ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

23 febbraio, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°18


L’eclettico Maxim Rysanov fa una nuova e gradita visita in Auditorium per presentare un programma tutto slavo.

Programma aperto da una composizione contemporanea (del 2006) di Dobrinka Tabakova, 39enne bulgara trapiantata in Albione: Suite in Old Style (The Courth Jester Amareu). Il giullare di corte Amareu è in realtà (anagrammando il cognome) Jean-Philippe Rameau ed è lui che fornisce l’ispirazione per questo brano musicale.

Rysanov è anche il dedicatario dell’opera - originariamente scritta per viola, clavicembalo e piccolo ensemble di archi, poi arricchita per un’orchestra d’archi e percussioni - che lui presentò in prima a Mosca domenica 21 gennaio 2007 ed ha poi portato in giro per il mondo, fino all’odierno approdo milanese. Possiamo ascoltare la versione per orchestra, proprio diretta ed interpretata da Rysanov, in questa esecuzione del 2015 a Madrid, una delle tante pubblicate in rete.

I sottotitoli che vi appaiono in sovrimpressione riportano quelli dei 5 movimenti in cui la Suite è suddivisa, che hanno riferimenti extramusicali, attinenti a scene di vita in ambienti nobiliari del ‘700 (Versailles, nientemeno...) La tonalità principale del brano (la Suite barocca era tipicamente mono-tonalità) è il RE minore, con qualche divagazione su tonalità vicine (ma il 4° movimento è in DO). Mutuata dalla tradizione è anche l’alternanza fra movimenti veloci e lenti:

- Preludio: fanfara dai balconi (lento) e ritorno dalla caccia (veloce)
- Attraversando corridoi di specchi (lento-veloce-lento)
- Il giardino delle rose al chiaro di luna (lento)
- L’indovinello del suonatore d’organetto (veloce)
- Postludio: caccia e finale (veloce-lento)

Che dire: senza conoscerne l’origine, si potrebbe davvero prendere per musica del ‘700! Il che può comportare un giudizio positivo, data l’indubbia gradevolezza del brano, o negativo, un comodo e facile sfruttamento di antiche forme e contenuti.

Rysanov, presentatosi in abbigliamento scamiciato, proprio da zigano (però dopo ha vestito il frac...) ha ovviamente dato il meglio per valorizzare il brano, con i suoi pregevoli virtuosismi, e quindi ci siamo goduti questi 20 minuti scarsi di musica orecchiabile e non parliamone più...
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Ma a proposito di scimmiottature di musica vecchia di secoli, ecco il secondo brano in programma, la Suite da Pulcinella di Stravinski. Al quale va però riconosciuto di aver sì impiegato modelli e melodie di Pergolesi&C, ma arricchendoli da par suo di contenuti squisitamente novecenteschi e orchestrando il tutto con la ricerca di raffinati timbri e sonorità.

Tutte qualità che Rysanov ha saputo benissimo mettere in risalto, ben assecondato dall’Orchestra con la quale mostra ormai (dopo diverse collaborazioni) di aver raggiunto un ottimo grado di affiatamento. Quintetto delle prime parti degli archi disposto attorno al podio, per valorizzarne gli interventi solistici; che riguardano anche altri componenti dell’orchestra, penso a trombe e tromboni, ma solo come esempi.

Successo pieno e applausi e chiamate singole per tutte le prime parti e le intere sezioni dell’orchestra.
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Chiusura in bellezza con la Quinta di Prokofiev. Figlia della WWII, fu composta nel ’44 in una specie di oasi in cui alcuni artisti considerati patrimonio dell’URSS erano stati ospitati per evitare di cadere sotto i bombardamenti tedeschi e poter trovare ispirazione per le loro opere. E Prokofiev, alloggiato con la moglie in un confortevole appartamento, trovò effettivamente l’ambiente e l’atmosfera adatti per comporre questa che è di sicuro la sua più nota sinfonia e forse è anche la più esteticamente pregevole.

