Dato
che è quella che andrà in scena prossimamente al Piermarini, accingiamoci all’esplorazione
della versione di Shostakovich seguendone in rete un’esecuzione
assolutamente integrale, realizzata a Sofia nel 1986. In sostanza,
qui si ascolta tutto ciò che Musorgski ha composto per Chovanščina,
incluse quelle parti che - a giudicare dalle correzioni sui manoscritti e dalla
mancanza nel quaderno blu - il
compositore medesimo avrebbe magari espunto al momento di licenziare il suo
lavoro per l’esecuzione e la pubblicazione; in più si ascoltano le aggiunte
(nel finale) di Rimski e dello stesso Shostakovich. Come ausilio all’ascolto, ripropongo
il riferimento al libretto
multi-uso, che reca il testo integrale di questa versione dell’opera.
Ovviamente
tutti i riferimenti all’orchestrazione (così come gli esempi musicali riportati)
riguardano Shostakovich e non già Musorgski, che in proposito ha lasciato solo
scarne indicazioni sui suoi spartiti. Le differenze (spesso
marcatissime) fra questa strumentazione e quella di Rimski evidentemente
dipendono dai diversi approcci che i due orchestratori hanno tenuto: oggi si
tende ad accreditare maggior aderenza alla volontà dell’Autore al lavoro di
Shostakovich in quanto non condizionato (o meno condizionato) come quello di
Rimski da personali convinzioni estetiche o da sedicenti intenti migliorativi, e in compenso guidato da
tutti gli approfondimenti della conoscenza dell’estetica musorgskiana maturati
durante la prima metà del ‘900. Ma, così come accade per il Boris, anche qui la versione di Rimski
non è stata per nulla seppellita dalla storia, e conserva intatto il suo appeal su gran parte del pubblico.
___
Il Preludio (alba sulla Moscova) è caratterizzato dalla insistita reiterazione (non
meno di 11 ricorrenze) di un unico motivo affidato a strumenti diversi ed
esposto in forme sottilmente variate, nella melodia, nella scansione temporale,
nella tonalità e nell’armonizzazione:
Questo processo, che ritroveremo anche
più avanti, rischia di ingenerare all’orecchio dell’ascoltatore una certa qual
monotonia: qui il rischio è scongiurato dalle continue variazioni cui il motivo
è sottoposto; ma ad esempio nella canzone di Marfa dell’Atto III tale rischio si
materializzerà in modo clamoroso.
Si è già detto come questo riferimento
esplicito all’alba sia stato
interpretato, dagli ammiratori della figura di Pietro il Grande (Stasov e
Rimski in primo luogo) come un’allegoria dell’avvento dello zar innovatore.
Tesi che però non troverebbe conferma nell’atteggiamento dello stesso
Musorgski, il quale - a dispetto di aver fatto parte in qualità di ufficiale
del corpo militare creato da Pietro (la Guardia
Preobrazhenzki) - è sempre parso piuttosto tiepido nell’esaltarne la
figura.
Atto I - Veniamo a
conoscenza dello scenario di partenza del dramma e di tutti i suoi principali
protagonisti (Golicyn escluso). Ci
rendiamo conto così della situazione di totale caos istituzionale (tutti-contro-tutti e ciascuno-per-sè) che regna in quei
momenti a Mosca (e nell’intero Paese).
All’alzata del sipario (5’11”)
sulla Piazza Rossa di primo mattino, dopo un pesante rintocco del campanone del
Kremlino (amplificato per risonanza dal tam-ram) assistiamo alla scenetta
di Kuzka e dei suoi due commilitoni Strelcy (guardia speciale degli zar). L’atmosfera
sonora è più volte ravvivata da perentori squilli di trombette che arrivano dal
vicino Kremlino. Kuzka (che ritroveremo nel terz’atto) ha fatto un turno di
sentinella nella notte e ancora non è ben sveglio, mentre gli altri due vantano
le loro sanguinose imprese contro i boiari ribelli e a difesa della reggente Sofia e dei due fratelli-zar
(l’handicappato 15enne Ivan e il più
giovane di 5 anni, Pietro).
Arriva poi (7’29”) lo
scrivano pubblico, sbeffeggiato dagli
Strelcy, il quale a sua volta bestemmia (7’56”) contro la vita grama, mentre
si installa nella sua garitta. L’atmosfera piuttosto sbracata della scena viene
improvvisamente incupita dal sopraggiungere (8’11”) dello sbifido Šaklovityj, accompagnato
da un motivo minaccioso e protervo, proprio di chi è in condizioni di dettar
legge. Questo boiaro è un tipo poco raccomandabile e dalla personalità
indecifrabile (come scopriremo dai suoi contraddittori atteggiamenti nei tre
atti successivi). È arrivato lì per usare i servizi del pubblico scrivano, che
si prepara a servirlo, ma poi, di fronte ad oscure minacce del (per lui
sconosciuto) personaggio si schermisce e lo prega di andarsene. Il battibecco
fra i due mette in risalto musicalmente i loro diversi stati d’animo: calmo e
protervo quello di Šaklovityj (voce di basso); agitato e petulante quello dello
scrivano (tenore).
Scrivano che si convince però
rapidamente alla vista di una borsa di denaro che lo sconosciuto gli allunga.
Così si mette in ascolto della dettatura. Che inizia (10’20”) ovviamente con
l’indicazione dei destinatari: nientemeno che la zarevna e le massime autorità
dell’intera Russia! E il contenuto? Una denuncia (10’40”) a nome degli
stessi Strelcy contro il loro stesso capo, Ivan
Chovanskij, accusato di preparare un colpo di stato contro Sofia e fratelli
per portare sul trono il figlio Andrej!
Per sincerarsi che lo scrivano abbia
riportato quanto dettatogli, Šaklovityj gli chiede di rileggere. Qui (10’56”)
abbiamo un divertente contrappunto fra il canto dello scrivano, che legge il
testo della lettera a rotta di collo, sovrapponendo la sua voce a quella di un
gruppo di illetterati moscoviti che sfilano nella piazza cantando una
filastrocca abbastanza sconcia (torneranno a farsi vivi fra poco).
Šaklovityj (11’12”)
intima allo scrivano di completare la denuncia, dettandogli altri particolari
del progetto di golpe, che avrebbe obiettivi chiaramente reazionari: riportare
indietro la Russia sul terreno politico e religioso e i Chovanskij al potere. Lo
scrivano è in grande agitazione, già temendo le ritorsioni dei denunciati. Sopraggiunge
in quel momento (12’10”) un drappello di Strelcy che cantano spavaldamente, su
un motivo rozzo e protervo, la loro onnipotenza, cosa che mette in agitazione
anche Šaklovityj. Dopo che lo scrivano (12’59”) ha manifestato tutto il suo
disprezzo per quei boriosi quanto feroci militari, lo sconosciuto si
affretta (13’44”)
a concludere la sua denuncia, suggerendo prudenza in attesa degli eventi
e ribadendo che la missiva deve essere indirizzata alla zarevna. Un ultimo
scambio (14’19”)
di battute, preoccupate (lo scrivano) e minacciose (lo sconosciuto) pone
fine al loro incontro di... affari.
