Una
delle novità della programmazione 22-23 dell’Orchestra Sinfonica di Milano è
rappresentata da tre concerti, cosiddetti ristretti perché impegnano un organico
cameristico della formazione strumentale e hanno durata contenuta; sono
affidati a Kolja Blacher, già prestigiosa spalla dei Berliner e
da tempo dedicatosi anche alla direzione d’orchestra (è già stato ospite più
volte qui all’Auditorium).
I
tre concerti si danno di domenica: dopo quello di oggi pomeriggio ne seguirà uno il 12
febbraio e uno il 21 maggio prossimi. Oggi Blacher ci ha proposto un interessante
testa-coda:
l’ultimo (o quasi, 1945) Strauss a confronto con il primo (o
quasi, 1773) Mozart!
Invertendo
l’ordine previsto in locandina (lo si era capito subito dalla presenza sul palco
dei fiati e dall’assenza di un violoncello e un contrabbasso…) ad aprire il
pomeriggio è appunto
un 17enne Mozart, reduce dai viaggi in Italia, che compone a Salzburg la sua 25ma Sinfonia, la K183, che ho succintamente esplorato in occasione dell’ultima esecuzione udita qui anni fa, diretta dalla Xian. Come ulteriore esercizio facciamoci guidare dal venerabile Karl Böhm con i suoi amati Wiener.
I. Allegro con brio (4/4) – Forma-sonata.
34” Esposizione. Dopo le severe 4 battute introduttive, ecco il primo tema in SOL minore.
54” L’introduzione viene qui variata, come ponte verso il secondo tema.
1’22” Secondo tema (prima sezione) in SIb maggiore.
2’10” Secondo tema (seconda sezione) in SIb maggiore.
2’49” Da-capo dell’intera Esposizione.
5’03” Sviluppo.
6’00” Ricapitolazione. Introduzione e primo tema in SOL minore.
6’20” Ponte verso il secondo tema.
6’48” Secondo tema (prima sezione) in SOL minore.
7’40” Secondo tema (seconda sezione) in SOL minore. (Soppresso il da-capo di Sviluppo e Ricapitolazione.)
8’19” Coda, basata sul motivo variato dell’introduzione, più cadenza conclusiva.
II. Andante (2/4) – Struttura A-B con da-capo per entrambe.
8’45” Sezione A. Tema-1 in MIb maggiore.
9’08” Controsoggetto in SIb (minore > maggiore).
9’28” Tema-2 in SIb maggiore.
9’39” Coda. (Soppresso il da-capo della Sezione A.)
9’52” Sezione B. Variante del Tema-1 (SIb > MIb) in funzione di transizione.
10’36” Tema-1 in MIb maggiore.
10’58” Controsoggetto in Sib minore > Mib maggiore.
11’39” Tema-2 in MIb maggiore.
11'50" Coda. (Soppresso il da-capo della Sezione B.)
III. Menuetto (3/4) – Struttura Menuetto-Trio-Menuetto.
12’09” Tema Menuetto (SOL minore).
12’26” Tema Menuetto (da-capo).
12’43” Controsoggetto.
12’55” Tema Menuetto.
13’18” Da-capo (12’43”).
13’53” Trio (SOL maggiore). Sezione A, ripetuta.
14’19” Trio. Sezione B, ripatuta.
15’01” Tema Menuetto (SOL minore).
15’19” Controsoggetto.
15’32” Tema Menuetto.
IV. Allegro (4/4) – Struttura A-B con da-capo per entrambe.
16’00” Sezione A. Primo tema in SOL minore, esposto dagli archi e subito ripetuto a piena orchestra.
16’23” Secondo tema (prima sezione) in SIb maggiore.
16’38” Transizione.
16’59” Secondo tema (seconda sezione) in SIb maggiore.
17’11” Transizione (Primo tema in maggiore).
17’51” Da-capo della Sezione A.
19’40” Sezione B. Fugato sul frammenti del Primo tema.
19’54” Transizione.
20’24” Primo tema (SOL minore) subito ripetuto.
20’46” Secondo tema (prima sezione) in SOL minore.
21’00” Transizione.
21’26” Secondo tema (seconda sezione) in SOL minore.
21’39” Primo tema.
22’18” Coda. (Soppresso il da-capo della Sezione B.)
