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16 dicembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.6

Il sesto concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano vede sul podio il Wunderkind Thomas Guggeis che dirige un programma fatto tutto (si potrebbe dire) in famiglia.

Siamo infatti a casa Schumann e ci troviamo un frequentatore abituale: Brahms. Entrambi pubblicheranno 4 Sinfonie e il concerto prevede l’esecuzione delle due Terze. Gli esegeti si sono sbizzarriti nel proporre più o meno improbabili similitudini e confronti: uno di questi apparenterebbe le due sinfonie all’Eroica beethoveniana: entrambe hanno i movimenti esterni assai energici, il primo di entrambe è in tempo 3/4 e una di esse ha pure il MIb di impianto…

In realtà sono due sinfonie dal carattere sereno, in modo maggiore (MIb per Schumann, FA per Brahms). Schumann evoca la Natura, sotto le spoglie del più grande fiume romantico, il Reno (nel quale romanticamente si getterà, totalmente uscito di melonera…) e dell’austero gotico della Cattedrale di Colonia; nella sinfonia del secondo la padrona di casa, Clara, dichiarerà di vedere (primo movimento) boschi e foreste con il sole che sorge dietro gli alberi, i boscaioli (secondo movimento) inginocchiati ai piedi di una cappella nel verde, e ancora lo sciacquio del ruscello ed il ronzio degli insetti… (quindi, niente di eroico, ma una Pastorale? Dopo un’altra pastorale, la Seconda?)

Questi due esempi possono farci riflettere sull’eterno problema dell’essenza della musica. Nel caso di Schumann la Sinfonia fu dallo stesso Autore inizialmente arricchita di attributi extra-musicali: un mattino sul grande fiume, l’austera cerimonia in una chiesa… attributi poi ritirati per far posto all’invito all’ascoltatore ad abbandonarsi alle note, solo da esse traendone gratificazione (40 anni dopo il suo epigono – e ri-orchestratore - Mahler cadrà nella stessa trappola). Quanto a Brahms, che nulla lasciò trapelare della sua ispirazione per la Sinfonia, la reazione di Clara è la lampante dimostrazione che i suoni (o certi suoni) possono generare o far emergere dal profondo della psiche umana immagini o sensazioni extra-musicali.

In questo concerto andiamo a ritroso nel tempo, ascoltando per prima la Terza Sinfonia di Brahms (1883). E qui conviene domandarsi il perché di questa sequenza, che oltretutto spiega e giustifica anche il titolo dato al concerto: La Renana.

E la risposta alla domanda sta nelle note Brahms-iane che arrivano quasi subito alle nostre orecchie: sì, perché sono di… Schumann! 

Brahms eleva alla dignità di primo tema dell’esposizione un motivo che Schumann aveva impiegato marginalmente, 33 anni prima, nella ripresa del movimento iniziale della sua Terza: senza dubbio un omaggio al grande amico e sostenitore, ed allo stesso tempo un esplicito riferimento al soggetto extra-musicale che lo aveva ispirato (il Reno fiancheggia proprio il lato sud di Wiesbaden, dove Brahms compose la Sinfonia). 

Ma se si tratta di Reno, come si fa a non citare un convitato di pietra a questo concerto: Richard Wagner, che al grande fiume si ispirò per la sua Commedia renana. Nella quale troviamo almeno tre Leit-Motive basati su una variante (la sesta invece della tonica di partenza) del tema schumanniano: le Figlie del Reno, il Sonno e l’Uccellino del bosco.  

Sarebbe azzardato affermare che Wagner abbia mutuato il suo tema da Schumann: è ben vero che la musica del Ring vede la prima luce almeno un paio d’anni dopo la Renana, ma è difficile immaginare che il Wagner migrante perché inseguito da un mandato di cattura potesse perder tempo a scopiazzare partiture altrui non ancora fresche di stampa…

Invece, a proposito di Wagner, l’esternazione di Clara richiama alla mente il cosiddetto Waldweben (il mormorio della foresta, second’atto del Siegfried) composto 7 anni dopo la Sinfonia del marito e 26 prima di quella dell'amico prediletto! Ed era una indiretta risposta al purista Eduard Hanslick (convinto ammiratore di Brahms, si noti) che negava alla musica qualsivoglia capacità di esprimere (menchemeno di descrivere) alcunchè, al di fuori di se medesima. Ma alla base di ciò vi era un grande equivoco: di certo, senza un testo cantato o almeno ad essa associato dall’esterno (tipo il soggetto di un Poema Sinfonico) la musica da sola nulla può descrivere; ma invece è fuor di dubbio che qualunque musica, indipendentemente da ciò che può averla ispirata, sia in grado di suscitare in noi le più diverse sensazioni, o evocare alla nostra mente immagini, oggetti e persino concetti. 