E proprio dei suoi
affari si occupa ora lo scrivano, apprestandosi (15’00”) a verificare il
contenuto della borsa lasciatagli dallo sconosciuto. Il quale - così sentenzia
- sarà pure ricco e potente, ma io sono più furbo di lui, chè ho scritto la sua
denuncia con la calligrafia di un tale che è morto!
Qui (15’53”)
abbiamo una lunga scena dove lo scrivano è coinvolto in una nuova
spiacevole faccenda, complice quel gruppo di buzzurri moscoviti che ripassa di
lì cantando la sua indecente filastrocca. Questa gente vive nella più
totale ignoranza di ciò che gli accade attorno, ed è quindi facilmente
strumentalizzabile da chiunque. Per capire cosa sta succedendo non ha altro
modo che farsi spiegare - da qualcuno che sa leggere, oltre che scrivere... -
cosa sta scritto sulle gride esposte in piazza. E una di esse campeggia proprio
lì, appesa ad una colonna: il canto goliardico del gruppo viene bruscamente
interrotto (16’10”) da un poderoso intervento (un MIb in unisono di fiati e
timpani) dell’orchestra, cui segue un truce motivo esposto ancora in unisono da
tutti gli archi, che si alternano poi ai ritorni dei fiati, chiusi da un
triplice accordo di questi, che sembra evocare le bocche aperte di quegli
ignoranti di fronte all’arcana presenza dei segni, per loro incomprensibili,
esposti su quella colonna eretta nella piazza.
Questi ragazzotti saranno pure
ignoranti, ma almeno paiono essere anche curiosi... Inizia qui (16’42”)
l’esternazione della loro curiosità e il desiderio di soddisfarla: e chi meglio
dello scrivano è più adatto alla bisogna? Così cominciano (18’08”) a pretendere da
lui la lettura della grida, scontrandosi con la riottosità (18’14”)
di uno che non vorrebbe lavorare a gratis...
Allora (18’36”) decidono di ottenere ciò che vogliono con le cattive. E
così, seguitando il loro monotono cantilenare, decidono di sollevare di peso lo
scrivano, con tutta la garitta, per depositarli ai piedi della colonna che reca
la grida.
Alle rimostranze e alle grida di aiuto
dello scrivano (19’11”) si inventano, sempre cantilenando, la storia dello
scrivano che aveva una bella casotta ma non voleva accontentarli: così loro
presero la casotta e la portarono alla colonna; poi chiesero gentilmente (19’40”,
la cantilena lascia il posto ad una suadente melodia) allo scrivano di leggere
la scritta e, al suo rifiuto, cominciarono a distruggergli la casotta. Al che (20’07”)
lo scrivano si arrende e promette di accontentarli. Ma la cosa ancora non
avviene, preceduta com’è da altre picche-e-ripicche fra le due parti in causa.
Finalmente (22’04”) ecco la lettura: gli Strelcy hanno severamente punito
alcuni nemici della patria, principi, politici e boiari; chiunque spargerà
calunnie sugli Strelcy verrà punito senza pietà.
All’ascolto di queste notizie (23’51”)
quella masnada di beceri scavezzacollo si trasforma miracolosamente in un
gruppo di patriottici cittadini, che piangono le tristi sorti della Russia,
oppressa dalle malefatte dei suoi stessi figli, con un mirabile coro in FA
minore, in buona parte a cappella. (Ritroveremo pari-pari la prima parte di
questo coro nel finale predisposto da
Shostakovich).
Durante il canto si sono udite - fuori
scena - le trombe degli Strelcy, che il loro capo Ivan Chovanskij sta passando in rassegna. E adesso (26’00”)
con un totale cambio di atmosfera, ecco che una folla di ragazzi e donne si fa
udire per annunciare il passaggio del capo della Guardia zarista (solo lo
scrivano e i moscoviti osano sparlare degli Strelcy...) Un perentorio motivo in
SI minore (27’58”) suonato da archi e legni con il sottofondo degli ottoni
(caratterizzerà d’ora in poi Ivan) si fa udire all’ingresso del capo sulla
piazza:
Davvero proterva quella chiusa sulla seconda, con i tre DO# (due
crome e semiminima) ribattuti, un’eloquente presentazione della dura,
inflessibile e minacciosa personalità di Ivan. Il motivo viene reiterato (con
una variante) altre tre volte, quasi a far entrare bene in testa alla gente di
che pasta sia fatto l’uomo più potente di Mosca! Il quale (28’30”) contrappuntato da
una sottile variante del suo tetro motivo musicale, accusa di fronte alla folla
plaudente (quanto ignorante) i boiari traditori e ladri, promettendo di
difendere Sofia e gli zar. Ogni sua frase è intercalata da applausi e grida
della folla. Dopo la breve concione, il capo invita i suoi militari a
scorrazzare per Mosca per ricevere onori dal popolo. Uno squillo di tromba (30’27”)
mette in marcia gli Strelcy e dà il via alle ovazioni e ai cori del popolo
esultante, cui si aggiungono poco dopo quelle degli stessi Strelcy.
Proprio mentre la piazza si svuota, ecco
(31’46”)
un classico colpo di teatro: su secche crome sincopate di trombe, tromboni e
timpani, accompagnate da agitatissime semicrome degli archi, ecco
sopraggiungere trafelata e sconvolta dalla paura una ragazza, tale Emma, di religione protestante e
proveniente dal quartiere tedesco. La poveretta (31’57”) è inseguita da un
energumeno libidinoso che sta cercando di farla sua con le cattive. E di chi si
tratta? Ma guarda un po’, nientemeno che del figlio di Ivan Chovanskij, Andrej, che ci mostra quindi quali siano
le sue spiccate attitudini! I due battibeccano animatamente: lei gli rinfaccia
le sue colpe, averle ammazzato il padre ed esiliato il fidanzato; lui per
convincerla arriva a prometterle il trono di zarina! Poi, spazientito, sta per
passare alle maniere forti, approfittando della piazza rimasta deserta.
Ma c’è qualcuno (anzi qualcuna) che
invece ha osservato tutto (si è già fatta sentire per la verità, ma la sua voce
era coperta da quella dei due litiganti). É Marfa,
la donna che d’ora in poi avrà una parte in tutte le successive vicende
dell’opera. Arriva giusto in tempo (34’30”) per togliere Emma dalle
grinfie di Andrej, la cui reazione di grande stupore nel vedersela di fronte ci
fa pensare che fra i due ci sia stato qualcosa. Ed è precisamente così: Marfa
infatti accusa Andrej di averle giurato eterna fedeltà, per poi abbandonarla in
cerca di avventure. Segue qui una specie di terzetto, dove si sovrappongono le
voci di Emma, che si dichiara innocente e vittima di un mostro; di Marfa che la
rassicura e promette di difenderla; di Andrej che pare deciso a togliere di
mezzo quell’intrusa che gli sta rovinando la conquista...
Con grande calma e solennità Marfa domanda
ad Andrej (36’50”) se non sia arrivato per lui il momento di metter la
testa a posto, invece di far soffrire una donna abbandonata. E poco dopo (37’21”)
gli chiede se abbia già dimenticato il giuramento di fedeltà: si noti qui la
comparsa di un tema (ora in REb minore) che rappresenta l’amore perduto di
Marfa, tema che tornerà, sviluppato, nella sua canzone dell’Atto III.