Sinfonia dal carattere e dalla struttura classica: 4 movimenti, tonalità scolasticamente accostate (SIb - RE - FA - SIb) impiego della forma-sonata e poche innovazioni (il pianoforte a far da riempitivo e qualche tamburo assortito). L’atmosfera che si respira è le mille miglia lontana dai fragori e dalle miserie della guerra (quindi da ciò che componeva, vedi l’ottava sinfonia, lì nei pressi tale Shostakovich) e solo l’Adagio, quasi espressionista, fa eccezione alla regola.

Qui ce la propone, con i suoi del Marinskii, Valery Gergiev, che usiamo come cicerone per esplorarne sommariamente le bellezze.

L’iniziale Andante (SIb maggiore) è in forma sonata, quindi due sono i temi principali che lo caratterizzano (in realtà sono accompagnati da almeno quattro altri motivi di una certa rilevanza, quindi parliamo sempre di gruppi tematici):


Il tema A viene subito esposto, senza introduzioni di sorta, da flauti e fagotto e poco dopo (1’04”) è ripreso, quasi distorto nella tonalità, da archi e poi dai fiati e ancora sottoposto a varianti, esposto a piccoli nuclei che lo compongono e affiancato da motivi secondari. Si arriva al secondo gruppo tematico (3’02”) con il tema B (canonicamente nella tonalità dominante di FA maggiore) ancora esposto dal flauto accompagnato dall’oboe: alcune micro-sezioni del tema richiamano il tema A, a conferma della coerenza della struttura tematica. Anche questo tema si accompagna con motivi di supporto, viene ripreso e rielaborato, finchè si arriva alla chiusura dell’esposizione e all’inizio dello sviluppo (4’50”).

Il quale presenta dapprima il tema A, e poi il tema B, manipolati sapientemente e sempre accompagnati dai rispettivi motivi secondari. Mirabile anche l’orchestrazione, con un ribollire di effetti e un continuo rincorrersi fra le diverse sezioni.

Si arriva quindi (8’17”) alla ricapitolazione, che in realtà non ripresenta stucchevolmente i temi come uditi nell’esposizione, ma ancora li sottopone a sottili manipolazioni e/o li trasferisce da una sezione all’altra dell’orchestra. Il secondo tema (B) ricompare (10’00”, anche qui nel rispetto delle sacre regole) in tonalità SIb, seguito e accompagnato dai suoi motivi ancillari.

A 11’13” ecco la coda, aperta da pesanti perorazioni degli ottoni, basata ancora su spezzoni del tema A (qui in MIb maggiore) che si chiude con la massima enfasi su uno schianto di SIb maggiore di tutta l’orchestra.

L’Allegro marcato, in RE minore, può essere vagamente assimilato al tradizionale Scherzo, e si presenta infatti con tre sezioni, delle quali quella centrale, in tempo più lento, potrebbe lontanissimamente assomigliare al classico Trio, anche se qui è di proporzioni e articolazione colossali. I temi principali sono due, sempre accompagnati da motivi di supporto:


Il primo tema (13’23”, chissà se Nino Rota se ne è ricordato per le sue musiche di 8½) pare evocare sbuffanti locomotive lanciate a tutta velocità, o l’incessante lavoro di magli che modellano l’acciaio nelle fabbriche di armamenti... Viene al solito presentato e poi manipolato sapientemente, fino all’arrivo (1602”, meno mosso) del motivo B (RE maggiore) che introduce il secondo gruppo tematico (16’28” e poi 17’06”) di proporzioni enormi e in metro ternario, che viene chiuso ancora dal motivo B (18’14”). Riecco il primo gruppo tematico (18’45”) che si presenta quasi ansimando, sembra proprio una locomotiva che sta faticosamente mettendosi in moto, sbuffando sempre più affannosamente, finchè (20’03”) eccola lanciarsi ancora nella sua folle corsa! Che per la verità (ecco la coda, 21’24”) si interrompe bruscamente (21’48”) come sbattesse contro un muro... di RE minore!

