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05 febbraio, 2012

L’Angelo di Fuoco riscalda Torino


Ieri seconda rappresentazione de L'angelo di fuoco di Prokofiev al Regio di Torino, praticamente esaurito a dispetto del termometro che ormai segna temperature a due cifre e in ulteriore crescendo, stando ai divinatori (il segno davanti è ininfluente, smile!)

La produzione del Mariinski sarà anche vecchia di 20 anni, ma mantiene tuttora tutte le sue eccellenti caratteristiche. La regìa di David Freeman è più che mai attuale, per la semplice ragione che… propone praticamente alla lettera il libretto e la partitura di Prokofiev. Rispetto ai quali l'unica - importante e positiva - innovazione è costituita dalla perenne presenza in scena (immobili o in azione) dei demoni che sono in effetti i protagonisti occulti dell'opera: si tratta di mimi, in calzamaglia bianca.

Li vediamo da subito aggirarsi attorno al letto di Renata, mentre nella stanza accanto è arrivato Ruprecht. Le immagini qui supportano alla perfezione la musica. Infatti, per rappresentare personaggi, situazioni, stati d'animo, sentimenti, Prokofiev impiega in modo esteso, ma tutto sommato tradizionale - ottocentesco si potrebbe dire - i classici ingredienti della musica tonale. E precisamente mentre Ruprecht si sta coricando, avvolto nel suo mantello, ricordando notti in fondo ben più terribili di quella che si appresta a trascorrere nella lurida locanda in cui è costretto ad alloggiare, ecco che l'oboe, per due volte (doppiando con i primi violini in tremolo le note cantate dal cavaliere) e subito dopo per una terza ancora - in unisono con il corno inglese, un attimo prima che dalla stanza accanto si oda la voce terrorizzata di Renata - esala un motivo che scende dal DO# al SOL, per poi risalire al LA:

Il primo intervallo è lo sbifido tritono che da sempre, in musica, rappresenta il diabolus! E così abbiamo la spiegazione musicale della presenza dei demoni sulla scena, e la conferma di che razza di avventure ci aspettano.

È scontato che i personaggi principali abbiano una carta d'identità, che secondo le convenzioni musicali in auge fin dal primo '800, come minimo, è rappresentata da quelli che a partire da Wagner (che non ha inventato nulla, ma ha innovato quasi tutto) si chiamano Leit-motive, o motivi conduttori.

Il tema di Ruprecht viene esposto nelle prime due misure dell'opera: in fin dei conti è l'Autore (del romanzo, Bryusov, non Prokofiev) che si sta presentando al suo pubblico:

Il tema ha un tratto tipicamente eroico, o cavalleresco, come si addice allo status del personaggio: quindi una robusta e vigorosa salita per terze che culmina (siamo in LA minore) su un'impettita figurazione (DO-SI-DO) che, a parte la mancante acciaccatura e il ritmo un filino diverso, parrebbe l'incipit del bizetiano Toreador! Però il tema chiude con una discesa al LA, che sa tanto di cedimento, di ripiegamento, se non proprio di resa incondizionata (certo il tutto potrebbe anche evocare l'atto del classico saluto militare, con la mano che sale alla visiera e poi ricade sul fianco… non dimentichiamo che Ruprecht è un graduato dell'esercito lanzichenecco!)

Però l'idea del cedimento è suggestiva, in quanto suffragata da ciò che accadrà nel seguito: le ferree, apparentemente incrollabili e razionaliste convinzioni del nostro che pian piano cedono il passo ai dubbi assillanti, instillati nella sua mente dai comportamenti e dai racconti di Renata, e dai fatti razionalmente inspiegabili che si verificano in sua presenza.

Appare quindi Renata, accompagnata dal suo tema:


Un tema composto da due cellule di tre crome che percorrono gli intervalli di terza minore, il primo ascendente (qui MI-FA#-SOL) seguito dal secondo, discendente (qui MIb-RE-DO). Mirabilmente rappresentano la schizofrenica personalità della donna, sempre in bilico fra la ricerca della felicità e lo sprofondare nello sconforto; o i suoi bioritmi che oscillano in permanenza fra illusioni e disperazione; ma è anche un tema di fatto circolare, proprio come i cerchi magici che Renata studia sui testi di occultismo e che ne inquinano la mente, o il cerchio che nel finale le monache formano attorno a lei; un cerchio che di fatto richiama e risucchia al suo interno, come in un buco nero, i demoni che la perseguitano.

