Carlo Boccadoro (chiamato a sostituire l’indisposto Direttore musicale)
Fabio Vacchi e Domenico Nordio (poi c’è anche un tale Mendelssohn...) sono i protagonisti del concerto
di questa settimana, che incastona un’opera modernissima fra due che ormai si
avvicinano ai due secoli di vita, ma benissimo portati!
Si
apre quindi con la Ouverture zu den Hebriden (Fingals-Höhle)
composta dal giovane Mendelssohn dopo una gita alle Ebridi, in particolare a
Staffa, dove si trova la celebre grotta marina che dal ‘700 ha preso il nome
dall’eroe scozzese Finn mac Cool (per gli amici… Fingal):
L’Ouverture,
canonicamente in forma-sonata, è tutta pervasa da atmosfere ossianiche,
che si ritroveranno anche nel movimento iniziale e in quello finale dell’ultimo
brano in programma, la sinfonia scozzese, concepita guarda caso nello stesso
periodo (1829-30) anche se completata anni e anni più tardi.
___
Ecco poi due artisti-in-residence
presso laVerdi, Fabio Vacchi e Domenico
Nordio, interpretare Natura naturans, il Concerto per violino e orchestra che Vacchi
compose nel 2016 e che ha recentemente rivisitato, dandogli anche il titolo che
richiama sentimenti eco-ambientalisti. La prima versione ricevette il battesimo
a Bari con D’Orazio al violino e un’altra
vecchia conoscenza dell’Auditorium, John
Axelrod sul podio (qui la registrazione dei tre movimenti del concerto: 1-2 e 3).
Questa seconda versione vide la luce nel 2018,
eseguita a Budapest
(1/10) e NY (5/11); come la prima, e come il quasi contemporaneo Concerto per
violoncello, è dedicata alla figura di Livia
Pomodoro, eminente donna di legge ma soprattutto paladina della difesa dei
diritti, oltre che attiva anche nel mondo dell’arte e della cultura. Una dedica
che, almeno nello spirito, ne richiama un’altra: quella alla memoria di un angelo, che Alban
Berg appose al suo Violinkonzert,
opera che Vacchi dichiara apertamente essere stato il suo modello di riferimento.
Ecco
come il compositore presenta il suo lavoro, ma in realtà anche la sua...
visione del mondo e dell’arte:
Il mio primo concerto per violino è nato senza titolo. Ho lavorato a
questa seconda, riveduta versione mentre ero immerso nella natura. Le
aggiunte, i tagli e le modifiche derivano da un impulso che mi spingeva ad
aderire anche dal punto di vista creativo a scelte ambientaliste, animaliste
e, proprio in quanto tali, in difesa dell’uomo. In termini estetici, ad
avvicinarmi sempre più a una scrittura che non dimenticasse mai, per ragioni
puramente strutturali e soggettive, il rispetto della nostra fisiologia,
della nostra percezione, della nostra natura.
La musica non è per me frutto di convenzioni astratte, la cui natura può essere
definita solo in base a considerazioni arbitrarie, concettuali, ideologiche,
filosofiche. La musica deve riflettere anche un’essenza umana universale
innata, fisiologica, antropologica e in quanto tale collettiva. Ci sono
alcuni processi organici, psicologici e simbolici che sono sostanziali nella
composizione, anche contemporanea, dai quali non si può prescindere nel
cercare una sintesi tra patrimonio popolare e storico da un lato e
innovazione, sperimentazione, ricerca dall’altro.
Gli studi etnomusicologici e l’amore per la musica folcloristica
innervano, insieme alle radici nell’avanguardia strutturalista e
all’assimilazione della grande lezione classica e romantica, Natura
naturans. Le melodie, i ritmi, le armonie e le atmosfere di ascendenza popolare
mi hanno insegnato la libertà con cui utilizzare materiali consonanti o
atonali, gesti tradizionali ed esplorativi. Oltre all’esigenza di rigore formale,
la mia musica ricerca infatti una gestualità diretta, naturale
ed emotiva, che deve penetrare al di là della superficie per arrivare
alla più oscura logica sottostante. Le neuroscienze ci dicono che esistono
limiti naturali entro i quali la comunicazione, anche musicale, può raggiungere le menti
e i corpi degli altri: devono essere forzati dalla fantasia e dall’urgenza di
scoprire inediti orizzonti, ma rispettati come tali.
Nell’arte e nella musica, l’imprescindibile necessità di inventare e di
rivoluzionare deve quindi rimanere entro i limiti naturali
della dimensione umana che è definita anche in termini biologici, fisici,
chimici, neurologici. La bellezza e l’arte hanno il dovere di opporsi all’avanzata
del consumismo e del semplicismo. Bisogna contrastare l’impoverimento, la
banalizzazione del linguaggio. La musica è anche una via per riavvicinarci e
aprirci ad altre culture, ad altri punti di vista, ad altre tradizioni. Per
non cadere nel fanatismo, nell’oscurantismo. Difendere la natura significa
difendere l’uomo e la vita.