Dopodichè ciascuno di noi può abbandonarsi a fantasticherie indotte dall’ascolto di un brano musicale, oppure limitarsi a (possibilmente) godere di esso la macro- e la micro-struttura, esclusivamente dal punto di vista estetico. Accade lo stesso alla vista di un dipinto, di cui si può ammirare il contenuto esteriore, oppure il magistero artistico dell’Autore.      

Ecco, nel caso di entrambe le Sinfonie in questione, hanno ragione sia Clara che Hanslick: e il merito è dei due Autori, che hanno saputo costruire le loro opere con tale maestria da consentire a noi fruitori di apprezzarle per ciò che evocano alla nostra mente, oppure per il puro piacere estetico suscitatoci dal loro ascolto.

Le tre battute iniziali della Sinfonia recano altrettanti pesanti accordi di FA-LAb-FA, autentico motto dell’opera, dallo stesso Brahms sintetizzato come FaF, che decodificato sta per Froh aber Frei, felice ma libero. (Oggi magari, in servile omaggio ai nostri nostalgici governanti, potremmo tradurlo: Libero e Giocondo !?!)

Motto che tornerà a più riprese (e spesso quasi in incognito…) nel corso dell’iniziale Allegro con brio e infine, significativamente, a chiudere con procedimento ciclico l’intera Sinfonia, con la mutazione in modo maggiore (FA-LA-FA) cui segue una vera perla di Brahms: il tema schumanniano trasfigurato nei violini:

Che purtroppo si rischia sempre di perdere, essendo suonato in pianissimo contro il piano dei corposi accordi dei fiati…
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Ed ecco la Renana, come ormai si chiamerà nei secoli, a dispetto del disconoscimento del nick da parte del suo Autore. L’avevamo ascoltata e apprezzata qui – proprio nell’orchestrazione di Mahler - poche settimane orsono, interpretata dall’ensemble Spira Mirabilis; ieri è risuonata ancora in tutto il suo splendore, una vera gioia per l’orecchio e per… l’anima!
È costruita sul modello (variato) della Pastorale beethoveniana: cinque movimenti, con lo Scherzo avanzato in seconda posizione e un (insolito) quarto movimento di carattere severo, prima del radioso finale. Un modello che il suo epigono Mahler impiegherà per tre (più una… o due…) delle sue nove (dieci...) sinfonie. (Poi anche Édouard Lalo baserà sulla stessa struttura, incluso il quarto movimento serioso, la sua Symphonie Espagnole.)
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Orchestra in grande spolvero, in primis la retroguardia dei fiati, qui messi davvero a dura prova e giustamente lodati dal Direttore al termine di ciascuno dei due brani.

E, appunto, Guggeis? Ormai non c’è più nulla da scoprire, solo da apprezzare. Anche ieri ha confermato le sue doti (innate, penso proprio) di interprete raffinato. Innanzitutto, in Brahms, la stringatezza ed essenzialità (tempi e dinamiche) che nulla ha concesso a divagazioni o facili libertà. In Schumann invece un sapiente uso del rubato e di piccole variazioni agogiche sempre impiegate con equilibrio e misura.

Il suo gesto, a volte fin troppo appariscente, altre assai secco e imperioso, può far nascere qualche riserva, ma complessivamente le due prestazioni mi son parse di grande livello e proprio da incorniciare.

E così pare averla pensata anche il pubblico (di un Auditorium non affollatissimo, per la verità) che non ha lesinato ovazioni ed applausi ritmati al Direttore. Il quale, da parte sua, si è modestamente limitato a due sole uscite alla fine dei due brani in programma.  

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