Madiel-Heinrich compare solo in racconti o in spettrali visioni. Il suo tema - legato all'Angelo - è per l'appunto angelico, come ci chiariscono le viole al suo primo completo apparire, allorquando Renata, nella sua lunghissima esternazione a Ruprecht accorso in sua difesa, ricorda gli inebrianti momenti trascorsi in compagnia dell'occulto accompagnatore:


Ecco, fin dai primi momenti dell'opera abbiamo avuto la presentazione dei componenti del triangolo (lui, lei e l'altro) che si muovono all'interno di questo mondo esoterico e misterioso. E che vi interagiscono secondo regole quasi ferree: il canto con cui Ruprecht (Libera me Domine) scaccia i demoni che assillano Renata ha la stessa martellante pesantezza di quello che nel finale l'Inquisitore impiegherà per inchiodare la medesima Renata con l'accusa di stregoneria, sanzionata quindi con la condanna estrema.

Intanto il primo atto si è chiuso con il siparietto della veggente, che per la modica cifra di 18 corone ha divinato tutto il male possibile per Renata e chi le sta accanto.

Nel secondo atto compare materialmente il cerchio, che Renata – leggendo un tomo di magìa, traccia sul pavimento, in presenza dell'esasperato Ruprecht, che ormai vive solo con l'obiettivo di accasarsi borghesemente con la donna. Ma i demoni sono lì, li vediamo subito muoversi e danzare intorno alla stanza, fino all'udirsi del primo colpo, poi del secondo che spaventa il cavaliere (lasciando dapprima indifferente la donna) e poi di tutte le successive sequenze di tre colpi che certificano trattarsi di fenomeni tutt'altro che onirici, e che illudono Renata dell'imminente arrivo di Heinrich-Angelo-Madiel. Mirabile qui l'accompagnamento degli archi divisi in 13 parti (3 parti per violini primi, secondi, viole e violoncelli, più i contrabbassi) ad evocare – con impiego di armonici e rapide quartine di semicrome - un'atmosfera davvero raggelante. Ma Heirich non arriva, e la delusione della donna è proprio di quelle che spaccano il cuore, come splendidamente ci fa capire l’orchestra, con gli strumenti che suonano divisi, chi in 2/4 e chi in 6/8, con un effetto-sincope-eco strabiliante!
L'Entr'Acte che prepara l'incontro di Ruprecht con Agrippa evoca insieme il viaggio materiale del cavaliere (che nel romanzo deve spostarsi da Colonia a Bonn – 40Km, più o meno - dove Agrippa aveva al momento la sua residenza) ma soprattutto il tumulto che regna nel suo cervello, dove ormai è in corso un viaggio ben più drammatico e sconvolgente: quello che lo sta portando dal mondo rassicurante, perché conosciuto, della razionalità a quello sconosciuto, e quindi terrificante, dell'occulto. E infatti in scena vediamo Ruprecht in viaggio circondato dagli onnipresenti demoni.

Di cui troviamo, in casa di Agrippa, tre esemplari (in calzamaglia scura!) che impersonano i tre cani neri del mago. Il quale replica violentemente alle insinuazioni di Ruprecht che gli rinfaccia tutto quanto di male si dice in giro di lui. Ma ecco i tre scheletri (che come nelle migliori tradizioni escono… dall'armadio!) che lo sbugiardano apertamente. È però il filosofo-mago-ciarlatano ad avere l'ultima parola, più sibillina che mai: la vera magìa è la spiegazione di tutti i misteri

Il terzo atto è inizialmente ambientato fuori dall'abitazione di Heinrich. I demoni imperversano, occhieggiando anche dalle strette finestre della casa; altri ne escono con abiti borghesi sopra la calzamaglia bianca, quasi a farci capire che un demone si può nascondere anche sotto le spoglie di un qualunque, apparentemente normale, cittadino…

Dopo che Ruprecht ha sfidato Heinrich a duello e dopo che Renata si è rimangiata la sua decisione di veder morto l'amato-odiato angelo-demone, ecco l'Entr'Acte che in qualche modo evoca il duello fra Ruprecht ed Heinrich (duello che qui vediamo proprio in presa diretta). Si caratterizza per la presenza dei temi dei tre personaggi principali: i due duellanti, naturalmente, ma anche Renata che – non dimentichiamolo – è la posta in palio, come del resto lo fu Nina Petrovskaja anche nel duello del 1904 – fermatosi peraltro all'uso delle sole armi poetiche – fra Bryusov-Ruprecht e Belyj-Heinrich, ai tempi del triangolo che ispirò al primo il romanzo, messo poi in musica da Prokofiev. Curioso qui che – oltre ai due duellanti - anche alcuni demoni si mettano a lottare fra di loro: evidentemente anche al loro interno si formano tifoserie e fazioni!