Per tutta risposta (38’05”) Andrej estrae un
coltello con l’intenzione di usarlo contro la ex-amante. Che però sa come difendersi e in compenso (38’45”)
predice ad Andrej la sua sorte (un asilo
splendente...) mentre Emma prega per lei e Andrej la maledice. (Le qualità
divinatorie di Marfa si manifesteranno anche in seguito, e tutte le sue
profezie, per la verità, si avvereranno!)
Ma chi sta per tornare sulla piazza e
sulla scena è Ivan Chovanskij con il suo codazzo: ce lo anticipano (39’44”)
i soliti squilli di tromba e poi le voci osannanti del popolo e degli Strelcy,
mentre Emma e Marfa gioiscono e Andrej si dispera vieppiù. Ed eccolo, il gran
capo, arrivare (40’24”) e subito... restare di sasso, come sottolineano le cupe
note delle trombe e la variante del suo truce tema negli archi: ma come, Andrej
qui? E anche Marfa, ma con lei c’è anche una ragazza appetitosa! E così (talis filius, talis pater!) Ivan
concupisce Emma sui due piedi e ordina ai suoi Strelcy di catturargliela. Al
che, suo figlio Andrej (41’05”) la protegge, accusando
curiosamente quanto ipocritamente il padre e i suoi scherani del suo stesso
comportamento verso le donne! Il battibecco padre-figlio con interventi degli
Strelcy (che in un primo momento non sanno che pesci pigliare) continua finchè
Andrej aggredito dai soldati non minaccia addirittura di ammazzare la ragazza,
pur di non cederla.
L’orchestra (42’48”) sottolinea il
drammatico momento esplodendo un sinistro accordo, che prepara l’arrivo di un
nuovo colpo di teatro; e di un nuovo personaggio, il santone Dosifej, guida spirituale della setta
dei Vecchi Credenti (raskolniki) che blocca Andrej e
redarguisce tutti quanti! Emma (43’09”) è ancora in preda allo
spavento e, pur essendo quel vecchio per lei un illustre sconosciuto, lo
accoglie come il salvatore, mentre Marfa mostra di essere una sua adepta. A lei
Dosifej (43’22”) chiede di riportare Emma a casa sua. Poi (44’01”)
sciorina un canto solenne, un grande arioso
in MIb minore, tonalità che tornerà ancora a supportare atmosfere cariche di
drammaticità:
Si tratta in realtà di un’autentica
filippica, dove si stigmatizzano la decadenza dei costumi e l’abbandono della
vecchia religione, chiamando tutti a ritrovare la perduta fede.
A Ivan Chovanskij (46’39”) non resta che
riunire i suoi, figlio compreso, e rientrare al Kremlino, fra uno
strombazzamento e l’altro. E proprio mentre il campanone fa sentire poderosi
rintocchi, ecco un’ultima accorata preghiera (47’12”) di Dosifej, nel
corso della quale (48’40”) c’è una inaspettata salita al RE#, da ricordare poichè
Rimski le... tarperà le ali (mentre non toccherà il successivo MI naturale).
Poi Dosifej e i suoi Monaci Neri si allontanano,
e l’atto si chiude sotto i pesanti rintocchi del campanone.
Ecco quindi confermato lo scenario
caotico di quel 1682: il trono retto dalla zarevna Sofia per conto di due
ragazzini fratelli-fratellastri (Ivan e Pietro); la sicurezza in mano al boiaro
Chovanskij che - a capo della guardia speciale zarista - combatte gli altri
boiari solo per difendere la sua posizione e tramare un colpo di stato; gli
Strelcy che sono convinti di servire il trono, mentre in realtà lavorano per
chi prepara proprio quel colpo di stato; l’ambiguo Šaklovityj
che rimesta nel torbido con denunce anonime, che evidentemente gli servono a
trarre profitto per sè nella sua corsa alla conquista del potere; e Il vecchio
Dosifej, campione dei nostalgici religiosi che sogna il ritorno al passato. Resta
ancora da conoscere l’ultimo dei protagonisti-chiave del dramma: il principe Vasilij Golicyn, ma basta attendere
poco...
Il Secondo Atto è infatti ambientato -
di sera tardi - nella lussuosa dimora (dai tratti russi assai occidentalizzati)
di questo boiaro di cui conosceremo prestissimo i trascorsi (e i progetti). La
musica che lo introduce sembra proprio rappresentare la personalità e le
attitudini del nostro: i suoi tre motivi hanno un sapore russo con retrogusto
francese, si potrebbe scambiare per un passaggio, che so, della Serenata di
Ciajkovski, il campione del matrimonio fra tradizione russa e musica
occidentale:
Il principe è solo in casa (a parte il suo uomo di fiducia, Varsonofev) e leggerà due lettere,
entrambe indirizzategli da esponenti del gentil sesso. La prima è nientemeno
che della zarevna Sofia, ed è una vera e propria dichiarazione d’amore (con
gran copia di eros e libidine, per la verità) che ci notifica quale fosse la
relazione fra i due. Golicyn la legge accompagnato dai temi esposti
nell’introduzione strumentale. Ma il principe è sospettoso, evidentemente
conosce la volubilità della donna e sa che un passo falso, e la conseguente
caduta in disgrazia, significherebbe per lui, tout-court, la testa! Si scopre
qui la doppiezza del principe, che fa il consigliere a corte, ma che incontra
(lo vedremo fra poco) i due principali oppositori di Pietro il Grande per
discutere con loro sul come detronizzare lo zar!
Ed ecco (3’50”) che prende la
seconda lettera dallo scrittoio: è della madre. Subito un motivo in SIb maggiore,
dal piglio eroico, sottolinea il vanto del principe per la sua schiatta (lo
risentiremo fra poco, a josa):
Ma alla lettura della missiva esso
lascia il posto a un’atmosfera assai più preoccupata: la madre
si dice sempre più orgogliosa di lui, ma gli consiglia onestà e purezza...
morale e materiale. E lui (5’04”) evidentemente
toccato sul vivo da questi termini, interpreta il consiglio come un presagio di
possibili sciagure! Incominciamo qui ad intravedere un lato oscuro del
carattere di Golicyn: la sua incurabile superstizione, che mette in agitazione
lui e la musica che lo accompagna. Ripete mestamente (5’37”)
l’invito della madre, e la musica si spegne su di lui che resta pensieroso e
preoccupato.
Preceduto da una figurazione del fagotto
che ne anticipa l’entrata, ecco (6’12”) arrivare Varsonofev che
annuncia la visita di un pastore luterano. Il principe decide di riceverlo e il
religioso (6’42”) si presenta davanti a lui, e con tono grave avanza
lamentele riguardo al comportamento di Andrej Chovanskij nei confronti della
sua correligionaria Emma, con richiesta di provvedimenti da parte del principe.
