a Kolja Blacher, già prestigiosa spalla dei Berliner e da tempo dedicatosi anche alla direzione d’orchestra (è già stato ospite più volte qui all’Auditorium).

I tre concerti si danno di domenica: dopo quello di oggi pomeriggio ne seguirà uno il 12 febbraio e uno il 21 maggio prossimi. Oggi Blacher ci ha proposto un interessante testa-coda: l’ultimo (o quasi, 1945) Strauss a confronto con il primo (o quasi, 1773) Mozart!

Invertendo l’ordine previsto in locandina (lo si era capito subito dalla presenza sul palco dei fiati e dall’assenza di un violoncello e un contrabbasso…) ad aprire il pomeriggio è appunto un 17enne Mozart, reduce dai viaggi in Italia, che compone a Salzburg la sua 25ma Sinfonia, la K183, che ho succintamente esplorato in occasione dell’ultima esecuzione udita qui anni fa, diretta dalla Xian.

Come ulteriore esercizio facciamoci guidare dal venerabile Karl Böhm con i suoi amati Wiener.

I. Allegro con brio (4/4) – Forma-sonata.
34” Esposizione. Dopo le severe 4 battute introduttive, ecco il primo tema in SOL minore.
54” L’introduzione viene qui variata, come ponte verso il secondo tema.
1’22” Secondo tema (prima sezione) in SIb maggiore.
2’10” Secondo tema (seconda sezione) in SIb maggiore.
2’49” Da-capo dell’intera Esposizione.
5’03” Sviluppo.
6’00” Ricapitolazione. Introduzione e primo tema in SOL minore.
6’20” Ponte verso il secondo tema.
6’48” Secondo tema (prima sezione) in SOL minore.
7’40” Secondo tema (seconda sezione) in SOL minore. (Soppresso il da-capo di Sviluppo e Ricapitolazione.)
8’19” Coda, basata sul motivo variato dell’introduzione, più cadenza conclusiva.

II. Andante (2/4) – Struttura A-B con da-capo per entrambe.
8’45” Sezione A. Tema-1 in MIb maggiore.
9’08” Controsoggetto in SIb (minore > maggiore).
9’28” Tema-2 in SIb maggiore.
9’39” Coda. (Soppresso il da-capo della Sezione A.)
9’52” Sezione B. Variante del Tema-1 (SIb > MIb) in funzione di transizione.   
10’36” Tema-1 in MIb maggiore.
10’58” Controsoggetto in Sib minore > Mib maggiore.
11’39” Tema-2 in MIb maggiore.
11'50" Coda. (Soppresso il da-capo della Sezione B.)

III. Menuetto (3/4) – Struttura Menuetto-Trio-Menuetto.
12’09” Tema Menuetto (SOL minore).
12’26” Tema Menuetto (da-capo).
12’43” Controsoggetto.
12’55” Tema Menuetto.
13’18” Da-capo (12’43”).
13’53” Trio (SOL maggiore). Sezione A, ripetuta.
14’19” Trio. Sezione B, ripatuta.
15’01” Tema Menuetto (SOL minore).
15’19” Controsoggetto.
15’32” Tema Menuetto.

IV. Allegro (4/4) – Struttura A-B con da-capo per entrambe.
16’00” Sezione A. Primo tema in SOL minore, esposto dagli archi e subito ripetuto a piena orchestra.
16’23” Secondo tema (prima sezione) in SIb maggiore.
16’38” Transizione.
16’59” Secondo tema (seconda sezione) in SIb maggiore.
17’11” Transizione (Primo tema in maggiore).
17’51” Da-capo della Sezione A.
19’40” Sezione B. Fugato sul frammenti del Primo tema.
19’54” Transizione.
20’24” Primo tema (SOL minore) subito ripetuto.
20’46” Secondo tema (prima sezione) in SOL minore.
21’00” Transizione.
21’26” Secondo tema (seconda sezione) in SOL minore.
21’39” Primo tema.
22’18” Coda. (Soppresso il da-capo della Sezione B.)
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Blacher non ci risparmia una sola nota del Teofilo, rispettando meticolosamente tutti i ritornelli previsti in partitura, e di ciò gli dobbiamo essere grati, poiché è musica che non ci si stanca mai di ascoltare e riascoltare. Poi ci mette una gran verve, eseguendo il Menuetto con il piglio riservato solitamente agli Scherzi ottocenteschi!