L'atto quarto, dopo la scenata con auto-ferimento di Renata, che abbandona Ruprecht per andare (a far casino, smile!) in un monastero, ecco il siparietto, fra il grottesco e il ridicolo, dell'arrivo di Faust-Mefistofele. Anche qui c'è dell'occultismo, ma proprio di quello da avanspettacolo, con il diavolo rosso che si mangia il garzoncello, stando dentro una botte, e poi lo fa ritrovare – vivo e vegeto - all'oste in un'altra… Davvero bestiali qui gli autentici barriti dei corni che accompagnano il ripugnante pasto!

L'atto conclusivo è per sua natura quello che meglio si presta a fare spettacolo. E qui lo spettacolo non manca di certo, con quella specie di crescendo di isterie (delle monache, ma anche dell'Inquisitore e dei suoi) che portano al selvaggio sabba, dove ancora – come era accaduto nel primo atto (la pesante invocazione di Ruprecht che accompagnava l'ossessivo ripetersi del tema di Renata) – abbiamo lo stridente contrasto fra l'orgiastico concertato delle suore (alcune delle quali aiutate dai demoni a liberarsi delle vesti) e le spaventevoli declamazioni dell'Inquisitore, prima che un abbagliante fascio di luce investa la scena e il RE bemolle all'unisono di tutta l'orchestra (appena arricchito dal FA di ottavino, flauti e clarinetti) chiuda la vicenda.

La compagnia di canto si è mostrata davvero all'altezza della prova (non fa troppo rimpiangere quella di cui Gergiev disponeva negli anni '90, immortalata in CD); su tutti naturalmente Mlada Khudoley, che ha il compito più gravoso, per quantità e qualità; compito che ha portato a termine con grande sicurezza. Buona la prova di Nicolaj Putilin nei panni del lanzichenecco, come quella dell'Agrippa Leonid Zachožaev. L'Inquisitore di Michail Petrenko è dotato di bella voce… purtroppo in parte annegatasi nel gran bailamme delle invasate monachelle. Tutti all'altezza i comprimari, che non cito rimandando alla locandina; una nota speciale però per il gruppo di soprani e mezzosoprani: le due novizie e le sei monache, queste ultime che danno vita al tumultuoso finale, insieme con il coro femminile.

Gergiev non è da scoprire oggi, e con quest'opera poi ha un legame particolare. (Una curiosità: lui utilizza la partitura basata sulla versione di Parigi del 1927, con testi in francese, inglese e tedesco. Il testo russo è scritto a mano sotto gli altri tre! Sappiamo che il manoscritto originale con testo russo fu ritrovato insperatamente a Londra nel 1977). Il suo ex-ragazzo-di-bottega (smile!) Noseda evidentemente gli deve aver preparato il terreno nel migliore dei modi, a giudicare dal livello eccellente della prestazione dell'Orchestra. Come di quella del Coro di Fenoglio (donne sulla scena e maschi in buca) applauditissimo.

Per chiudere: ancora un grande risultato da aggiungere al curriculum del Regio. Certo, non è tutta e sola farina del suo sacco, ma anche saper ospitare degnamente produzioni aliene è un merito non da poco.
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3 commenti:

daland ha detto...

@Costanza
grazie dell'emoticon! (per i non-addetti-ai-lavori: è una faccina sorridente, nella fattispecie...)

Amfortas ha detto...

Un mio amico presente in sala era entusiasta di questo spettacolo, ora gli mando il link del tuo articolo.
Sono ben felice per il Regio, che davvero si distingue nell'altrimenti tristissimo panorama delle fondazioni liriche italiane. Lavorare bene si può, evidentemente.
Ciao!

daland ha detto...

@Amfortas
Come si usa dire, in un mondo di ciechi gli orbi sono dei fenomeni!
Come ripeto, l'Angelo non sarà un capolavoro assoluto, ma se presentato musicalmente e scenicamente con sapienza e professionalità produce uno spettacolo di prim'ordine.
Ciao!