Il quale oppone un fermo rifiuto (lui non può immischiarsi in faccende che non
lo riguardano) ma poi quasi a scusarsi chiede cosa altro possa fare per lui. E
lo fa (8’49”) accompagnandosi con il motivo dei trionfi della sua
casata, udito poco prima, all’apertura della lettera della madre. Il pastore
prova allora (9’51”) a chiedere l’autorizzazione ad edificare nel quartiere
tedesco di Mosca una chiesa luterana. E per tutta risposta Golicyn (10’55”)
lo strapazza per bene, accusandolo di avanzare richieste irricevibili: e, tanto
per mostrare da che parte stia il potere, lo fa cantando ancora sul motivo del
suo nobile casato! Poi, sempre sul suo autoritario motivo, ripetuto fino alla
nausea, addirittura lo umilia (11’09”) avvertendolo che di lì a
poco arriveranno Chovanskij e Dosifej (due che lo vorrebbero morto!): avrebbe
per caso piacere ad incontrarli? Insomma: si capisce
perfettamente che questo Golicyn sarà pure di mentalità aperta, ma è anche un
gran paraculo! E non per nulla (12’07”) appena il pastore se n’è
andato, lo riempie di contumelie.
Ma scopriamo subito di ben peggio: Varsonofev (è sempre il fagotto ad annunciarne
il rientro) torna per annunciare l’arrivo dell’indovina che il principe ha fatto chiamare poco prima. Golicyn lo
richiama all’ordine sull’uso dei termini, così il suo attendente rettifica
prontamente: la signora che spesso
viene da voi per consigliarvi! E di chi si tratta? Di Marfa, chiamata
stranamente dal padrone di casa, e per il motivo ben descritto da Varsonofev: lei
è anche una veggente, un’indovina (già nel primo atto aveva pronosticato la
fine ad Andrej). E scopriamo così che il laico
Golicyn è pure un poveraccio superstizioso, che si fa leggere le carte da
un’adepta raskolniki!
Un motivo nobile
esposto dall’oboe (12’55”)
introduce la donna, che si lamenta delle eccessive misure di sicurezza,
al che Golicyn le giustifica con i pericoli che la grave situazione politica
comporta. Marfa (13’49”)
con voce improvvisamente più grave gli chiede se deve predirgli il futuro. Lui
annuisce e le chiede di cosa abbia bisogno: di una bacinella d’acqua, risponde
lei, così Golicyn la ordina a Varsonofev (dicendogli che è da bere...) e viene
prontamente servito. Ora (14’38”) l’atmosfera si fa
tipicamente misteriosa, con gli archi a tenere lunghi accordi di sapore arcano
e i timpani a rullare sommessamente. La prima parte del rito è l’invocazione di
Marfa (15’16”) alle creature delle profondità marine, perchè vogliano
rivelare a Golicyn i misteri del suo futuro. Dopodichè (16’33”) osserva l’acqua
(mentre le viole ondeggiano
significativamente) per decifrarne i segreti nascosti, finchè (17’48”)
annuncia la rivelazione. Golicyn è impaziente e Marfa (17’58”) attacca in LAb
minore la sua lunga profezia, su un motivo dallo spiccato accento russo:
Siccome le creature
evocate nella bacinella d’acqua dicono male (disgrazie ed esilio, sentenzia
Marfa) Golicyn che fa? Con uno scatto d’ira (19’51”) licenzia la veggente sui due
piedi, e per di più ordina ai suoi di farla secca! (Si può nutrire qui il legittimo sospetto
che la profezia di Marfa sia un’invenzione, una deliberata ripicca della donna
verso quell’individuo che ha rinnegato la vecchia religione, tuttavia resta il
fatto che la realtà darà pienamente ragione a profezia e profetessa... e sarà
proprio la musica a confermarcelo, a tempo debito.) Poi si lascia andare (20’11”)
ad una delirante tirata sui suoi meriti verso la patria, e non può certo
mancarvi (da 21’17”) il tema
trionfale che abbiamo già sentito caratterizzare il suo nobile casato. Ma un
tonfo di trombone, tuba e timpani (21’50”) gli lascia capire che la
Russia ancora non pare in grado di liberarsi della ruggine tartara!
Bene, messa a fuoco
la poco commendevole personalità del nostro, adesso bando alle ciance, si fa
sul serio: si parla di politica! Perchè arriva (22’25”) l’atteso
Ivan
Chovanskij, annunciato dal suo protervo tema negli archi. Il capo degli Strelcy
ipocritamente (lui che ai moscoviti ha detto di combattere fieramente i boiari,
traditori della patria) si lamenta a nome dei boiari medesimi per i danni che
le riforme volute da Golicyn avrebbero fatto alla loro categoria! E alle
rimostranze di Golicyn, paragona i suoi atti politici a quelli dei Tartari. Al
che il padrone di casa, toccato sul vivo, lo diffida dall’offendere la sua
reputazione e, manco a dirlo (24’23”) lo fa ripetendo il motivo
che rappresenta l’onore della sua famiglia. Adesso nasce il classico battibecco
fra due galli nel pollaio, che si rinfacciano reciprocamente comportamenti
disdicevoli: la meschinità e il servilismo di Chovanskij (25’50”) e le disfatte
militari di Golicyn (26’55”).
I due rischiano di passare alle vie di
fatto, quando provvidenzialmente (28’06”) entra Dosifej che li
ammonisce, con il suo tono solenne, a cercare il bene della Patria. Subito dopo
(29’09”)
scopriamo che la guida spirituale dei Vecchi
Credenti è un ex-principe convertitosi all’abito talare, cosa che gli altri
due principi sembrano considerare inappropriata per un nobile. Adesso (31’28”)
comincia la discussione politica e Dosifej chiede ai due nobili se hanno
compreso le ragioni del malessere che affligge la Russia e dei rimedi da
mettere in campo. Golicyn va subito al sodo e chiede (32’19”) dove sono le
forze popolari per compiere l’impresa; alla risposta di Dosifej che lamenta
come il popolo cristiano sia allo sbando, Golicyn considera chiusa la
discussione (32’54”). Invece è Chovanskij (33’02”) che si propone senza
mezzi termini come salvatore della patria (e futuro capo supremo!)
Adesso inizia un battibecco fra i tre:
Dosifej (33’27) vorrebbe un governo che ripristinasse le antiche
tradizioni, e si infervora contro Golicyn che dichiara di non seguirle affatto,
accusandolo addirittura (34’02”) di essere un amico dei
nemici teutonici (la musica si fa pesante, come una marcia dei tedeschi!);
Chovanskij (35’01”) prende la palla al balzo e rincara la dose contro
Golicyn; ma Dosifej (35’34”) ne ha anche per lui,
accusandolo di consentire ai suoi Strelcy comportamenti contrari alla religione
e alla morale. Golicyn (36’25”) sostenuto dal suo tema
nobiliare cerca di riportare la calma, ma in quel momento (36’40”) un canto si ode
in lontananza: sono i Monaci Neri di Dosifej che vantano le loro vittorie sui
seguaci di Nikon, il patriarca modernizzatore, secondo loro colpevole di
eresia. Mentre il canto si fa più forte (i Monaci passano nelle vicinanze) Dosifej
(37’18”)
si vanta di loro, come gli unici coraggiosi che osano sfidare il potere, e
anche Chovanskij (ben felice di poterli strumentalizzare) si associa
all’elogio, mentre Golicyn li definisce (38’33”) come dei settari (raskol).