Ne esce un Mozart invero spumeggiante, che trascina il pubblico (che ha riempito la platea dell’Auditorium) a convintissimi applausi. Da osannare i corni guidati da Ceccarelli.
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La WWII sta per finire (il simpatico terzetto Churchill, Roosevelt e Stalin si è appena riunito a Yalta per spartirsi salomonicamente il mondo) e il quasi ottantunenne Strauss vive ritirato nella splendida villa di Garmisch (meritato frutto dei proventi della sua Salome) a meditare sull'ormai imminente disfatta della Germania, e con essa anche del suo ideale guglielmino, la cui realizzazione aveva (abbastanza opportunisticamente) appaltato a tale Adolf Hitler. Il 13 marzo del 1945 – precisamente all'indomani del bombardamento dell'Opera di Vienna - verga le prime note di Metamorphosen, che sta rimuginando da qualche tempo, nach Goethe. Le ultime le scrive in partitura esattamente un mese dopo, giovedi 12 aprile (proprio mentre gli occupanti sovietici entrano in Berlino e Roosevelt trasloca presso il creatore); ci infila, nei righi dei violoncelli 3-4-5 e dei tre contrabbassi, una citazione letterale della marcia funebre dell'Eroica, aggiungendovi sotto il motto In memoriam!


Non l'avesse mai fatto! Un azzeccagarbugli olandese - stando a Bruno Walter, che ne raccolse l'indignazione – ci troverà un'analogia con Napoleone, dedicatario originale della terza, e dichiarerà quindi trattarsi di un anticipato epitaffio a Hitler (a quel tempo ormai asserragliato nel suo bunker, dove si preparava a festeggiare con qualche piccolo grattacapo il 56° compleanno) e quindi da bandirsi come apologia del nazismo (?!)

Pochi giorni dopo, precisamente nelle stesse ore del 30 aprile in cui il Führer si decide a togliere il disturbo, a Garmisch arrivano gli occupanti americani per requisirgli la villa: salvata questa per puro miracolo (vuole il caso che l'ufficiale esecutore, un altro olandese, sia un ammiratore delle sue opere!) Strauss si concede un (tardivo?) sfogo contro guerre e guerrafondai, convinto che quel 1° maggio sia l’inizio di un nuovo mondo. Che per lui però diventa un mondo di miseria! Poiché il vegliardo non può sfuggire agli oneri (umiliazioni incluse) della de-nazificazione e così – quattro mesi dopo aver compiuto le 81 primavere – parte (con Pauline e un paio di valigie, null’altro) per il suo esilio in Svizzera (si direbbe… sulle orme di Wagner) dove chiuderà la sua interminabile stagione continuando a scrivere musica - e che grande musica! - come il Concerto per oboe e gli ultimi Lieder, prima di tornare – nel 1949, ma ormai solo per morirvi - nella sua casetta di Garmisch.

In Svizzera, Strauss dovette inizialmente mendicare un po' di compassione, e ne trovò parecchia in tale Paul Sacher (niente a che vedere con le torte viennesi) un musicista diventato anche, per tramite di un matrimonio farmaceutico, uno degli uomini più ricchi del globo, e musicalmente assai attivo sulla direttrice Basilea-Zurigo. E proprio Sacher - lui accanito sostenitore della musica moderna e senza alcuna affinità elettiva con quella di Strauss - venne generosamente incontro al vecchio marpione, allora caduto in disgrazia (ma se l'era ampiamente voluta, cercata e meritata, o no?) patrocinando prima la composizione e dirigendo poi, a fine gennaio 1946, la prima esecuzione di Metamorphosen, da parte del Collegium Musicum Zürich, da lui fondato pochi anni addietro. Insomma, un poco più in piccolo, interpretò il ruolo che Otto Wesendonck aveva ricoperto quasi un secolo prima nel caso-Wagner. Ecco perché nell'edizione a stampa il lavoro è doverosamente dedicato a Sacher e al CMZ.