I tre movimenti, costruiti sugli stilemi del concerto solista del
diciottesimo e del diciannovesimo secolo, sono un omaggio all’impareggiabile Concerto
per violino di Berg, che è per me il più grande punto di riferimento del ventesimo
secolo. La struttura estremamente unitaria poggia sul legame intrinseco tra
il materiale armonico e melodico del solista e quello dell’orchestra.
Il primo movimento, l’Allegro moderato, sebbene estremamente
virtuosistico, ha accenti lirici che emergono quasi contrapponendosi
all’andamento rapido, per rallentarlo, per interrogarlo, per svelarne
l’espressività profonda in un dialogo onirico e ipnotico tra «l’interno e
l’esterno», qui rappresentati dal violino e dall’orchestra.
Il cantabile Andantino è desiderio e nostalgia di melodia, della sua naturale
forza espressiva e narrativa.
Nel terzo movimento, Presto brillante, la velocità
è metafora di una pulsione primaria al superamento delle barriere, senza però
mai violare quei limiti naturali oltre i quali
si nega la nostra stessa umanità: la violenza verso gli altri, verso i
deboli, verso i diversi, verso il pianeta, verso gli animali. Per quanto
riguarda l’arte e la musica, la violenza contro la memoria, il pensiero, la natura cui apparteniamo.
Il Concerto per violino nella sua prima versione, nata per il Petruzzelli
di Bari nel 2016, e nella sua seconda versione, Natura naturans,
che ha avuto la prima europea all’Opera di Budapest il 12 ottobre 2018,
la prima americana alla Carnegie Hall di New York il 5 novembre e questa
prima italiana, ora, alla Verdi di Milano, è dedicato a Livia Pomodoro. Anche
il concerto per violoncello, che ha avuto la prima al Petruzzelli di Bari il
30 ottobre 2018, fa parte di questo dittico dedicato a una grande donna
d’oggi che ha dato tutta se stessa per i valori in cui credeva, e in cui io
credo: la giustizia, la tutela dei minori, il teatro e l’arte.
|
Boccadoro, che è
soprattutto compositore, rende un bel servizio al collega Vacchi, guidando da
par suo l’orchestra ad integrare la prestazione di Nordio, che ci mette tutta
le sensibilità e il pathos di cui è
capace per valorizzare al massimo l’opera, accolta da vibranti apprezzamenti
del folto pubblico dell’Auditorium.
Così
alla fine grande trionfo per Vacchi, salito sul palco visibilmente emozionato,
poi ripetutamente chiamato alla ribalta, con interprete e direttore; lui più
volte manda baci di ringraziamento all’orchestra, la cui prestazione evidentemente deve averlo
soddisfatto appieno.
___
Grande prova di sicurezza e compattezza dell’orchestra, che Boccadoro deve più che altro... tenere in strada: ecco, per lui dev’essere stato come guidare una Ferrari, dove si deve evitare il pericolo di farla imbizzarrire. Gloria e applausi per tutti, da un pubblico evidentemente appagato.
Conclusione
ancora ossianica con la Scozzese,
di certo la migliore delle quattro sinfonie di Mendelssohn (non per nulla è
anche l’ultima ad essere stata completata, a dispetto della numerazione). Nata
- proprio in compagnia dell’Ouverture che ha aperto il concerto - da sensazioni
ed emozioni vissute dall’Autore durante il viaggio (professional-turistico) del
1829 in terra albionica. E perciò la si può anche descrivere come fosse un poema sinfonico...
Nel primo
movimento, aperto à-la-Haydn da un Andante con moto di ben 63 battute (la
cui melodia verrà impiegata nella Walküre
da un tale che di Mendelssohn - in quanto ebreo - scriverà peste e corna) che
poi fa posto ad un Allegro un poco
agitato, emergono proprio scenari da isole sferzate dal vento, di cui gli
archi evocano ripetutamente le folate.
Nel Vivace non troppo (lo scherzo) la melodia del tema principale
assume forme quasi telluriche, quando sono gli archi bassi e ottoni ad
appropriarsene.
Una vera e
propria oasi di pace sopraggiunge con l’Adagio, uno scorcio di mirabile lirismo,
un intermezzo davvero pastorale,
rotto soltanto da un paio di energici richiami degli ottoni.
Il
conclusivo Allegro vivacissimo ci
riporta in mezzo a bufere e tormente che spazzano e bruciano le coste scozzesi,
ma alla fine tutto si placa, Ossian si dilegua e ci appare, quasi per incanto...
Buckingham Palace, con Sua Maestà la
Regina Vittoria (dedicataria dell’opera, non dimentichiamolo) circondata
dalla sua corte, in un Allegro maestoso
assai che - impiegando poche note dell’introduzione al primo movimento -
porta la sinfonia all’enfatica e decisamente regale conclusione.
___ Grande prova di sicurezza e compattezza dell’orchestra, che Boccadoro deve più che altro... tenere in strada: ecco, per lui dev’essere stato come guidare una Ferrari, dove si deve evitare il pericolo di farla imbizzarrire. Gloria e applausi per tutti, da un pubblico evidentemente appagato.
Nessun commento:
Posta un commento