Qui si rischierebbe un’altra baruffa se
non arrivasse un nuovo colpo di teatro, protagonista (38’46”) la rediviva
Marfa. Accolta da Golicyn come un strega, difesa da Chovanskij e onorata da
Dosifej, Marfa (39’06”) racconta la sua avventura: il tentato omicidio
perpetrato nei suoi confronti, che lei ha fortunosamente sventato, e poi, su
una musica improvvisamente fattasi solenne, da concitata che era, l’arrivo (39’48”)
dei soldati dello zar Pietro. (Anche questa, che Pietro avesse un esercito, è
cosa storicamente inverosimile, almeno per l’anno 1682: la cosa si materializzò
quasi 10 anni dopo.) Questa notizia piomba come una tegola sugli astanti (39’58”)
subito dopo interrotti ancora da Varsonofev, che annuncia seccamente (40’03”)
l’arrivo, del tutto inaspettato, di Šaklovityj!
I tonfi (archi, ottoni e timpani) che si
odono in orchestra (40’08”) preparano il clamoroso annuncio del boiaro: è stata
sporta denuncia contro i Chovanskij (lui deve saperne qualcosa, nevvero?) con
l’accusa di tramare un colpo di stato. Aggiungendo che lo zar Pietro (che anche
qui evidentemente non può avere solo 10 anni) ha sprezzantemente definito la
faccenda come una chovanščina... (ecco da dove viene il
titolo dell’opera!) e ha ordinato di mandarli a processo.
L’atto, nelle intenzioni di Musorgski,
avrebbe dovuto concludersi con un classico numero
da melodramma, un quintetto
(magari... concertato) con i 5
personaggi in scena in quel momento. Ma la cosa rimase (per fortuna?) un’idea
sulla carta. Abbiamo già visto come invece lo chiude Shostakovich: con 11
battute di strombazzamenti, evocanti lo zar.
Un atto che pone le premesse per la
rovina di almeno due dei protagonisti: il destino preconizzato a Golicyn da
Marfa e la caduta in disgrazia dei Chovanskij. In più, l’entrata in campo di un
esercito (prima inesistente) direttamente al servizio del giovane zar
modernizzatore prefigura la sconfitta finale di tutte le forze (politiche e
religiose) che a tale modernizzazione cercano di opporsi.
Nel Terzo Atto si ritorna in piazza, tra
la gente, come nel primo. E si assiste ad altre tappe del lento ma inesorabile
cammino che porterà alla finale tragedia.
Per la verità la
prima scena sembrerebbe lasciar pensare il contrario: dopo la breve
introduzione strumentale, sono ancora (36”) i Monaci Neri
(ascoltati proprio alla fine dell’atto precedente) che continuano a sfilare in
processione fra due ali di folla, cantando sulla stessa melodia inni di
vittoria e di trionfo sui nemici (i seguaci del riformatore Nikon). Questo entusiasmo
ha francamente del bizzarro, non essendo supportato da alcun elemento concreto:
si può solo interpretare come l’espressione di un fanatismo cieco, da parte di
individui che hanno perso totalmente il contatto con la realtà.
Una lunga cadenza
accompagna i monaci che si allontanano, mentre l’obiettivo della cinepresa si
sposta (3’06”)
su Marfa, accovacciata presso la dimora del suo amato (e fedifrago) Andrej.
Ricorda (3’29”)
cantando la sua famosa canzone
i bei giorni della giovinezza, l’incontro con colui che adesso l’ha scaricata.
Ma lei prefigura la fine in sua compagnia, fra le fiamme purificatrici: sarà per
lui la punizione per aver abbandonato la raskolnika.
La canzone consta di 6 quartine, in SOL maggiore, su una struggente melodia:
Della canzone esiste una versione
precedente a questa impiegata nell’opera, che Lamm ha pubblicato in appendice
al suo lavoro, tutta in FA maggiore. Musorgski ne produsse anche una versione
orchestrata, che Shostakovich ha però ignorato (non così Abbado) spesso
scambiando archi e fiati nell’accompagnamento.
Certo, una melodia
di tutto rispetto, non c’è che dire... ma ascoltarla per sei volte di fila,
sempre uguale a se stessa (e verrà ripetuta altre tre volte fra poco!) può
diventare persino esasperante. Non sarà mica per questo, mi si passi la battuta
di basso livello, che una bigotta stagionata, tale Susanna,
avendo ascoltato le sue reiterate esternazioni, aggredisca Marfa (6’53”)
con rimproveri e improperi sempre più astiosi? (Di questo scontro fra le
due donne esiste un’altra versione un poco più lunga, che Lamm ha pubblicato in
appendice alla sua edizione.) Marfa, quasi a girarle il coltello nella piaga,
le risponde (8’12”)
intonando ancora la sua cantilena, adesso in FA maggiore, accusandola di averla
spiata per carpire i suoi segreti. Il corno inglese (9’55”) tiene un RE che
introduce una nuova esternazione di Marfa, su una melodia la cui grandissima
nobiltà è pari alla disarmante semplicità, in MIb minore:
Vi è
espresso tutto il dolore di Marfa per l‘amore perduto; e riascolteremo questo
tema anche più avanti. Poi, sovrapponendosi ad altre imprecazioni dell’anziana,
lei ricanta (11’37”, con testo appena modificato e sempre in FA maggiore) la
quarta delle sei quartine della sua canzone.
Susanna prosegue con le sue violente
rimostranze (12’15”) e con promesse di vendetta - scandite da proterve frasi musicali che cadono
come pietre - che arrivano a prefigurare per Marfa il rogo! (Ma sappiamo che il
rogo è per Marfa ormai la meta da raggiungere...) Le due
verrebbero alle mani se non intervenisse provvidenzialmente (12’50”) Dosifej,
che cerca, con la sua consueta autorità (anche musicale!) di convincere Susanna
sulle buone intenzioni di Marfa, ma senza risultato. Anzi, la vecchia credente
riprende più che mai le sue accuse alla giovane (riudiamo le pesanti frasi
musicali di poco prima). Inutilmente Dosifej cerca di calmarla e allora, dopo
che quell’invasata (15’03”)
ha ripetuto la sua volontà di non cedere, Dosifej la accusa nientemeno che di
idolatria, le prefigura l’inferno e la scaccia senza complimenti.
Poi (16’17”)
si rivolge a Marfa invitandola ad operare per la salvezza della Russia.
La donna ripete la sua disperazione per essere stata abbandonata da Andrej, poi
(17’10”)
riprende la cantilena della sua canzone (è alla nona esposizione! qui in LAb
maggiore) profetizzando la sua riunione con l’amato nelle fiamme di un fuoco
purificatore. Dosifej inorridisce all’idea, ma la donna (18’14”) riprendendo il
tema (udito poco prima) del suo amore perduto, confessa la sua colpa (forse la
tirata di Susanna ha avuto qualche effetto su di lei...) di aver infranto le
leggi divine con il suo amore impuro e perciò di meritare la punizione: la
morte del corpo come condizione per la salvezza dell’anima. Dosifej (19’33”)
profondamente colpito, la compiange e le chiede perdono (pare qui di udire - 20’24”
- un motivo del parsifaliano Gurnemanz)
invitandola ad amare. Poi la trascina via.