Un lavoro in cui Strauss sembra aver voluto dolorosamente incapsulare tutto un passato: massimamente – proprio nel momento della catastrofe del Terzo Reich - il glorioso sette-ottocento tedesco, da Bach a Beethoven a Bruckner, da Wagner a Mahler…

A parte Beethoven, Franco Serpa individua un frammento (riquadri rossi) del lamento di Marke alle battute 18-19:

Questa non è una citazione testuale, ma una vaga reminiscenza, peraltro pertinente al soggetto straussiano, il tradimento di Tristan che evoca il tradimento perpetrato ai danni della cultura tedesca. 

Invece le quattro note riquadrate in blu vengono solitamente associate a diverse fonti: la Quinta beethoveniana (terzo movimento); il finale della Jupiter (seconda sezione del tema principale); e la bachiana Fuga dalla BWV1001.

E adesso però faccio anch'io il pierino, aprendo una parente: nel tema iniziale - e colonna portante dell'intera opera - che scende da dominante a sensibile di DO minore, non si può non riconoscere, oltre alla seconda sezione del primo tema della marcia funebre dell’Eroica, anche (diciamo pure… beethovenizzato) quel motivo che è universalmente noto come Adagio di Albinoni.

Che sappiamo essere in realtà una ricostruzione assai personale e controversa, fatta nel 1958 (9 anni dopo la scomparsa di Strauss) da Remo Giazotto su pochi schizzi di Albinoni recuperati a Dresda sotto le macerie dei bombardamenti alleati. Ma proprio l’ubicazione di quegli schizzi (Strauss pur non avendo mai abitato a Dresda vi soggiornò a lungo – e ovviamente ben prima dei bombardamenti! - per presentarvi parecchie delle sue opere) potrebbe far supporre che lui abbia magari potuto incapparvici. Ma perché allora non immaginare anche che sia stato direttamente Beethoven (che pure visitò Dresda a fine ‘700 per le sue tournée concertistiche) ad incontrare quegli schizzi, ricordandosene anni dopo per l’Eroica? Più plausibilmente la parentesi si può chiudere anche sostenendo che fu il furbacchione Giazotto a mettere in… bocca ad Albinoni (e nelle tasche sue!) il tema di Beethoven-Strauss!

Invece, a dispetto dell'assenza di armatura di chiave e della presenza di innumerevoli modulazioni, anche nelle Metamorphosen non si trova alcun ammiccamento alla nuova musica, che a Strauss rimase totalmente estranea, sino alla fine. La forma è vagamente tripartita (A-B-A) con le sezioni esterne in tempi lenti (Adagio ma non troppo, Adagio, 4/4) e quella centrale più mossa (Più Allegro, 4/4 alla breve). C’è chi sostiene che l’impianto formale e tonale intenda rappresentare – in termini schiettamente musicali, attraverso la deformazione della forma-sonata e la finale prevalenza del DO minore sul DO maggiore – la corruzione e la definitiva distruzione di un mondo di valori da parte di barbariche forze eversive. Così lo interpreta il giovane Direttore italo-australiano Carlo Antonioli in questo studio dove, partendo da un’asettica analisi musicale, arriva a concludere che Metamorphosen si può intrepretare come una dolorosa presa d’atto non solo della fine – con la Germania ridotta in macerie – di un ideale politico, ma anche di una secolare, gloriosa tradizione culturale e musicale, che lo stesso Strauss immodestamente faceva iniziare da Bach e - passando per Mozart, Beethoven, Berlioz, Liszt e Wagner – finire con… sè medesimo!
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Dire che è stata un’esecuzione letteralmente strepitosa è ancora poco: i 23 archi dell’Orchestra (guidati da Dellingshausen) si sono davvero superati e Blacher da parte sua ha dato di questo enigmatico brano un’interpretazione di una essenzialità estrema. Ne è testimone il pathos creato nella sezione centrale Più Allegro, portata davvero al parossismo, per poi precipitare nell’abisso dell’Adagio conclusivo, dove la pietas beethoveniana ha strappato le lacrime: insomma, una cosa che posso solo definire sbudellante!

Peccato solo che non ci siano repliche. 

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