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Blacher non ci risparmia una sola nota del Teofilo, rispettando
meticolosamente tutti i ritornelli previsti in partitura, e di ciò gli
dobbiamo essere grati, poiché è musica che non ci si stanca mai di ascoltare e
riascoltare. Poi ci mette una gran verve,
eseguendo il Menuetto con
il piglio riservato solitamente agli Scherzi ottocenteschi!
Ne esce un Mozart invero spumeggiante, che trascina il
pubblico (che ha riempito la platea dell’Auditorium) a convintissimi applausi. Da osannare i corni guidati da Ceccarelli.
___
La WWII sta per finire (il simpatico terzetto Churchill,
Roosevelt e Stalin si è appena riunito a Yalta per spartirsi
salomonicamente il mondo) e il quasi ottantunenne Strauss vive ritirato nella splendida
villa di Garmisch (meritato frutto dei proventi della sua Salome)
a meditare sull'ormai imminente disfatta della Germania, e con essa anche del
suo ideale guglielmino, la cui realizzazione aveva (abbastanza opportunisticamente)
appaltato a tale Adolf Hitler. Il 13 marzo del 1945 – precisamente
all'indomani del bombardamento dell'Opera di Vienna - verga le prime note
di Metamorphosen, che sta rimuginando da qualche
tempo, nach Goethe. Le ultime le scrive in partitura esattamente un
mese dopo, giovedi 12 aprile (proprio mentre gli occupanti sovietici entrano in
Berlino e Roosevelt trasloca presso il creatore); ci infila, nei righi dei
violoncelli 3-4-5 e dei tre contrabbassi, una citazione letterale
della marcia funebre dell'Eroica, aggiungendovi sotto il motto In memoriam!
Non
l'avesse mai fatto! Un azzeccagarbugli olandese - stando a Bruno Walter,
che ne raccolse l'indignazione – ci troverà un'analogia con Napoleone,
dedicatario originale della terza, e dichiarerà quindi trattarsi di
un anticipato epitaffio a Hitler (a quel tempo ormai asserragliato
nel suo bunker, dove si preparava a festeggiare con qualche piccolo grattacapo
il 56° compleanno) e quindi da bandirsi come apologia del nazismo (?!)
Pochi
giorni dopo, precisamente nelle stesse ore del 30 aprile in cui il Führer si
decide a togliere il disturbo, a Garmisch arrivano gli occupanti americani per
requisirgli la villa: salvata questa per puro miracolo (vuole il caso che
l'ufficiale esecutore, un altro olandese, sia un ammiratore delle sue opere!) Strauss
si concede un (tardivo?) sfogo contro guerre e guerrafondai, convinto che quel
1° maggio sia l’inizio di un nuovo mondo. Che per lui però diventa un mondo di
miseria! Poiché il vegliardo non può sfuggire agli oneri (umiliazioni incluse)
della de-nazificazione e così – quattro mesi dopo aver
compiuto le 81 primavere – parte (con Pauline e un paio di valigie,
null’altro) per il suo esilio in Svizzera (si direbbe… sulle orme di Wagner)
dove chiuderà la sua interminabile stagione continuando a scrivere musica - e che
grande musica! - come il Concerto per oboe e gli ultimi Lieder,
prima di tornare – nel 1949, ma ormai solo per morirvi - nella sua casetta di
Garmisch.
In
Svizzera, Strauss dovette inizialmente mendicare un po' di compassione, e ne
trovò parecchia in tale Paul Sacher (niente a che vedere con le torte viennesi)
un musicista diventato anche, per tramite di un matrimonio farmaceutico,
uno degli uomini più ricchi del globo, e musicalmente assai attivo sulla
direttrice Basilea-Zurigo. E proprio Sacher - lui accanito sostenitore della
musica moderna e senza alcuna affinità elettiva con quella di Strauss - venne
generosamente incontro al vecchio marpione, allora caduto in disgrazia (ma se l'era
ampiamente voluta, cercata e meritata, o no?) patrocinando prima la
composizione e dirigendo poi, a fine gennaio 1946, la prima esecuzione di Metamorphosen,
da parte del Collegium Musicum Zürich, da lui fondato pochi anni
addietro. Insomma, un poco più in piccolo, interpretò il ruolo che Otto
Wesendonck aveva ricoperto quasi un secolo prima nel caso-Wagner.