Ecco ora (20’51”)
un intermezzo abbastanza inaspettato: assistiamo infatti all’inopinata
entrata in scena dell’indecifrabile Šaklovityj, che avevamo fin qui conosciuto
come delatore e mestatore (e come tale tornerà a manifestarsi nell’atto
successivo) protagonista invece di un’accorata esternazione (un colossale e
articolato arioso in piena regola):
il nostro prega Dio di salvare la grande Russia, che in passato ha saputo
domare i Tartari e poi difendersi dalle prepotenze dei boiari, ma che adesso è
ancora in balìa di mercenari stranieri che minacciano di sottometterla. Vien da
chiedersi se i suoi siano sentimenti genuini, come suggeriscono peraltro il
testo e la mirabile musica, oppure se si tratti - dato il tipo - di un
atteggiamento ipocrita...
È passato mezzogiorno e - bontà loro -
gli Strelcy si sono svegliati e (25’40”) irrompono
in strada, suscitando la reazione sprezzante di Šaklovityj, che già pronostica
la loro fine. Gli armigeri di Chovanskij si galvanizzano vicendevolmente cantando
le loro turpi imprese e ubriacandosi di primo pomeriggio. Il loro canto assume
forme goliardiche, come questa (26’24”) in SOL
maggiore, quando invocano del vino:
Il canto si fa - (27’40”) pur senza
mutazioni agogiche - più incalzante allorquando gli Strelcy si preparano alle
loro scorribande attraverso Mosca. Si conclude (per ora) restando sospeso su un
accordo tenuto di dominante che accompagna il loro sbalordimento di fronte
all’arrivo in strada (28’12”) delle loro donne!
Costoro li aggrediscono subito, rimproverando
aspramente le loro malefatte e la loro irresponsabilità e augurandosi che
finiscano sulla forca! Nasce un gigantesco battibecco fra mogli e mariti, i
quali non trovano di meglio che cercar di ridurre al silenzio le donne
attraverso uno stratagemma. Consistente nell’abbindolarle con la musica! E
all’uopo chiamano (29’37”)
una nostra vecchia conoscenza, Kuzka (quello che aveva aperto la prima
scena dell’opera) che viene incaricato di calmarle mettendosi a cantare. Lui si
schermisce poi imbraccia una balalaika e - contrappuntato dai commilitoni (30’33”)
- attacca una canzone in FA# minore, una filastrocca in realtà, in cui si
accusa una donna (la calunnia) di
usare il pettegolezzo per rovinare la vita alle famiglie. Sulla stessa melodia
martellante anche le donne (31’14”) si
associano al canto, ripreso dai maschi (31’32) e quindi di nuovo (31’51”)
dal solista Kuzka (seguito dagli uomini contrappuntati dalle femmine) che
infine emette la sentenza di condanna contro la calunnia.
Chiusa la baraonda mogli-mariti, ecco
l’atmosfera cambiare radicalmente (32’36”): sono i fiati con terzine
sincopate ad evocare mirabilmente la corsa trafelata di qualcuno che sta arrivando
da quelle parti in preda al panico. Si tratta di un altro personaggio già
incontrato all’inizio dell’opera, lo scrivano! Perchè stia fuggendo a quel modo
lo spiega agli increduli Strelcy, che provano a prenderlo in giro. Ma lui ha
notizie davvero tremende e racconta (34’20”) con un canto triste ed
accorato (viene dal Boris...): stava
tranquillamente scrivendo una lettera quando un gran fracasso e scalpitio di
cavalli ha annunciato l’arrivo di un banda di mercenari, che hanno cominciato a
devastare tutto! Gli Strelcy ancora non gli credono, lo prendono un po’ in
giro, ma lui (35’58”) rincara la dose: al fianco dei mercenari sono
intervenuti i soldati di Pietro, che hanno sopraffatto un
contingente di Strelcy!
Adesso Strelcy e mogli cominciano a capire (36’20”) e la musica che
aveva accompagnato l’arrivo dello scrivano trasferisce a loro ansia e paura.
Così non gli resta che piangere...
Dopo che lo scrivano si è allontanato (37’01”)
con un sibilante via!, è ancora Kuzka
a prendere l’iniziativa: qui si deve interpellare il grande capo Chovanskij e
prendere ordini da lui. Il coro degli Strelcy e relative mogli attacca (37’28”)
una grandiosa implorazione in MIb minore, invocando il capo a mostrarsi e ad
esprimersi. Gli archi la chiudono virando dolcemente a MIb maggiore, così introducendo
l’apparizione (39’57”) di Ivan Chovanskij, uscito dalla sua abitazione.
Dapprima il capo chiede la ragione di questa adunanza e della sua chiamata. Strelcy
e mogli lo informano dell’arrivo dei soldati di Pietro e dei mercenari,
aspettando ordini da lui. Per tutta risposta (40’55”) lui li invita
(toh!) a tornarsene a casa ad aspettare gli eventi! Qui pare chiaro che persino
il tronfio Chovanskij ormai la dia per persa: anche la musica che lo sostiene è
ben lontana dalla protervia che lo caratterizzava da sempre; e persino il suo
tema, da minaccioso e truce si è fatto timido, vagando quasi inudibile dai
legni agli archi. Ai
poveracci non resta (42’19”) che invocare protezione e
misericordia, con un toccante coro a
cappella.
Il Quarto Atto è per certi versi (il primo quadro) speculare al secondo: siamo nella lussuosa residenza
(che più russa non si può...) di Ivan
Chovanskij, il quale cerca di dimenticare le nuvole che si addensano al suo
orizzonte con i piaceri della buona tavola e delle... belle donne!
L’introduzione
strumentale ci presenta il bel tema russo (in SOL# minore) preso di peso da una
raccolta di canti popolari, che poi (56”) caratterizzerà il
canto delle contadinelle, una canzoncina triste che il padrone di casa (2’12”)
trova evidentemente insopportabile, parendogli (presentimento freudiano?)
un mortorio! Così, ancora accompagnato dal suo tema letteralmente avvizzito,
chiede che cantino qualcosa di allegro, e le sue contadinelle (3’48”)
attaccano una gaia filastrocca in FA maggiore, che pare più gradita al padrone.
Il quale chiede di accelerare ancora il ritmo, ma alla fine della strofa
l’orchestra si blocca (4’13”) su un poderoso accordo di sesta tenuto dagli ottoni: c’è un
intruso che è arrivato a disturbare il divertimento del principe.
Si tratta di un emissario di
Golicyn, venuto lì per avvertire Chovanskij di imminenti e non meglio precisati
pericoli. Il boiaro lo liquida all’istante (4’47”) sicuro
che in casa sua nessuno potrà dargli fastidio. E così (5’44”)
fa gettare il messaggero agli stallieri e chiama le danzatrici persiane per dimenticare
tutte queste rogne! Qui (6’13”)
abbiamo il balletto stile grand-opéra
(evidentemente anche Musorgski - così come Borodin - aveva le sue debolezze...)
