Dopo il Ciro, ecco il Bruschino,
in seconda recita ieri al Rossini. Opera presentata da
sola, mentre data la sua relativa brevità (75’ circa) di solito la si abbina ad
altre dello stesso genere (quindi farse, normalmente). Una volta però (1938,
alla Fenice) fu propinata quasi come
antidoto (smile!) ad una tragedia: nientemeno
che l’Elektra di Strauss!
E forse per…
allungare un po’ i tempi l’opera viene qui introdotta da una simpatica
presentazione di RossiniLand, un
parco divertimenti tematico, le cui attrazioni sono i vari capolavori del
maestro pesarese di cui udiamo, registrati, spezzoni di brani famosi. Addetti
all’organizzazione degli eventi del parco stanno dando gli ultimi ritocchi al
padiglione dove sta per iniziare la recita del Bruschino; arrivano gli
interpreti che, nei loro camerini, indossano i loro pacchiani costumi di scena;
qualche visitatore si aggira curiosando qua e là; arrivano anche gli ultimi
orchestrali, che prendono posto nella buca e infine… ecco giungere di corsa Daniele Rustioni che scende sul podio e attacca la Sinfonia.
La quale – un vero
gioiellino - è costruita su un modello assai semplice, già impiegato da Rossini
in precedenza, come ad esempio ne L’inganno
felice (1812) imprestato poche settimane dopo al Ciro: struttura bitematica (anche qui RE e LA maggiore, tempo Mosso) con breve introduzione (Allegro). Esposizione dei due temi, poi
ripresa degli stessi, dove il primo tema chiude su una sesta napoletana e
prepara la strada al ritorno del secondo – variato nella strumentazione, con
oboe al posto del flauto - nella tonalità d’impianto (RE). Quelli che
diventeranno i famosi crescendo
rossiniano non mancano anche qui di farsi vivi a chiudere temi e sinfonia.
Famola strana, sembra aver pensato
Rossini, che ci infilò quegli impertinenti colpi di archetto picchiato sul
leggìo (qui sul paralume) dai secondi violini: una trovata che non piacque
molto al pubblico della prima (27/1/1813)
che accolse malissimo l’opera, subito ritirata dal Teatro San Moisè di Venezia (ma si dice fosse un fiasco preparato a
tavolino, motivato da contrasti fra Rossini e l’impresario e non certo da
intrinseche deficienze dell’opera; Rossini, solo 10 giorni più tardi, trionferà
alla Fenice con Tancredi).
La trama della farsa giocosa (di Giuseppe Foppa) è di quelle classiche quanto improbabili: il tenore è un giovane (Florville)
innamorato (corrisposto) di un soprano
(Sofia) affidata alle cure di un basso
(il ricco tutore Gaudenzio). Costui ha però promesso Sofia ad un altro tenore (Bruschino-junior) solo perché
figlio di un altro basso
(Bruschino-senior) che evidentemente pagava bene… Altri tre personaggi di
contorno sono il locandiere Filiberto, la cameriera Marianna e il Delegato di
Polizia.
Riuscirà il simpatico
Florville a sposare la dolce Sofia? Ovviamente sì, come in tutte le storie a
lieto fine, ma solo attraverso una serie di fortuite combinazioni e l’impiego
di trucchi, millanterie, scambi di persona, manovre di corruzione e… falso
ideologico!
Una curiosità: il
tenore che interpreta Bruschino-junior entra solo nel finale cantando, anzi
balbettando, non meno di 15 battute di musica, con una linea di 5 sole note
(LA-RE-SIb-LA-RE) sui versi Padre mio!
Sono pentito! (Peggio dell’aria del SIb di Argene nel Ciro, smile!) Ecco perché, per fare economie-di-scala, qui al ROF come anche
alla prima di Venezia la parte è
cumulata con quella del Delegato di Polizia (anche se nell’originale
quest’ultimo sarebbe un basso… ma tanto deve a sua volta cantare poche note da
solo, più un concertato e qualche frase di recitativo.)
Torniamo al ROF:
questo allestimento è opera di un collettivo registico fiorentino, Teatro Sotterraneo, che si avvale delle
scene dei ragazzi della Scuola di
scenografia dell’Accademia di Belle
Arti di Urbino.
Premesso che una
farsa si presta per definizione a qualunque tipo di trattamento, va dato merito
ai gruppi di regìa e scene-costumi di averci cucinato un piatto assai gradevole.
L’ambientazione in un parco-divertimenti comporta l’interazione di comparse che
impersonano turisti in visita alle diverse attrazioni, che salutano i
protagonisti, scattano con loro foto-ricordo o gli chiedono autografi, o vivaci
scolaresche con relative maestre, che creano un minimo di animazione in uno
scenario che altrimenti più statico non potrebbe essere. Talvolta servono anche
come didascalia, ad integrare simpaticamente ciò che si recita: ad esempio
entrano due ragazzi che si mettono ad amoreggiare dietro un divano, mentre
Gaudenzio tiene a Sofia la sua improbabile lezione sulle delizie del
matrimonio… Celebrato il quale in fretta e furia da Gaudenzio, la bella Sofia
volta le spalle alla platea e vi lancia il suo bouquet!
A metà dell’opera,
dopo il terzetto Bruschino-Florville-Gaudenzio, c’è ancora una piccola pausa
dove passano in scena altri addetti del parco, uno dei quali inalbera un
cartello con la scritta Guillaume Tell,
chiaro messaggio pubblicitario in vista del ROF-34.
Insomma: uno
spettacolo godibile, costruito con intelligenza e buongusto. Al successo del
quale ha contribuito tutta la compagnia di canto e suono: su tutti Carlo Lepore (Gaudenzio) accolto da
un’autentica ovazione; poi Roberto
DeCandia, un divertente Bruschino. Maria
Aleida nei panni di Sofia ha sciorinato la sua gradevole vocina (compresi
alcuni sovracuti degni di Zerbinetta)
e David Alegret è stato un Florville
più che discreto. Così come Chiara Amarù (Marianna) e Andrea Vincenzo Bonsignore (Filiberto). Francisco Brito ha impersonato degnamente il Delegato di Polizia e
la macchietta del Bruschino-figlio.
Daniele Rustioni ha condotto con
piglio e verve (compresi i saltelli sul podio) i bravi ragazzi dell’Orchestra Rossini, lodevolmente
affiancati da Carmen Santoro al
fortepiano.
A tutti il folto
pubblico – direi a maggioranza decisamente straniera - che assiepava il Rossini
ha tributato un successo caloroso.
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