Ecco perché nell'edizione a stampa il lavoro è doverosamente dedicato a Sacher
e al CMZ.
Un
lavoro in cui Strauss sembra aver voluto dolorosamente incapsulare tutto
un passato: massimamente – proprio nel momento della catastrofe
del Terzo Reich - il glorioso sette-ottocento tedesco, da Bach
a Beethoven a Bruckner, da Wagner a Mahler…
A parte Beethoven, Franco
Serpa individua un frammento (riquadri rossi) del lamento di
Marke alle battute 18-19:
Questa
non è una citazione testuale, ma una vaga reminiscenza, peraltro pertinente al
soggetto straussiano, il tradimento di Tristan che evoca il tradimento perpetrato
ai danni della cultura tedesca.
Invece le quattro note riquadrate in blu vengono solitamente associate a
diverse fonti: la Quinta beethoveniana (terzo movimento); il finale
della Jupiter (seconda sezione del tema principale); e la bachiana Fuga
dalla BWV1001.
E adesso
però faccio anch'io il pierino, aprendo una parente: nel tema iniziale -
e colonna portante dell'intera opera - che scende da dominante a sensibile di
DO minore, non si può non riconoscere, oltre alla seconda sezione del primo
tema della marcia funebre dell’Eroica, anche (diciamo pure… beethovenizzato) quel
motivo che è universalmente noto come Adagio di Albinoni.
Che
sappiamo essere in realtà una ricostruzione assai personale e controversa,
fatta nel 1958 (9 anni dopo la scomparsa di Strauss) da Remo Giazotto su
pochi schizzi di Albinoni recuperati a Dresda sotto le macerie dei
bombardamenti alleati. Ma proprio l’ubicazione di quegli schizzi (Strauss pur
non avendo mai abitato a Dresda vi soggiornò a lungo – e ovviamente ben prima
dei bombardamenti! - per presentarvi parecchie delle sue opere) potrebbe far
supporre che lui abbia magari potuto incapparvici. Ma perché allora non
immaginare anche che sia stato direttamente Beethoven (che pure visitò Dresda a
fine ‘700 per le sue tournée concertistiche) ad incontrare quegli schizzi,
ricordandosene anni dopo per l’Eroica? Più plausibilmente la parentesi si può chiudere anche
sostenendo che fu il furbacchione Giazotto a mettere in… bocca ad Albinoni (e nelle tasche sue!) il
tema di Beethoven-Strauss!
Invece, a dispetto dell'assenza di armatura di chiave e della presenza
di innumerevoli modulazioni, anche nelle Metamorphosen non si trova alcun
ammiccamento alla nuova musica, che a Strauss rimase totalmente
estranea, sino alla fine. La forma è vagamente tripartita (A-B-A) con le sezioni esterne in tempi
lenti (Adagio ma non troppo, Adagio, 4/4) e quella centrale più mossa (Più
Allegro, 4/4 alla breve). C’è chi sostiene che l’impianto formale
e tonale intenda rappresentare – in termini schiettamente musicali, attraverso la deformazione
della forma-sonata e la finale prevalenza del DO minore sul DO
maggiore – la corruzione
e la definitiva distruzione di un mondo di valori da parte di barbariche forze eversive. Così
lo interpreta il giovane Direttore italo-australiano Carlo Antonioli in
questo studio dove, partendo da un’asettica analisi musicale, arriva a
concludere che Metamorphosen si può intrepretare come una dolorosa presa d’atto
non solo della fine – con la Germania ridotta in macerie – di un ideale
politico, ma anche di una secolare, gloriosa tradizione culturale e musicale,
che lo stesso Strauss immodestamente faceva iniziare da Bach e - passando per
Mozart, Beethoven, Berlioz, Liszt e Wagner – finire con… sè medesimo! ___
Dire
che è stata un’esecuzione letteralmente strepitosa è ancora poco: i 23 archi
dell’Orchestra (guidati da Dellingshausen) si sono davvero superati e
Blacher da parte sua ha dato di questo enigmatico brano un’interpretazione di
una essenzialità estrema. Ne è testimone il pathos creato nella sezione
centrale Più Allegro, portata davvero al parossismo, per poi precipitare
nell’abisso dell’Adagio conclusivo, dove la pietas beethoveniana ha
strappato le lacrime: insomma, una cosa che posso solo definire sbudellante!
Peccato
solo che non ci siano repliche.
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