Sono un paio di temi, rielaborati di continuo, a caratterizzare l’intero
balletto:
Il primo tema (tonalità
FA# minore) è una melodia davvero orientaleggiante, esposta all’inizio dal
corno inglese, poi ripresa via via dall’orchestra, con piccole varianti. Il
secondo motivo (appare a 9’14”) è più vivace e in tonalità maggiore
(SOL). A 9’39” ne udiamo una variante agitata in MIB minore, che si
alterna due volte con la ricomparsa del tema in SOL il quale porta ad una
momentanea pausa di rilassatezza. Rotta (10’39”) da un nuovo sommovimento del
tema, passato a FA maggiore. Il primo tema torna (11’11”) sempre in FA#
minore, poi va adagiandosi fino a sfociare (12’10”) nel secondo,
tornato a SOL maggiore, ma adesso ancor più concitato. Un’ultima sua
esposizione (12’37”) porta direttamente (12’48”) alla forsennata
cadenza conclusiva.
Nessuno si è accorto che un nuovo
intruso (13’21”) si è introdotto in casa Chovanskij: è ancora una volta
il mefistofelico Šaklovityj, che comunica (13’38”) al
padrone di casa la convocazione presso la zarevna Sofia, al Kremlino: Sofia lo
vuole per un importante Consiglio di Stato. Chovanskij dapprima snobba
l’invito, poi si fa convincere (14’35”) quando Šaklovityj
gli fa presente che la zarevna ritiene indispensabile la sua presenza. Ordina
allora (15’00”)
i suoi abiti da cerimonia, bastone principesco incluso, e chiede alle
contadinelle di cantare le sue lodi.
Queste riprendono
perciò (15’22”)
il loro canto, una delicata melodia in SOL maggiore, quasi una
ninna-nanna, dove si glorifica il cigno
bianco (così il popolo acclamava Chovanskij):
Ma proprio all’inizio
della quarta strofa il padrone viene pugnalato alle spalle (17’06”)
e tira le cuoia, sotto lo sguardo beffardo di Šaklovityj, che ha pure la
faccia tosta di cantargli in faccia (17’14”) il verso
finale della filastrocca! (Notiamo di passaggio che questo personaggio scompare
dalla scena insieme al morto: d’ora in poi se ne perdono totalmente le tracce.)
Il secondo quadro è ambientato davanti SanBasilio. La musica che lo introduce (17’53”) tonalità
di MIb minore, annuncia disgrazie, e infatti i violini seguiti dai fagotti
espongono un tema da marcia funebre che è derivato strettamente da quello della
profezia di Marfa a Golicyn, nel second’atto. Profezia infallibilmente
materializzatasi: un carro sgangherato sta portando verso l’esilio il principe,
evidentemente caduto in disgrazia, proprio come pronosticatogli da Marfa. I
moscoviti (19’13”)
provano pietà per quel poveraccio, mentre la musica (20’20”) accompagna il
carro che si allontana.
Sulla piazza c’è anche Dosifej, che non
manca (21’26”) di esternare il suo compianto, estendendolo
a quello per Chovanskij, vittima della sua stessa boria, e al di lui figlio
Andrej. Arriva Marfa (23’02”)
alla quale Dosifej (su una musica simile a quella con cui aveva accolto la donna
nel terz’atto) chiede conto delle decisioni del Gran Consiglio. La risposta di
Marfa è tremenda: i Vecchi Credenti sono banditi e i mercenari hanno l’ordine
di sterminarli! Ora anche Dosifej (23’54”) è
convinto che a loro resti solo l’estremo sacrificio, e lo esprime con il suo
tipico gesto musicale aulico ed autorevole. Poi (24’19”) invita Marfa ad
occuparsi di Andrej e la lascia (24’43”) con la stessa esortazione (parsifaliana)
con la quale si era congedato da lei nell’atto precedente. A sua volta Marfa (25’10”)
su un tema di grande espressività (tornerà a farsi udire nell’ultimo atto) di
sole 7 battute sembra esultare per l’avvicinarsi del momento fatale, quello del
sacrificio fra le fiamme:
Andrej arriva
proprio in quel momento (25’30”)
e qui assistiamo ad un violento scontro fra i due ex-amanti, mirabilmente
caratterizzato in musica: lui con esternazioni agitatissime, lei con calma e
fermezza, su un ritmo quasi marziale. Lui la investe di
improperi e le chiede dove nasconda la sua Emma! Lei lo informa (26’01”)
che se la sono portata via in mercenari per farla riunire ai suoi
compatrioti e al suo fidanzato. Lui non le crede e minaccia di denunciarla e
farla arrestare dai suoi Strelcy. Marfa lo irride e poi lo informa della morte
del padre e del mandato di cattura che pende anche sulla sua testa. Lui
continua a non crederle e a minacciare di farla arrestare, così lei lo sfida a chiamare
i suoi Strelcy, cosa che lui fa (28’40”) suonando
il suo corno. E gli Strelcy arrivano, come no, seguiti dalle mogli sempre
inferocite (come nel terz’atto); peccato che siano in catene ed in procinto di
essere giustiziati, come annuncia il campanone a martello! Ad Andrej (29’22”)
non resta che supplicare Marfa di salvarlo, e lei non vede l’ora di
portarselo via, promettendogli di nasconderlo in un posto sicuro.
Qui si deve aprire
una parentesi di natura macabro-orripilante, che riguarda le modalità di
esecuzione dei condannati. Leggendo il testo originale di Musorgski (come
riportato da Lamm, ma non interamente da Rimski, nè presente nel quaderno blu dell’Autore) si apprende
che i condannati recano con sè ceppi e scuri (in realtà le loro bardiche, specie di alabarde); scuri che
depongono sui ceppi con la lama rivolta in alto, inginocchiandosi poi davanti ai
ceppi e quindi chinandosi sui medesimi. ? che significa questa messinscena? Ceppi
e scuri in abbondanza parrebbero davvero uno spreco se il giustiziere fosse un
unico boia... E poi, dal particolare delle lame rivolte in alto (una
ghigliottina a rovescio) cosa si deve dedurre? Ecco, documenti su quel periodo
storico (che Musorgski aveva consultato per ideare l’opera) riportano che in
quegli anni, per velocizzare esecuzioni di massa, fu inventato il sistema dei due tronchi, consistente
nel porre un tronco d’albero per terra, su cui deporre le scuri con le lame
rivolte verso l’alto, sulle quali far appoggiare il collo dei giustiziati,
inginocchiati fianco a fianco davanti al tronco. A questo punto un secondo pesante
tronco veniva violentemente calato fra capo e collo dei malcapitati, e il gioco
era fatto. Pare che il geniale meccanismo fosse collaudato proprio in occasione
dell’esecuzione degli Strelcy del 1698, con ben 50 teste mozzate
contemporaneamente!
Ma torniamo a... bardica.
Dunque le mogli dei soldati (29’53”) invocano a gran voce (e per
la verità con un canto assai scomposto) la più severa delle punizioni per i
fedifraghi mariti, che invano - adesso! - chiedono pietà, perdono e
misericordia. In lontananza si ode ora (30’20”) uno strombazzamento che si
interpone fra i cori di Strelcy e mogli, finchè (31’22”) ecco comparire -
dagli ottoni nella buca d’orchestra e da quelli dietro le quinte - un tema
marziale ed eroico, in LAb maggiore, poco dopo (31’55”) ripreso a piena orchestra, che rappresenterà
d’ora in avanti le milizie di zar Pietro:
Tornano gli squilli di tromba (32’40”) e si fa largo un araldo (Strešnev) per annunciare che gli zar hanno concesso la grazia ai condannati, invitando tutti a tornare alle proprie case. Pietro passerà in rassegna le sue milizie al Kremlino!