Ora abbiamo l’Adagio, in FA maggiore, una vera oasi di calma (ma anche di severa riflessione) dopo cotanta agitazione. Un movimento francamente ostico e non facile (a differenza degli altri) a digerirsi al primo ascolto. É in forma ternaria, con una sezione centrale più mossa. Dopo 3 battute introduttive ecco il tema A esposto da clarinetti e clarinetto basso (22’11”) subito seguito da un paio di controsoggetti e poi ripetuto (23’15”) dagli archi in MI maggiore. Un altro motivo B è esposto (24’58”) per chiudere la prima sezione:

La parte centrale del movimento (26’07”) presenta un ritmo più mosso, con un ostinato asimmetrico (terzine e duine per battuta) e vi appare (come a 26’19” e poi a 26’48” e ancora a 28’05”) un motivo puntato (C) assai dolente che sfocia (29’28”) in una poderosa perorazione dell’intera orchestra.  

A 30’15” attacca la terza parte del movimento con la ripresa del tema A negli archi; poi riecco (31’48”) il tema B. A 32’38” arriva la lunghissima coda che il clarinetto conduce in un’atmosfera sempre più rarefatta, a chiudere questo movimento davvero sofferto!

Ed eccoci al finale Allegro giocoso, SIb maggiore. La sua struttura ternaria si presta in questo caso ad una interpretazione in termini di forma-sonata, con esposizione, sviluppo e ripresa, anche se spesso si indica la forma come rondo, per il periodico ritorno del tema principale. L’Introduzione (che attacca riprendendo il FA conclusivo del precedente Adagio) è caratterizzata dalle reminiscenze del tema principale dell’Andante (primo movimento) che appaiono rispettivamente a 35’13” (frammento) e a 35’25” (tema completo).

Le viole, imponendone il ritmo, danno l’attacco al tema A esposto dapprima (36’03”) dal clarinetto solo e poi, dopo una risposta dei violini, da legni ed archi (36’20”). Il secondo gruppo tematico (motivo B) è esposto dal flauto a 37’17”, poi ripreso ancora a 37’45”, sempre dal flauto spalleggiato dal clarinetto. Ancora il tema A (38’10”) attaccato dal clarinetto ad invitare il flauto per il suo completamento, cui segue un transizione che chiude questa prima parte del movimento (l’esposizione, in linguaggio di forma-sonata).


Ecco quindi la sezione centrale, o sviluppo (39’12”) che introduce per la verità un nuovo motivo C, di natura assai cantabile, che richiama nello spirito il tema A del primo movimento. Poi vengono rielaborati e manipolati i motivi esposti in precedenza, compreso il tema C, fino a concludere questa sezione.

La ricapitolazione inizia a 40’57”, con la riproposizione del tema A e poi (41’48”) del tema B. Ancora il tema A (42’15”) viene esposto a grande ampiezza, spezzato nelle sue componenti, e poi torna a farsi vivo (42’43”) enfaticamente nei corni. Con il tema C innesca infine una colossale coda, dove tiene banco, fra le percussioni, un insistito quanto impertinente martellamento del legno, che rende ancor più esilarante la conclusione della sinfonia.
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Anche questa sinfonia è ormai entrata nel vasto novero dei cavalli di battaglia dell’Orchestra, che anche ieri non si è smentita, tirando fuori un’esecuzione davvero encomiabile. Merito certamente anche di Rysanov, che mostra grande autorevolezza nella direzione e perspicacia nel mettere in risalto le tante perle di questa grande partitura (per dire, anche l’ostico Adagio è stato padroneggiato in modo da evitare assopimenti!) 

Pubblico anche ieri tutt’altro che oceanico, anzi: evidentemente se mancano Ciajkovski o Beethoven molti non si scomodano... ma anche stavolta hanno avuto torto.

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