Tornano gli squilli di tromba (32’40”) e si fa largo un araldo (Strešnev) per annunciare che gli zar hanno concesso la grazia ai condannati, invitando tutti a tornare alle proprie case. Pietro passerà in rassegna le sue milizie al Kremlino!
Ormai la storia ha imboccato la sua nuova strada. Non resta ora che
accompagnare la vecchia Russia verso le fiamme purificatrici.
Siamo quindi (Atto quinto) all’estrema
testimonianza di fede dei Vecchi Credenti.
L’introduzione strumentale in RE minore è affidata ai soli archi in unisono,
che espongono una specie di moto perpetuo, che in realtà evoca leggere folate
di vento che muovono nella notte di luna le cime dei pini di un bosco vicino
all’eremo dei Vecchi Credenti (Musorsgki ne parlava - affinità elettive con
Wagner, pur senza conoscersi - come di mormorio
della foresta!):
E non può essere
quindi che Dosifej
(1’44”)
ad aprire l’atto, con un nobile e accorato appello (sempre RE minore) ai suoi
fedeli. Poi chiede rispettivamente a monaci (5’31”) e monache (6’34”)
di prepararsi alla suprema testimonianza di fede nel Creatore. Quindi (7’35”)
li invita ad indossare candide vesti e ad accendere ceri. Tutti (8’09”)
si avviano verso il bosco, dal quale poi escono cantando i timori per il
ritorno di Satana e le implorazioni al Signore. Lo fanno con un grande coro in
modo frigio dalla pesante scansione marziale (MI-LA) rotto da un paio di grida
allarmate, per l’arrivo dei nemici e della morte. (Qui termina - 11’34”
- il libretto - quaderno blu
- di Musorgski. Ma lo spartito prosegue, e per parecchio ancora...)
Ora è Marfa a tornare sulla scena, con
una toccante esternazione in RE minore (Lamm informa che di questa e del
successivo dialogo con Andrej, Musorgski ha lasciato solo la melodia,
armonizzata da Asafiev) dove canta il
suo perenne dolore per il tradimento di Andrej e la sua volontà di salvarlo. Si
noti la frase a 12’05”, che anticipa quella che Marfa canterà (un semitono
sopra) al momento di invitare Andrej al sacrificio. E proprio Andrej si ode in
lontananza (13’05”) vagare nel bosco, con un canto straniato (LAb) caratterizzato
da grandi intervalli, come singhiozzando, mentre invoca ancora la sua amata,
della quale pronuncia il nome poco dopo (14’21”) entrando a sua volta in
scena: Emma! Marfa lo accoglie con dolcezza, su una variante in RE maggiore del
tema del suo amore (comparso nell’atto precedente) ricordandogli i bei tempi
della loro unione e descrivendo come un brutto sogno il suo successivo
abbandono. Andrej ora (15’13”) pronuncia il suo nome
(Marfa!) proprio sulle stesse note (MI-SI) con le quali aveva poco prima
invocato Emma... E Marfa, riprendendo in FA# minore il tema del suo dolore per
l’amore perduto (udito durante il confronto con Susanna nel terz’atto) gli
promette di non abbandonarlo. Poi (15’45”) modula a REb maggiore e -
ancora sulla variante del tema del suo amore - gli ricorda le sue ardenti
parole, prima che una nera nube offuscasse la sua vita (16’28”, ancora il tema del
suo dolore). E chiude (16’47”): adesso è arrivata l’ultima
ora, alleluja!
Si sentono ora (17’13”)
nelle vicinanze le trombe dell’esercito di Pietro. Dosifej le annuncia ai suoi
fedeli come le trombe del giudizio, e li invita all’estremo sacrificio. Ma è
ancora Marfa a tenere la scena, poichè deve convincere Andrej a condividere con
lei l’ora suprema. Attacca quindi (17’43”) un’aria in MIb minore
(quella ritrovata da Rimski e ignota a Lamm) dove riprende il motivo esposto
alla sua entrata in scena, avvertendo Andrej che ormai per loro non v’è più
scampo ed esortandolo a riunirsi a lei, poichè il destino li ha
indissolubilmente legati. Andrej (18’56”) altro non sa fare se non
manifestare angoscia e timore, e allora Marfa (19’08”) sempre sulla
stessa melodia lo prende per mano e poi, mentre la tonalità sfuma a MIb
maggiore, lo conduce verso l’immensa pira che li accoglierà, insieme a tutti i
fedeli: così finalmente saranno uniti per sempre.
Le
trombe dell’esercito di Pietro (20’20”) si sono ancora avvicinate e
i raskolniki, quasi invasati,
cantano a squarciagola le lodi del Signore, imitati e poi accompagnati da
Dosifej, che
innesca (20’56”) una mirabile discesa cromatica, chiusa in MIb maggiore,
mentre Marfa attizza l’immane rogo, verso il quale tutti si avviano gioiosi.
A questo punto nelle carte di Musorgski ci sono gli ultimi tre fogli con
l’abbozzo del conclusivo coro dei raskolniki.
Rimski ha predisposto da qui il suo finale (che Shostakovich ha fatto proprio,
estendendolo ulteriormente) a partire dalla scrittura delle lingue di fuoco (21’19”)
che si sprigionano sempre più alte, evocate dalle veloci quartine di semicrome
dei primi violini, mentre tutti cantano il grande coro, in LAb minore, contrappuntati
dagli squilli di trombetta dei soldati zaristi. Marfa ancora (22’35”)
esorta Andrej a ricordare il loro amore, ma lui fino all’ultimo invoca Emma,
mentre Dosifej esala il suo amen!
Mentre
il sacrificio di massa si compie, arrivano in primo piano (22’46”) i militari di
Pietro, con il loro inconfondibile tema, che volge a modo maggiore il LAb minore del coro. Shostakovich qui aggiunge al
finale di Rimski la sua parte. Dopo il penultimo squillo di Rimski, che si
appoggia ovviamente sul LAb, Shostakovich, omettendo le quattro battute della
chiusa, fa eseguire un nuovo squillo (23’02”) che si appoggia alla terza
maggiore (DO). Da qui si dipartono tre battute di transizione, caratterizzate
da un motivo discendente in archi e fiati; poi (23’15”) gli archi bassi
riprendono il motivo della foresta che ha aperto l’atto (qui in tempi dilatati)
per lasciar posto (23’36”) al canto di un gruppo di moscoviti sopraggiunto nel
frattempo: è lo stesso canto - carico di pessimismo e rassegnazione - già udito
nel primo atto (dopo che lo scrivano aveva spiegato il contenuto della grida
affissa in piazza). La chiusura (24’52”) è però affidata, come un
ritorno alle origini, al tema (qui in FA maggiore) dell’alba sulla Moscova.
___
Prossimamente esamineremo altre due
esecuzioni basate sulla versione-Shostakovich e una che si basa sulla
versione-Rimski.
___
(3.
continua...)
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